Giudicato implicito e nullità rilevabile dal giudice - Sezioni Unite Sentenza n. 26242 del 12-12-2014

Corte di Cassazione a Sezioni Unite Sentenza n. 26242 del 12/12/2014 sulla nullità rilevabile ufficio in caso di giudicato implicito

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LE IMPUGNATIVE NEGOZIALI E OGGETTO DEL GIUDIZIO

 

4. LE IMPUGNATIVE NEGOZIALI E L'OGGETTO DEL GIUDIZIO

4.1. E' noto come la questione della individuazione dell'oggetto del processo sia, da sempre, tra le più dibattute nel panorama dottrinario e giurisprudenziale.

Le complesse e delicate problematiche che essa pone, ben lungi dal trovare risposte certe nel diritto positivo, risultano tutte e allo stesso modo condizionate dalla necessità di operare una scelta tra valori talora contrastanti.

Da un lato, il "valore" della definitiva indicazione alle parti, all'esito di un processo lungo costoso faticoso, delle condotte da tenere in futuro in ordine al rapporto sostanziale che le vincola.

Dall'altro, la libertà di instaurare una lite su di un solo segmento di una più articolata situazione sostanziale, delimitato dal singolo titolo costitutivo addotto dall'istante come causa petendi.

La scelta, in definitiva, tra Recht e Rechtsfrage. Tra diritto (sostanziale) e domanda (giudiziale) di diritto.

Esula dai compiti di questa Corte la ricerca di risposte definitive da offrire a tale delicatissima questione, poiché il perimetro dell'indagine ad essa riservata è quello delle azioni di impugnativa negoziale.

E tuttavia la risposta al quesito, lungi dal costituire vieto esercizio di retorica, appare decisiva per la scelta della soluzione da adottare sul tema dei rapporti tra nullità negoziale ed azioni di impugnativa contrattuale.

4.2. E' necessario muovere dall'analisi del rapporto tra il processo e il diritto potestativo cd. sostanziale - qualificato da autorevole dottrina come vero e proprio diritto soggettivo - , che di ogni processo di impugnativa negoziale costituirebbe il vero oggetto, in guisa di diritto fatto valere in giudizio (artt. 81, 99 c.p.c., 2907, 2697 c.c., 24 Cost.), in luogo delle situazioni soggettive sostanziali (pretesa, facoltà, obbligo, soggezione) generate dall'atto negoziale (fatto storico/fattispecie programmatica) e dal rapporto intersoggettivo da esso scaturente. Con la rilevante conseguenza di escludere dall'oggetto del processo, e quindi del giudicato qualsiasi accertamento definitivo in ordine alla situazioni soggettive sostanziali che connotano il contenuto del rapporto obbligatorio.

Nell'ambito della tutela costitutiva - non rileva in questa sede stabilirne i pur discussi confini - invocata con le azioni di impugnativa negoziale, il processo di cognizione (rectius, l'accertamento che ne scaturisce) diverrebbe così elemento della fattispecie sostanziale cui il legislatore ricollega la produzione di effetti giuridici.

4.2.1. Appare decisiva l'obiezione di chi ha sostenuto che ricondurre l'oggetto del processo alla fattispecie del diritto potestativo (sostanziale tout court, ovvero "a necessario esercizio giudiziale") risulta viziata da un eccesso di concettualismo, destinato, anziché aiutare a spiegare la realtà, i.e. a identificare quale sia il bene della vita oggetto della disputa tra le parti, ad offuscarla inutilmente, volta che il diritto potestativo civilistico inteso quale autonoma situazione soggettiva potrebbe al più costituire oggetto del processo prima del suo esercizio, e mai dopo: una volta esercitato, in via giudiziale o stragiudiziale, il diritto potestativo è destinato a estinguersi per consumazione, mentre, a seguito del suo esercizio, la contesa delle parti nel processo non è più sull'esistenza o meno del diritto potestativo, bensì sull'esistenza o meno dei fatti modificativi-impeditivi-estintivi ai quali l'esercizio di quel diritto ha preteso di dare rilevanza, ossia le situazioni soggettive sostanziali.

