Assegno divorzile: la Corte di Cassazione conferma i principi per la determinazione
La Corte di Cassazione (sentenza 5/2/2014 n. 2546) in ordine alla quantificazione dell'assegno in sede di divorzio

Con sentenza del 5 febbraio 2014 numero 2546, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, adita su ricorso avverso pronuncia della Corte di Appello di Roma, ha, nel confermare la correttezza della motivazione esposta dalla Corte Territoriale, riaffermato i principi che devono governare il giudice di merito in sede di delibazione delle condizioni per la debenza dell’assegno divorzile a favore del coniuge richiedente e per la sua concreta determinazione.
In particolare, la Corte, facendo richiamo al proprio stabile orientamento, individua una duplice fase con differenti scopi e finalità.
Una prima fase, nella quale il giudice di merito è chiamato a stimare, in astratto, la sussistenza del diritto invocato, avendo riguardo a tutti gli elementi, anche comparativi, fissati al momento del divorzio: inadeguatezza di mezzi ovvero oggettiva impossibilità di conseguirli, raffronto con il tenore di vita accertato nel corso del matrimonio o giustamente atteso, fissazione del limite massimo della misura dell’assegno in caso di decisione affermativa sull’esistenza del diritto.
Una seconda fase, che muove dalla prima, in cui lo stesso giudice deve, in concreto, procedere alla quantificazione dell’assegno sulla base di una valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati dall’articolo 5 della legge 898 del 1970 (come modificato), apprezzamento che potrebbe condurre, ove ricorrano i presupposti, ad un completo azzeramento (e non solo ad una moderazione) della quantificazione massima operata nel corso della prima fase.
Detta differenziazione viene ricordata dalla Corte a fronte della denunciata contraddittorietà, ad opera del coniuge ricorrente, della pronuncia della Corte Territoriale che, ove da un lato accertava e motivava l’oggettiva impossibilità da parte del coniuge richiedente di trovare una consona occupazione, in seguito riduceva l’ammontare dell’assegno stabilito sull’affermazione che il coniuge stesso non si fosse impegnato in maniera adeguata alla ricerca di un’occupazione, a decorrere dal momento della separazione.
Invero, la Corte non rileva alcuna ragione di contraddittorietà nella motivazione, posto che l’analisi condotta dalla Corte Territoriale si disponeva, come risulta manifestamente, nel rispetto della distinzione delle due fasi evidenziate: nella prima fase, in astratto, veniva riconosciuto il diritto all’assegno, nella seconda, a cagione del mancato impegno per la ricerca di un lavoro, veniva operata, nel concreto, una riduzione nell’ammontare.
Si tratta di pronuncia che non si discosta da un orientamento, come segnalato dalla Corte, ormai consolidato e che merita condivisione, segnatamente riguardo ai criteri che operano nel secondo momento, nella seconda fase di determinazione concreta dell’assegno e che, se valutati con proprietà di analisi, possono condurre ad un’esclusione del medesimo; sia pure nella riconosciuta sussistenza, in astratto e nella prima fase concettualmente anteriore, del diritto invocato dal coniuge richiedente.