Niente irap al medico con auto di lusso secondo la Corte di Cassazione
Con sentenza n. 23113 dell'undici ottobre 2013, la Suprema Corte ritorna a pronunciarsi sull'IRAP dei professionisti.

La fattispecie riguarda un chirurgo chiamato dall’Agenzia delle Entrate a pagare l’IRAP non versata per un’annualità. Le ragioni su cui l’Agenzia fondava la richiesta, sono riconducibili, essenzialmente, alla constatazione di un elevato ammontare del reddito dichiarato ai fini IRPEF, reddito che non sarebbe stato possibile produrre se non mediante una complessa e stabile organizzazione di mezzi e strutture. Inoltre, a conforto di ciò, l’Agenzia evidenziava come il medico avesse fatto utilizzo, nell’anno in contestazione, di un’autovettura di costruzione straniera e di importo (in termini di prezzo) considerevole.
Il professionista proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento dimostrando come il suo reddito derivasse dall’attività prestata esclusivamente a favore di un unico committente e senza disporre di capitale e lavoro, difettando il requisito (presupposto) dell’autonoma organizzazione.
Il ricorso veniva respinto sia dalla Commissione Tributaria Provinciale che, in sede di gravame, dalla Commissione Regionale con argomentazioni analoghe che riproducevano quelle sostenute dall’Agenzia: reddito elevato giustificabile soltanto dalla presenza di una complessa attività autonoma con mezzi e adeguato personale.
Davanti alla Corte, il professionista lamentava, in quattro motivi distinti ma affini e con corretta indicazione del quesito di diritto, la violazione dell’articolo 2 del D. Lgs. 446 del 1977 e l’omessa o insufficiente motivazione sul presupposto che il medesimo articolo prevede per l’applicazione dell’imposta.
In effetti, risultava in atti e non contestato, sia l’elevato reddito sia l’uso di automobile di lusso, ma, entrambi gli elementi, non si mostrerebbero idonei a colmare il requisito dell’organizzazione, requisito che deve essere debitamente analizzato dall’Agenzia in modo adeguato e secondo corretti canoni sostanziali e processuali. Allegava ed evidenziava inoltre come i costi sostenuti nell’annualità oggetto di esame, sarebbero stati irrisori, tali da eliminare ogni dubbio circa la presenza di collaboratori o l’impiego di supporti tecnici o logistici, al di fuori di quelli minimi per l’esercizio della professione nei termini concretamente dimostrati.
La Corte di Cassazione, con sentenza citata, accoglieva il ricorso del contribuente-professionista ribadendo i principi posti nella nota sentenza del 2011 (numero 26161) e così successivamente, collocandosi nel solco di un orientamento via via consolidatosi.
In particolare, nel caso concreto, non ravvisava la presenza né di beni strumentali eccedenti il minimo ritenuto comunemente indispensabile per lo svolgimento della professione né lavoro altrui non occasionale.
Censurava le deduzioni della Commissione Regionale che avrebbe dedotto dal solo requisito del reddito, di nessun pregio quale indice di assoggettamento all’IRAP, la presenza di autonoma organizzazione e quindi il presupposto impositivo di cui all’articolo 2 del citato Decreto Legislativo.
Rinviava alla Commissione in diversa composizione per la statuizione anche sulle spese di lite.
La sentenza è ad ogni effetto condivisibile ed in linea con l’orientamento di legittimità post-2011, con riguardo al significato da attribuirsi al presupposto dell’organizzazione autonoma in ambito professionale individuale, laddove, molto spesso, il reddito complessivo è determinato dalla persona del professionista e non dai mezzi a disposizione; ciò è oltremodo intuibile e giustificabile nell’ambito delle professioni cd. “protette”, dove in assenza del professionista sarebbe assai difficile, per non dire impossibile, immaginare la produzione di un reddito da lavoro autonomo.
Riscontra, inoltre, come la questione IRAP per i professionisti costituisca, dopo anni, ancora un fattore critico per il sistema tributario sì da suggerire un intervento chiarificatore a livello normativo.