Mutando la visione prospettica, dunque, l'oggetto del processo andrebbe così a identificarsi con la situazione soggettiva sostanziale e con il suo effetto giuridico, mai con fatti o con norme. Peraltro, se il diritto potestativo sostanziale riveste la sola funzione di attribuire, tramite il suo esercizio, rilevanza ai fatti modificatici-impeditivi-estintivi, esso si pone inevitabilmente al medesimo livello dei fatti e delle norme, in guisa di co-elemento di una più complessa fattispecie, in funzione di "interruttore" destinato ad attivare un più vasto "circuito" ad esso preesistente, in conseguenza di una vera e propria "crisi di cooperazione" che ha diviso le parti sul piano del diritto sostanziale, in una (eccezionale) dimensione patologica del libero potere di autodeterminazione che costituisce l'essenza e il fondamento dell'autonomia privata.

4.3. L'indagine volta alla corretta individuazione dell'oggetto del processo, da condursi secondo i consueti canoni ermeneutici di analisi delle fattispecie giuridiche nel loro duplice aspetto struttura/funzione, postula, in questa sede, la necessità di una Inversion-Methode,che muova dall'analisi (prioritaria) dei valori funzionali del processo.

Tali valori possono, hic et nunc, essere individuati:

Nel principio di corrispettività sostanziale, da preservare tout court come valore che lo strumento processuale non può cancellare, incrinare, disarticolare o deformare, ma soltanto rispecchiare e attuare, attesane la sua dimensione essenzialmente strumentale, come espressamente evidenziato (sia pure con riferimento ai rapporti tra gli artt. 2909 e 2932 c.c. e 282 c.p.c.) da queste stesse sezioni unite con la sentenza n. 4059 del 2010: si pensi al caso del locatore che agisca per il pagamento del canone, del giudice che rilevi la nullità della locazione, del conduttore che (intenzionato a restare nell'immobile in assenza momentanea di alternative abitative) si limiti provare documentalmente l'avvenuto adempimento, così che il giudicante debba limitarsi a rigettare la domanda dichiarando la nullità del contratto soltanto nella motivazione del provvedimento decisorio. Sarebbe arduo sostenere che sulla quaestio nullitatis possa nuovamente instaurarsi un successivo giudizio, tanto da parte del locatore quanto del conduttore, salvo implicitamente avallare un evidente abuso dello strumento del processo;

- Nel principio di stabilità delle decisioni giudiziarie (predicato con dovizia di argomenti, di recente, ancora da queste sezioni unite con la sentenza n.15295 del 2014 in tema di ultrattività del mandato al difensore), volta che, come si è efficacemente osservato, il potere di azione riconosciuto ai privati non può (più) essere quello di attivare un meccanismo potenzialmente destinato a ripercorrere all'infinito le medesime tappe con provvedimenti che si consente al giudice di revocare o modificare motu proprio o su istanza di parte, bensì quello di pretendere una risposta per quanto possibile definitiva alla domanda di giustizia;

- Nel principio di armonizzazione delle decisioni, così da evitare la scomposizione della unità della situazione sostanziale in una indefinita molteplicità rappresentata da tante "minime unità decisorie";

Nel principio di concentrazione delle decisioni, ad onta di poco meditati interventi legislativi (si consideri, in materia locatizia, la nullità della clausola di determinazione dell'importo del canone per contrasto con norma imperativa che ne prevede la sostituzione ipso iure - nullità che, a norma di legge, non potrebbe essere opposta in via di eccezione per impedire l'accoglimento della domanda fondata sull'inadempimento dell'obbligo di pagamento del canone derivante dalla clausola stessa, prima che sia stato accertato in autonomo giudizio il contenuto dell'obbligo derivante dalla clausola legale deputata a sostituire quella affetta da nullità); Nel principio di effettività della tutela, ostacolo insuperabile - come di recente affermato da questa Corte con la sentenza n.21255 del 2013 - per ogni interpretazione di tipo formalistico e inutilmente defatigante rispetto ai tempi della decisione della causa;

Nel principio di giustizia delle decisioni, espressione assai meno declamatoria oggi che in passato, alla luce degli artt. 111 Cost. e 6 CEDU. Di tale giustizia decisionale è traccia sensibile la decisione resa da queste sezioni unite con la sentenza n. 18128 del 2005, in tema di rilevo officioso della eccessiva onerosità della clausola penale;

  • Nel principio di economia (extra)processuale, declinazione del giusto processo inteso (anche) come esigenza di evitare la eventualità di moltiplicazione seriale dei processi e di offrire alle parti una soluzione "complessiva" già entro il primo, sovente assai lungo procedimento;

