Ancora sulla trascrizione del matrimonio same-sex
Orientamenti di merito sulla trascrivibilita' del matrimonio di persone omosessuali e sentenza TAR Lazio, 9 marzo 2015, n. 3907

La sentenza in commento scrive un nuovo capitolo della vicenda relativa alla decisione del Sindaco di Roma che, nell’ottobre scorso, aveva provveduto a trascrivere nel Registro di Stato civile del comune della Capitale il matrimonio contratto all’estero di alcune coppie omosessuali, suscitando molto scalpore e la netta condanna da parte del Ministero dell’Interno. Tale reazione si era poi concretizzata nella decisione del Prefetto della provincia di Roma di annullare la trascrizione dei matrimoni in questione, ivi compreso quello di due donne italiane, unitesi in matrimonio in Spagna nel 2010, che decidevano di impugnare il provvedimento prefettizio e di rivolgersi al Tar.
Il Tribunale amministrativo, pur accogliendo il ricorso quanto alle censure di illegittimità dell’atto del Prefetto, passa in rassegna lo stato attuale della normativa italiana in materia di recepimento e trascrivibilità nel nostro ordinamento di matrimoni tra persone dello stesso sesso ed esclude tale possibilità, anche alla luce dell’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale.
In particolare, l’art. 27, comma 1, della legge n. 218/1995 (recante la riforma del diritto internazionale privato), stabilisce che la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio.
Da tale disposizione, letta in combinato disposto con l’art. 115 del codice civile, secondo cui “il cittadino è soggetto alle disposizioni contenute nella sezione prima di questo capo, anche quando contrae matrimonio in paese straniero secondo le forme ivi stabilite, consegue che – a prescindere della validità formale del matrimonio celebrato applicando una legge straniera -, all’ufficiale di stato civile italiano spetta, ai fini della trascrizione, il potere/dovere di verificare la sussistenza dei requisiti sostanziali necessari (avuto riguardo alla normativa nazionale) per celebrare un matrimonio che possa avere effetti giuridicamente rilevanti.
Per effetto di quanto sopra, quindi, la diversità di sesso dei nubendi costituisce un requisito sostanziale necessario affinché il matrimonio produca effetti giuridici nell’ordinamento italiano, posto che, allo stato, l’istituto del matrimonio si fonda sulla diversità di sesso dei coniugi.
Ciò si evince chiaramente, secondo il Tar, dall’art. 107 c.c., il quale stabilisce che l’ufficiale dello stato civile “riceve da ciascuna delle parti personalmente, l'una dopo l'altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie, e di seguito dichiara che esse sono unite in matrimonio”.
In linea con tale assunto si pongono anche le disposizioni contenute negli articoli 108, 143 e 143 bis del codice civile, e l’art. 64, comma 1, lett. e) del d.P.R. n. 396/2000.
Peraltro la normativa nazionale, che non consente la celebrazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e la sua trascrizione nei registri dello stato civile, è stata ritenuta costituzionalmente legittima. Con sentenza n. 138 del 2010 la Corte Costituzionale ha, infatti, affermato che l’art. 29 Cost. si riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice civile come unione tra persone di sesso diverso e questo significato del precetto costituzionale non può essere superato con un’interpretazione creativa né, peraltro, con specifico riferimento all’art. 3, comma 1, Cost., le unioni omosessuali possono essere ritenute tout court omogenee al matrimonio. Con sentenza n. 170 dell’11 giugno 2014, la Consulta è, altresì, intervenuta sulla normativa che prevede l’automatica cessazione degli effetti civili del matrimonio in caso di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei due coniugi, affermando che “la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente (cui conferisce tutela l’art. 29 Cost.) è quella stessa definita dal codice civile del 1942 che stabiliva e tuttora stabilisce che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso”, segnalando il requisito dell’eterosessualità del matrimonio.
La Consulta ha stabilito che tra le formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., in grado di favorire il pieno sviluppo della persona umana nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico, rientra anche l’unione omosessuale ma, ha evidenziato che spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità politica, individuare con atto di rango legislativo le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, scegliendo, in particolare, se equiparare tout court il matrimonio omosessuale a quello eterosessuale, ovvero introdurre forme diverse di riconoscimento giuridico della stabile convivenza della coppia omosessuale. In tale contesto, la Corte costituzionale ha ritenuto di poter intervenire solo per tutelare specifiche situazioni, come avvenuto con le sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988, in materia di locazioni e di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale per le convivenze more uxorio.
In conclusione, secondo il Tribunale amministrativo, allo stato dell’attuale normativa nazionale italiana, il matrimonio celebrato all’estero tra persone dello stesso sesso risulta privo dei requisiti sostanziali necessari per procedere alla sua trascrizione, ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 396/2000.
Tale assunto è in linea anche con l’orientamento della Cassazione la quale ha affermato che “l’intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende non più dalla loro inesistenza e neppure dalla invalidità, ma dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano” (Corte di Cassazione, sentenza n. 4184 del 2012, la quale concerne una vicenda analoga a quella oggetto del giudizio in commento, relativa ad una richiesta di trascrizione di un matrimonio contratto all’estero da due cittadini italiani dello stesso sesso, rifiutata dall’ufficiale di stato civile del Comune di Latina).
La disciplina nazionale, inoltre, a mente dei giudici amministrativi, non risulta neppure in aperto contrasto con la normativa europea, se si considera quanto stabilito dagli articoli 12 della CEDU e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (cd. “Carta di Nizza”).
