Commissione al lavoro per riformare (ancora) il codice di procedura civile
Sul lavoro della Commissione per la riforma del processo civile. Modificare solo per il gusto di modificare talvolta è dannoso

Oggi si insedia ufficialmente presso l'Ufficio legislativo del ministero della Giustizia, la Commissione incaricata dal Guardasigilli Andrea Orlando di "elaborare proposte e interventi in materia di processo civile". L'obiettivo sarebbe quello di ridare velocità ai processi, più tutela alle famiglie, certezze alle imprese con una proposta di legge delega da sviluppare nei prossimi sei mesi.
I nomi degli 11 componenti della commissione sono i seguenti: Presidente Giuseppe Maria Berruti, presidente di sezioe della Corte di Cassazione, Renzo Menoni, avvocato e presidente dell'Unione delle camere civili, Rosanna De Nictolis, presidente di sezione del Consiglio di Stato, Stefano Recchioni, professore ordinario di diritto processuale civile all'Università di Cassino e del Lazio meridionale; Pietro Sirena, professore ordinario di istituzioni di diritto privato all'Università di Siena; Rosaria Maria Castorina, giudice del Tribunale di Catania; Oronzo De Masi, consigliere della Corte di appello di Roma; Paolo Spaziani, vice capo ufficio legislativo del ministero dell'Economia e Finanze, sezione Finanza; Giacomo Travaglino, consigliere in Cassazione.
Raramente questo sito commenta decisioni, politiche o giudiziarie che siano; tuttavia interviene ogni qual volta si presenta l'opportunità di rendere pubblico un consiglio, una istanza, nella speranza che qualcuno ascolti anche questa voce, una voce tecnica, professionale.
Già il Consiglio Nazionale Forense ha avvisato, qualche mese fa, della non positiva ricaduta delle ultime riforme processualistiche sulla concreta celerità del processo. Tanto da far affermare che non di riforme il processo ha bisogno, bensì di nuove metodologie e, soprattutto, di più risorse.
Non è attribuibile a "colpe" del codice di procedura civile il termine di rinvio fra una udienza di trattazione e l'altra superiore ad un anno, né analogamente la fissazione di una udienza di precisazione delle conclusioni ad oltre due anni dopo l'ultima udienza istruttoria, né, infine, se dopo il deposito della minuta la sentenza resta per un anno in cancelleria sentenze perché tre soli cancellieri devono pubblicare e comunicare 80.000 sentenze all'anno (questione apparsa alla cronaca nei social qualche giorno fa).
Si leggono nei comunicati stampa delle affermazioni che inneggiano ad un atteggiamento a dir poco reprensibile.
Si parla di "fare presto", anche ricorrendo alla "chirurgia di guerra", di creare "corsie preferenziali" per le imprese al fine, ovvio, di incentivare gli investimenti e per richiamare capitali; infine, e tutti gli operatori del settore lo stavano aspettando al varco, la revisione del sistema delle impugnazioni per snellire il processo di appello "che avrà solo la finalità di correggere gli errori, se ci sono stati, e non di dilatare i tempi e rimettere tutto in discussione", che è una frase, quest'ultima, che significa tutto-tutto/niente-niente: l'appello viene fatto sempre per correggere quello che si considera un errore. A leggere certe cose si ha il timore che vi sia molta propaganda e poche idee su come risolvere il problema dei tempi della giustizia in Italia.
Non va dimenticato che una causa non è un numero su un fascicolo e che il "rendere giustizia" significa sedare e comporre tensioni; ciò deve essere fatto in modo "giusto", quanto più possibile. Il cittadino non può e non deve subire una "ingiustizia" proprio dall'apparato giudiziario. Le conseguenze, a lungo termine sarebbero gravissime e non occorre parlarne.