Nel principio del rispetto della non illimitata risorsa-giustizia : sarebbe un fuor d'opera riproporre le consuete, innumerevoli esemplificazioni delle conseguenze, talvolta paradossali, riconducibili al mancato riconoscimento di un possibile effetto di giudicato all'accertamento giudiziale della nullità negoziale, pur nei limiti imposti dalle norme processuali, sia pure prendendo le distanze da una incondizionata adesione alla teoria dell'effetto espansivo pressoché illimitato dell'accertamento contenuto nella sentenza. E proprio il principio della limitatezza della risorsa giustizia è stato in più occasioni evocato, sia pure indirettamente, da questa Corte regolatrice, come nel caso della ritenuta infrazionabilità del credito in sede giudiziale (Cass. ss.uu. n. 23726 del 2007 in materia di decreto ingiuntivo; Cass. n. 28286 del 2011, in tema di frazionamento della domanda risarcitoria, davanti al giudice di pace e al tribunale, del danno alla persona e alle cose derivante da un unico sinistro stradale);

  • Nel principio di lealtà e probità processuale, valore cui andrebbe costantemente improntata la condotta delle parti nel processo;

  • Nel principio di uguaglianza formale tra le parti, rendendo così deducibile tout court anche per l'attore ciò che è sempre opponibile dal convenuto.

 

4.4. Si esaurisce così l'indagine sull'aspetto funzionale della questione.

4.4.1. Poste tali premesse, appare inevitabile l'opzione strutturale verso una decisione tendenzialmente volta al definitivo consolidamento della situazione sostanziale direttamente o indirettamente dedotta in giudizio. Una decisione tendenzialmente caratterizzata da stabilità, certezza, affidabilità temporale, coniugate con valori di sistema della celerità e giustizia.

Un sistema che eviti di trasformare il processo in un meccanismo potenzialmente destinato ad attivarsi all'infinito.

4.5. Anteposta la disamina funzionale all'indagine strutturale sull'oggetto del processo, si è già osservato come quest'ultima sia stata fonte, da sempre, di contrapposte interpretazioni, tutte dotate di indiscusso spessore teorico - e tutte egualmente sostenibili, ispirate da opposte visioni che investono la funzione stessa della giurisdizione.

Viceversa, non appare di conforto il dato normativo, anzitutto perché l'art. 2909 c.c. non chiarisce quale sia l'oggetto dell'accertamento giudiziale e l'art. 34 c.p.c. non specifica la nozione di "questione pregiudiziale". Non è certo questa la sede per rievocare il defatigante dibattito sviluppatosi sul tema della pregiudizialità logica (e sulla sua presunta fuoriuscita dal campo di applicazione dell'art. 34), della pregiudizialità tecnica e del punto pregiudizia le.

E ancora, gli artt. 12 e 13 c.p.c. appaiono dettati con riferimento a problematiche endo-processuali sicuramente eterogenee rispetta al tema in questione.

Si contendono il campo, alla ricerca dell'individuazione dell'oggetto del processo, due contrastanti orientamenti.

4.6. Una prima ricostruzione accentua il profilo privatistico, pur nella consapevolezza delle distonie cui essa conduce in punto di economia del processo e di contraddittorietà delle decisioni.

Si evidenzia, in particolare, come niente impedisca all'esperienza processuale di avere proprie e peculiari esigenze, che implicano il superamento di una visione sostanzialistica pura dei fenomeni giuridici, viziata da un semplicismo non dinamico, volta che la domanda opererebbe un'astrazione dal rapporto, deducendo in giudizio una situazione elementare e così determinando essa stessa i limiti della controversia.

Il singolo diritto "dispotico" sulla cosa venduta, il prezzo, la consegna.

Non il rapporto giuridico nella sua integrità.

Un diverso indirizzo valorizza le esigenze pubblicistiche che si vogliono pur sempre sottese alla tutela dei diritti dei privati.

Si esclude che il processo possa scindere, motu proprio, il rapporto fondamentale (e fondamentalmente unitario) che lega le parti, frammentandolo in segmenti autonomi, così che il pericolo di soluzioni disomogenee e non coordinate andrebbe scongiurato attraverso un meccanismo di armonizzazione tra giudicati, frutto dell'estensione dell'efficacia della sentenza all'accertamento del rapporto sostanziale (in seno alle stesse teorie sostanzialiste, è stato, peraltro, di recente operato un opportuno distinguo tra sentenze di accoglimento della domanda di impugnativa negoziale e sentenze di rigetto, su cui si tornerà funditus nel prosieguo della motivazione).

