La Corte Costituzionale sulle ragioni sostitutive nel contratto a tempo determinato
Le ragioni sostitutive nel contratto a tempo determinato: il dibattito giunge in Corte Costituzionale. Commento alla sentenza n. 107 del 22 maggio 2013

Il contratto a tempo determinato rappresenta da sempre una delle più diffuse tipologie contrattuali nella gestione del rapporto di lavoro da parte delle imprese e, ancorchè in via differente, anche da parte delle PP.AA.
Il Rapporto sul mercato del lavoro 2011–2012, pubblicato dal CNEL, Consiglio Nazionale Economia e Lavoro, il 18 Settembre 2012, ci fa sapere che i lavoratori dipendenti con un contratto a termine sono la categoria contrattuale sulla quale si è concentrata la “non brillante” crescita dell’occupazione in media d’anno dal 2011. La maggior parte degli occupati a termine sono, infatti, involontari: segnale di generale deterioramento della qualità dell’occupazione. Il lavoro a termine, oltretutto, ha sempre meno come esito l’occupazione permanente (se prima della crisi quasi il 29% degli occupati a termine diventava permanente l’anno successivo, ora questo vale per il 23% di essi).
L’incidenza del lavoro a termine sull’occupazione complessiva italiana è salita sopra il 10% in media d’anno. L’analisi dei dati ISTAT evidenzia come l’occupazione a termine abbia ridimensionato il suo ruolo di trampolino (stepping stone) ovvero di passaggio per entrare nell’occupazione permanente ed abbia, invece, creato un segmento a sé stante di occupati.
Chiusa questa breve premessa per capire le dimensioni del fenomeno, la Corte Costituzionale con sentenza n. 107/2013 del 22 maggio 2013 si è pronunciata su un tema da tempo dibattuto e già ampliamente “deciso” in Corte di Cassazione: l’onere, a carico del datore di lavoro, di indicare il nominativo del lavoratore sostituito a fronte di una ragione di carattere sostitutivo posta a base del contratto a tempo determinato, secondo i dettami dell’art. 1, d.lgs. n. 368/2001 (“E' consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”). Si tratta, in sostanza, del caso di assunzione a termine di un individuo per sostituzione di dipendente assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro (malattia, maternità, ferie, altro).
La regola “aurea” vorrebbe che, proprio a dimostrazione della genuinità della ragione sostitutiva addotta nel contratto, venga indicato il nominativo del lavoratore sostituito, regola, del resto, originariamente prevista nella legge n. 230/1962. Questa legge, invero, fu già rivisitata dalla legge n. 56/1987, articolo 23, comma 1, che autorizzava i CCNL a prevedere altre ipotesi di assunzione a termine oltre il numero chiuso delle causali stabilite dalla legge. Dunque, le “ulteriori” causali di fonte contrattuale potevano anche prescindere dall’identificazione del nominativo del lavoratore sostituito. Successivamente, il d.lgs. n. 368/2001, interviene disponendo, letteralmente, un imprescindibile onere di indicazione della ragione del ricorso al contratto a termine, non del nominativo in sé nel caso specifico di sostituzione.
E’, dunque, assolutamente necessario giustificare la sostituzione temporanea di personale con contratto a termine; il criterio migliore e più semplice per farlo è e resta l’identificazione nominativa del personale sostituito ma – attenzione – questo criterio non è l’unico, spiega la Corte Costituzionale.
La Corte Costituzionale, infatti, dimostrando che possono verificarsi ipotesi di supplenza più complesse in imprese di grandi dimensioni, spiega che altri elementi possono condizionare il ricorso alla sostituzione temporanea: ambito territoriale di riferimento, luogo della prestazione, mansioni dei lavoratori da sostituire, diritto dei medesimi alla conservazione del posto.
Nelle piccole e medie imprese risulta sicuramente agevole individuare fisicamente il lavoratore da sostituire, cosa non facile, invece, nelle grandi imprese e nei gruppi societari. In queste realtà complesse, dunque, è sufficiente indicare i criteri adottati per la sostituzione, che devono essere specifici e non equivoci, “Non si può escludere, infatti, la legittimità di criteri alternativi di specificazione, sempreché essi siano rigorosamente adeguati allo stesso fine e saldamente ancorati a dati di fatto oggettivi. E così, anche quando ci si trovi – come ha rilevato la Corte di cassazione – di fronte ad ipotesi di supplenza più complesse, nelle quali l’indicazione preventiva del lavoratore sostituito non sia praticabile per la notevole dimensione dell’azienda o per l’elevato numero degli avvicendamenti, la trasparenza della scelta dev’essere, nondimeno, scrupolosamente garantita. In altre parole, si deve assicurare in ogni modo che la causa della sostituzione di personale sia effettiva, immutabile nel corso del rapporto e verificabile, ove revocata in dubbio”, così la Corte Costituzionale.
A nulla rilevano i dubbi di legittimità costituzionale per lesione dell’articolo 3, Cost. Su questo punto, la Corte, infatti spiega che “In entrambi i casi, in applicazione della medesima regola, il datore di lavoro deve sempre formalizzare rigorosamente per iscritto le ragioni sostitutive nella lettera di assunzione a tempo determinato. Tanto è vero che il criterio di specificazione in concreto adottato, anche se alternativo a quello primario dell’indicazione nominativa del lavoratore sostituito, dev’essere, comunque, talmente preciso da garantire appieno la riconoscibilità e la verificabilità della motivazione addotta a fondamento della clausola appositiva del termine, già all’atto della stipulazione del contratto.
Sicché, in definitiva, la diversa modulazione del concetto di specificità dell’esigenza di supplire a personale solo transitoriamente assente non dà luogo ad un regime giuridico differenziato in base alla dimensione aziendale del datore di lavoro. E la valutazione volta per volta della rispondenza delle ragioni sostitutive rappresentate per iscritto dal datore di lavoro all’onere di specificazione di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 2001 è necessariamente rimessa al prudente apprezzamento del giudice della singola fattispecie”.
Pur chiarendo e ribadendo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato e validamente comprovato, resta alta l’incertezza sui concreti criteri alternativi da indicare, volta per volta, in un contratto a termine.
Risulta, infatti, nel complesso, ben argomentato e assolutamente condivisibile il timore espresso dal Tribunale di Trani in funzione di giudice del lavoro nel sollevare le questioni di legittimità costituzionale in commento.
Detto Tribunale scriveva, infatti, che “limitarsi a richiedere, in caso di assunzioni per esigenze sostitutive l’area geografica di operatività, la qualifica di appartenenza (senza alcun riferimento allo specifico settore di operatività) e limitare il controllo giudiziale al raffronto tra assenti (a tempo indeterminato) e assunti (a tempo determinato) significa consentire all’azienda di assumere una quota “fissa” di lavoratori “precari” destinati a sostituire in pianta stabile le ordinarie assenze del personale dovute a ferie, malattia, maternità, ecc... “, come non dargli ragione?
Quando iniziano a perdere certezza e definitività i parametri giustificativi dell’apposizione del termine si inizia a scivolare via via nel baratro del disorientamento, della vaghezza, dell’equivoco.
Quindi, non diventi questa massima costituzionale la regola generale per l’ennesimo abuso normativo ma resti sempre l’eccezione adattabile solo a casi razionalmente valutati ad hoc!
Dott.ssa Gianna Elena De Filippis