Parte dei giuristi pensa che il grado di appello sia una reminescenza obsoleta, necessaria nella società divisa del dopo guerra ma che, in epoca moderna, non ha più ragione d'essere. In fin dei conti la sentenza di primo grado è pur sempre stata emessa da un giudice e quindi deve essere accettata. Il ragionamento non fa una piega: ci si dovrà preoccupare, quindi, della capacità e preparazione di quel giudicante che, in caso di eliminazione dell'appello, dovrà essere il più preparato possibile, sotto il profilo giuridico e sotto il profilo umano, due attributi non alternativi ma necessariamente inscindibili. La presenza di giudicanti "disturbati" per varie ragioni nello svolgimento sereno e soffisfatto del proprio compito non potrà più essere, allora, "sopportata" dalla struttura giudiziaria.
Gran parte dei processi civili si fonda sul lavoro di un consulente tecnico. La CTU è lo strumento istruttorio principe nella stragrande maggioranza dei processi. Non si è mai sufficientemente approfondito il tema della preparazione e correttezza dei CTU né della modalità di tenuta e revisione dell'albo dei CTU. Argomento non di poco conto perché, ad esempio, spesso gli appelli venivano fatti sperando nell'accoglimento di una istanza di revisione della perizia depositata in primo grado, piena di errori e superficiale. Se sbaglia il giudice ci sarebbe l'appello, ma se sbaglia il CTU?
E poi, i tempi non sono eccessivi solo in appello ma anche nel primo grado. Metter mano al gravame non risolve affatto il primo grado il quale, anzi, dovrà essere più attento e ricco di elementi di maggiore comprensione del caso (visto che potrebbe essere l'unico grado a disposizione). Non si può tagliare a destra e a sinistra; si rischia che non resti più niente.
Si potrà discutere di de-giurisdizionalizzare. Non tutto deve passare sotto lo sguardo di un magistrato. Se non c'è contenzioso non serve. Ad esempio se due persone possono diventare coniugi senza la presenza di un magistrato ma con la presenza di un sindaco, analogamente potrà essere nel caso in cui tale vincolo si voglia sciogliere con accordi già trovati. I Notai e gli Avvocati si sono già fatti avanti.
Anche l'esecuzione forzata potrà essere delegata extra giudizio per una buona parte e lo vediamo nella applicazione pratica dove gran parte del lavoro viene compiuto dal cancelliere. E così via, si può immaginare anche in altri settori (parte della volontaria giurisdizione?).
Ma fuori dalla giurisdizione chi si occuperà di questi compiti? La domanda, in fin dei conti, è: se ne vuole occupare lo Stato (dando, comunque, risorse di ogni genere ai nuovi progetti) oppure no?
Di quando al de-giurisdizionalizzare si aggiunge il privatizzare abbiamo già l'esempio importante della mediazione obbligatoria. Checché se ne dica è il primo esempio concreto di strada veramente alternativa al contenzioso giudiziario e, ad oggi, sembra che raccolga la soddisfazione degli operatori del settore. Un modo per evitare di calare dall'alto una decisione e di aiutare le parti a trovare una composizione condivisa. La giustizia si ritrova spesso a lavorare con la psicologia umana ed è giusto che uno stato moderno si adegui. Ciò a cui si mira sempre è l'armonia sociale e la riparazione dei torti, anche sotto il profilo della soffisfazione mentale.
Il Processo Civile Telematico è già in estremo ritardo rispetto alla gestione di una tale mole di documenti che ne avrebbe fatto una azienda privata. Codici a barre con lettori ovunque, software personalizzati per la gestione documentale, software di dettatura dei testi. Il fascicolo deve essere sempre a portata di mano nella consolle del magistrato parendo un refuso del secolo scorso la "cerca" del fascicolo scomparso nelle cancellerie. Giustamente ogni ultimo governo ha tenuto premuto l'acceleratore sul punto e deve continuare a farlo. Ma perché non introdurre novità come l'audizione del teste a distanza (teleconferenza) e cose del genere (il Tribunale di Cremona pare fare scuola).
Non resta che augurare a così illustri Commissari un buon lavoro.
Solamente un ultimo appunto.
La fretta è cattiva consigliera. Più interessante è avere una visione chiara del futuro.
Anni fa è apparso un libro il cui titolo suonava qualcosa come "Perché corri se vai nella direzione sbagliata?".
Correre per correre non solo è inutile ma talvolta è dannoso.
Modificare solo per il gusto di modificare (far vedere che si è fatto qualcosa) segue la stessa logica.