L’articolo 12 della CEDU, infatti, stabilisce che “uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto”, e, quindi, fa riferimento alla nozione tradizionale di matrimonio fondato sulla diversità di sesso dei nubendi, rinviando alla legislazione dei singoli Stati per la disciplina delle condizioni che regolano l’esercizio del diritto.
L’articolo 9 della Carta di Nizza, invece, prevede che “il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”, omettendo il riferimento alla diversità di sesso dei nubendi e lasciando, così, al legislatore nazionale la possibilità di riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso.
La stessa Corte Europea dei diritti dell’uomo, con pronuncia del 24 giugno 2010 – Prima Sezione, caso Schalk e Kopf contro Austria – ha affermato che il rifiuto dell’ufficiale di stato civile di adempiere le formalità richieste per la celebrazione di un matrimonio tra persone dello stesso sesso non contrasta con la CEDU, osservando che il matrimonio ha connotazioni sociali e culturali radicate che possono differire molto da una società all’altra sicché, va rimessa ai legislatori nazionali di ciascuno Stato aderente la decisione di permettere o meno il matrimonio omosessuale e la conseguente decisione in merito alla trascrivibilità o meno dello stesso. Concludendo sul punto, il Tar afferma che, allo stato dell’attuale normativa e fatto salvo un intervento legislativo al riguardo, che ponga la legislazione del nostro Paese in linea con quella di altri Stati, europei e non, le coppie omosessuali non vantano in Italia né un diritto a contrarre matrimonio, né la pretesa alla trascrizione di unioni celebrate all’estero, anche se le unioni tra persone dello stesso sesso non possono essere considerate contrarie all’ordine pubblico.
Questa l’interpretazione del Tribunale amministrativo che si pone assolutamente in linea con quello che appare, tanto in dottrina che in giurisprudenza, l’indirizzo più corretto e rispettoso del dettato normativo.
Vero che nel corso del tempo non sono mancate voci fuori dal coro, come la senz’altro nota sentenza del Tribunale di Grosseto del 9 aprile 2014, secondo cui la trascrizione in Italia del matrimonio contratto all’estero da persone dello stesso sesso è legittima e ammissibile. A mente dei giudici toscani, infatti, l’art. 27 della l. 218/1995 conterrebbe un implicito richiamo alle condizioni necessarie per contrarre matrimonio di cui agli artt. 84 ss. c.c. e che gli artt. 84-88 c.c. non contengono, invece, alcun riferimento alla necessaria diversità di sesso fra i coniugi.
Tale ragionamento, tuttavia, appare discutibile se si legge il complesso delle disposizioni che regolano la materia senza forzature o eccessivi spunti di creatività.
Certamente in linea con la attuale decisione del Tar del Lazio è, invece, la pronuncia del Tribunale di Pesaro del 21 ottobre 2014 che ha ordinato la cancellazione dai registri dello stato civile del comune di Fano della trascrizione di un matrimonio omosessuale celebrato in Olanda.
I dubbi interpretativi, tuttavia, non si limitano ad investire la possibilità e la legittimità della trascrizione, ma investono anche la competenza a decidere in ordine all’eventuale illegittimità della trascrizione. In altri termini non è chiaro, almeno fino alla pronuncia oggi in commento, se la trascrizione ritenuta illegittima debba essere impugnata innanzi al giudice ordinario, che potrebbe ordinare la cancellazione della trascrizione (come ha fatto il Tribunale di Pesaro), ovvero se spetti al Prefetto l’intervento per l’annullamento della stessa.
I giudici del Tar del Lazio risolvono la questione e affermano che spetta solo all'Autorità giudiziaria disporre la cancellazione di un atto indebitamente registrato nel Registro degli atti di matrimonio, posto che: le registrazioni dello stato civile non possono subire variazioni se non in limitati casi normativamente previsti in modo espresso; l'ufficiale di stato civile ha solo il potere di aggiornare i registri e di correggere gli errori materiali; ogni rettificazione o cancellazione è attribuita alla competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria; fra le annotazioni possibili nel registro dei matrimoni non è previsto alcun atto di annullamento o di autotutela ma, solo l'annotazione della rettificazione giudiziaria. Di conseguenza, una volta eseguita la trascrizione di un atto nel registro degli atti di matrimonio (ai sensi dell'art. 63 del Regolamento), la stessa possa subire modificazioni o cancellazioni solo forza di un provvedimento dell'autorità giudiziaria e non anche a causa dell’adozione di un provvedimento amministrativo.
Non si può che prendere atto della compiutezza e correttezza della pronuncia del Tar anche nell’auspicio, che si legge a chiare lettere tra le righe, di un rapido intervento del legislatore che ponga rimedio alla colpevole inerzia normativa finora tenuta.
Quest’auspicio, peraltro, viene rivolto al nostro Paese anche dal Parlamento europeo che lo scorso 12 marzo, nell’ambito del rapporto sui diritti umani (il cui relatore è proprio un eurodeputato italiano), ha invitato gli Stati e le istituzioni comunitarie a contribuire alla riflessione perché quello dei matrimoni e delle unioni civili tra persone dello stesso sesso sia un tema politico, sociale, umano e civile. È di ieri l’annuncio del Governo circa l’intenzione di provvedere all’approvazione di un provvedimento sulle unioni civili entro la primavera.
Attendiamo.
Avv. Francesca Fioretti
Di seguito il testo della sentenza TAR Lazio, 9 marzo 2015, n. 3907:
Fatto
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