Il convivente more uxorio non e' un semplice ospite nella casa familiare
La Corte di Cassazione con sentenza n. 7214/2013 ha qualificato come detenzione qualificato il rapporto del convivente more uxorio con la casa familiare di proprietà esclusiva del partner.

La Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente in materia di coppie di fatto aggiungendo un ulteriore tassello al mosaico dei diritti da riconoscersi al convivente more uxorio. Più precisamente, con sentenza n. 7214 del 21 marzo 2013 i giudici di legittimità si sono pronunciati sulla posizione giuridica del convivente rispetto alla casa familiare di proprietà del compagno o della compagna.
A parere della Suprema corte il convivente more uxorio non è un semplice ospite nell'immobile di proprietà esclusiva dell'altro, ma è detentore qualificato con la conseguenza che in caso di spoglio violento o clandestino è legittimato ad esercitare contro il partner proprietario l'azione di reintegrazione ex art. 1168 c.c. In termini pratici ciò significa che alla rottura dell'unione il convivente proprietario non può cacciare di punto in bianco l'ex compagno o compagna dalla casa familiare, ma dovrà concedergli un congruo termine per consentirgli di trovare un'altra soluzione abitativa.
Il caso alla base della sentenza vede protagonista una coppia stabilmente convivente da anni, in cui l'uomo aveva venduto alla partner l'immobile nel quale era stata instaurata la vita in comune e nel quale i due avevano continuano a vivere fino alla rottura del rapporto. Insorta la crisi la donna aveva ottenuto fraudolentemente la riconsegna delle chiavi al cospetto dei carabinieri, ai quali aveva fatto credere che l'ex compagno si fosse introdotto di nascosto nella casa commettendo violazione di domicilio. L'uomo per evitare problemi aveva riconsegnato le chiavi senza però manifestare la volontà di dismettere il possesso dell'immobile.
Il dubbio interpretativo sottoposto al vaglio degli Ermellini concerne la natura del rapporto giuridico intercorrente tra l'ex convivente e la casa familiare di proprietà esclusiva del partner: egli è copossessore in forza del semplice fatto della convivenza o è un mero ospite che non può esercitare alcun potere sulla cosa altrui? O, come affermato dal più recente orientamento, il convivente, pur non potendo usucapire il bene, gode di una detenzione autonoma, qualificata dalla stabilità della relazione familiare?
La Cassazione per dirimiere il conflitto interpretativo richiama la ormai consolidata giurisprudenza costituzionale in materia di famiglia di fatto. È opinione ormai largamente condivisa che la convivenza non matrimoniale, pur in mancanza di una organica normativa, è giuridicamente rilevante in quanto dà vita ad un autentico consorzio familiare, investito di funzioni promozionali. La famiglia di fatto deve essere riconosciuta a pieno titolo come formazione sociale idonea a favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione nei termini dell'art. 2 della Costituzione. La convivenza more uxorio è fonte di diritti morali e sociali di ciascuno convivente nei confronti dell'altro, pertanto, in relaziona alla casa familiare, il convivente non proprietario ne può godere per soddisfare un interesse proprio e della coppia, in forza di un titolo a base personale che trova le proprie radici nella Costituzione, sì da assumere i connotati tipici della detenzione qualificata.
A tal proposito, tenuta ferma la diversità strutturale tra unione matrimoniale e convivenza di fatto, la Cassazione ha ribadito «che questa distinzione non comporta che, in una unione libera che tuttavia abbia assunto, per durata, stabilità, esclusività e contribuzione, i caratteri di comunità familiare, il rapporto del soggetto con la casa destinata ad abitazione comune, ma di proprietà dell'altro convivente, si fondi su un titolo giuridicamente irrilevante quale l'ospitalità, anzichè sul negozio a contenuto personale alla base della scelta di vivere insieme e di instaurare un consorzio familiare, come tale anche socialmente riconoscibile».
Osserva la Corte che «d'altra parte, l’assenza di un giudice della dissoluzione del ménage non consente al convivente proprietario di ricorrere alle vie di fatto per estromettere l'altro dall’abitazione, perché il canone della buona fede e della correttezza, dettato a protezione dei soggetti più esposti e delle situazioni di affidamento, impone al legittimo titolare che, cessata l’affectio, intenda recuperare, com’è suo diritto, l’esclusiva disponibilità dell’immobile, di avvisare il partner e di concedergli un termine congruo per reperire altra sistemazione». Ne consegue che il partner spogliato violentemente del possesso dell'immobile può agire in reintegrazione ex art. 1168 c.c. per essere riammesso nell'abitazione in cui si era svolta la convivenza more uxorio.