La carenza di legittimazione del creditore rende inammissibile l'istanza di fallimento
La cancellazione della società creditrice dal registro delle imprese preclude l'avvio da parte di questa del procedimento prefallimentare

"L'avvio del procedimento prefallimentare è precluso dalla caranza ab origine della legittimazione processuale e sostanziale dell'istante".
Così ha statuito la Corte di cassazione nella sentenza n. 16751/2013 con la quale ha revocato la dichiarazione di fallimento pronunciata nei confronti di un piccolo imprenditore.
La fattispecie da cui ha avuto origine il ricorso per Cassazione è peculiare: l'imprenditore era stato dichiarato fallito sulla base di un ricorso presentato ai sensi dell'art. 6 della Legge Fallimentare da una società creditrice che, alla data di presentazione dell'istanza di fallimento, risultava estinta.
La Suprema corte ha precisato che la qualità di creditore, che legittima l'istanza di fallimento, deve sussistere non solo al momento di proposizione del ricorso ma per tutta la durata del procedimento, in caso contrario il giudice deve emettere una pronuncia in rito di inammissibilità.
Nel caso di specie la situazione è ancora più radicale poichè, a seguito della cancellazione dal registro delle imprese, la società istante è rimasta priva della capacità di agire, determinando il venir meno della figura stessa del creditore. Ne consegue che la società esinta non è legittimata a proporre istanza di fallimento nei confronti del debitore e la carenza di legittimazione di quest'ultima è rilevabile d'ufficio, anche in sede di reclamo, poichè attiene alla sussistenza dell'indispensabile iniziativa di parte per la dichiarazione di fallimento.
Per altri versi, la sentenza esaminata aggiunge un altro tassello alla questione della fallibilità d'ufficio; anche in questo caso al Tribunale viene tolta la possibilità di indagare sull'eventuale stato di insolvenza del debitore essendo questione strettamente legata alla legittimazione attiva del creditore.