4.7. Ritiene il collegio che anche sul piano strutturale l'adesione a una delle teorie dell'oggetto del processo sia destinata ad essere inevitabilmente condizionata dalla sua speculare analisi funzionale.

4.7.1. Si rende così necessario dare ingresso a una più ampia visione che tenga nella dovuta considerazione gli inconvenienti della frammentazione di una originaria (ed unitaria) sorgente di rapporti sostanziali in tanti separati rivoli processuali, e delle conseguenze dell'accertamento soltanto incidentale di una più complessa dinamica negoziale, pur non negandosi - come di qui a breve si vedrà - quelli derivanti dell'indiscriminato e incondizionato ampliamento della domanda originaria (si ricorderà come in uno dei tanti progetti di riforma del processo civile si ebbe opportunamente a proporre una radicale riscrittura dell'art. 34 nel senso che "in ipotesi di rapporti complessi, qualora sia fatto valere in giudizio uno dei diritti principali derivanti dal rapporto stesso, l'autorità della cosa giudicata si estende al rapporto fondamentale", con chiaro riferimento al concetto della regiudicata sostanziale ed alla teorica della pregiudizialità soltanto logico-giuridica).

4.7.2. Visione volta ad un approdo che finisce per attrarre nella propria orbita, rendendola oggetto tendenzialmente necessario di inevitabile scrutinio, la situazione di diritto soggettivo fatta valere dall'attore e valutata nella sua interezza, e cioè in relazione alla sua totale ed effettiva consistenza sostanziale.

Che all'attore non sia consentito fruire del principio dispositivo in modo tale da ritagliare a proprio piacimento l'oggetto della lite, scomponendo una situazione soggettiva unitaria in una pluralità di sub-oggetti processualmente autonomi è eventualità ormai radicalmente esclusa, come già ricordato, dalla stessa, recente giurisprudenza di questa Corte.

4.8. Nelle azioni di impugnativa negoziale l'oggetto del giudizio è dunque costituito dal negozio, nella sua duplice accezione di fatto storico e di fattispecie programmatica, e (con esso) dal rapporto giuridico sostanziale che ne scaturisce.

4.8.1. Da tale realtà sostanziale il giudizio non potrà prescindere, in funzione quanto meno tendenziale di un definitivo accertamento dell'idoneità della convenzione contrattuale a produrre tanto l'effetto negoziale suo proprio quanto i suoi effetti finali.

Questa soluzione è stata criticamente e suggestivamente definita come "un vero e proprio chiasmo", poiché, si sostiene che, in tal modo, il giudicato, rifuggendo il discorso processuale, verrebbe a generarsi nel (e dal) silenzio. La soluzione, di converso, nei termini e con i temperamenti che di qui a breve si individueranno, appare rispettosa proprio delle esigenze funzionali dianzi descritte.

4.8.2. Il riferimento alla struttura negoziale originaria (negozio/fatto storico) non meno che alla fattispecie programmatica in essa contenuta è conseguenza del potere di indagine del giudice su qualsivoglia ragione, tanto morfologica quanto funzionale, di nullità contrattuale: così, il difetto di forma atterrà alla valutazione del negozio/fatto storico, mentre l'impossibilità dell'oggetto sarà predicabile a seguito dell'individuazione del momento programmatico della convenzione negoziale, che dell'oggetto contiene soltanto la rappresentazione ideale come tale neutra rispetto alla categoria dell'invalidità, mentre la sua impossibilità/illiceità sarà riferibile soltanto alla res nella sua dimensione materiale, quale oggetto reale del programma negoziale.

Il riferimento al rapporto negoziale è poi naturale conseguenza del tipo di azione esperita dall'attore: nelle domande di risoluzione e di adempimento, oggetto di contesa è la distonia funzionale del sinallagma, onde la necessità di valutare insieme la dimensione statica (negozio) e dinamica (rapporto) della fattispecie, mentre le domande di annullamento e di rescissione

postulano un giudizio sul binomio invalidità/efficacia temporanea dell'atto che, come in seguito si vedrà, non può a sua volta prescindere dalla preliminare indagine del giudice sulla eventuale nullità/inefficacia originaria dell'atto stesso.

4.8.3. La necessità del riferimento al rapporto scaturente dal negozio, oltre che a quest'ultimo, emerge da vicende processuali in cui il delicatissimo compito cui è chiamato il giudice in materia di impugnative negoziali è rappresentato proprio dalla capacità di valutazione unitaria di entrambe le fattispecie.

Emblematica è una vicenda sottoposta all'esame della Corte di appello di Cagliari (sentenza n. 179 del 1991), che si trovò di fronte ad un singolare caso di domande incrociate di risoluzione contrattuale e di esatto adempimento in relazione ad un contratto il cui contenuto negoziale era affetto da nullità per ritenuta indeterminabilità dell'immobile alienato e del relativo prezzo. Le parti non solo non avevano posto alcuna questione circa l'individuazione dell'oggetto della compravendita e del suo corrispettivo, essendosi limitate a chiedere, l'attore, la risoluzione del contratto per essere stato estromesso dall'appartamento acquistato, la convenuta alienante, in via riconvenzionale, l'eliminazione dei difetti dell'opera (insufficienza statica di una scala e di un balcone) che, insieme con una somma di denaro non precisata, costituiva il corrispettivo della vendita

Esaminando la sola scheda negoziale, il giudice pronunciò la nullità dell'alienazione per indeterminabilità dell'oggetto e del prezzo, non avendo tenuto in considerazione il rapporto dipanatosi tra le parti, come rappresentato negli atti processuali.

Una corretta trasposizione in sede processuale della teoria della cd. Geschaefstgrundlage (e cioè della "comune base negoziale", anche implicita, che consentì la nascita e al contempo decretò i limiti della teoria negoziale della presupposizione) consente, in definitiva, di affermare che, anche in sede processuale, una comune Grundlage, anche implicita, del processo e del provvedimento di merito che lo definisce consente la prioritaria disamina, da parte del giudice, dei vizi negoziali che decretino la eventuale nullità della convenzione.

4.9. Non può pertanto condividersi, oggi, la tesi che individua l'oggetto del processo in una Rechtsfrage, il cui oggetto è rappresentato dal diritto potestativo fondato sul singolo motivo (di annullamento, rescissione, risoluzione, nullità) dedotto in giudizio.

4.9.1. Essa appare, difatti, in contrasto con gli stessi valori predicati da questa Corte con la più volte ricordata sentenza di cui a Cass. 23726/2007, che calò definitivamente la scure dell'inammissibilità sulla domanda frazionata di un credito anche non risarcitorio dell'attore, derivante da un unico rapporto obbligatorio.

Valori a suo tempo individuati nelle regole oggettive di correttezza e buona fede, nei doveri di solidarietà di cui all'art. 2 della Costituzione, nel canone del giusto processo di cui al novellato art. 111 Cost.

Anche il diritto potestativo (all'annullamento, alla rescissione, alla risoluzione del contratto) postula come oggetto necessario l'esistenza (degli effetti) dell'atto (il che, come si dirà, non consente di ritenere ammissibile la coesistenza della nullità e dell'annullabilità rispetto a una medesima fattispecie). E ciò è a dirsi tanto se di diritto potestativo si discorra nella sua forma sostanziale quanto se con riferimento a quella del suo necessario esercizio giudiziale: la ricostruzione della tutela costitutiva nella ristretta dimensione del diritto alla modificazione giuridica, ipotizzata come situazione soggettiva rivolta verso lo Stato-giudice, piuttosto che nei confronti della controparte, è destinata a infrangersi sulla più ampia linea di orizzonte rappresentata dalla necessità che il giudice dichiari, in sede tutela costitutiva e non solo, e in modo vincolante per il futuro, il modo d'essere (o di non essere) del rapporto sostanziale che, con la sentenza, andrà a costituirsi, modificarsi, estinguersi.

4.10. Non si intende in tal guisa pervenire a un incondizionato accoglimento del principio del giudicato implicito sul dedotto e deducibile, sempre e comunque predicabile, quoad effecta, in relazione a qualsiasi vicenda di impugnativa negoziale.

Il correttivo fondamentale di tale opzione ermeneutica è difatti rappresentato, tra l'altro (e non solo), dal dovere del giudice di rilevare una causa di nullità negoziale, e di indicarla alle parti, lungo tutto il corso del processo, fino alla sua conclusione, attivando tale speculare potere rispetto a quello delle stesse parti di decidere della sorte del rapporto fondamentale, con scelte che non risulteranno prive di conseguenze processuali per quei soggetti del processo colpevolmente inerti, o callidamente silenti.