Sorte del matrimonio dopo il cambio di sesso di uno dei coniugi secondo la Corte di Cassazione
Il cambiamento di sesso non comporta l'automatica cessazione degli effetti civili del matrimonio. Nota a Corte di Cassazione sentenza n. 8097/15

È giunta finalmente al termine l’avventura giudiziaria di due coniugi bolognesi, il cui caso, passato anche attraverso il vaglio della Corte Costituzionale, ha creato un vuoto normativo di rilievo tale da non poter essere ignorato ancora a lungo dal legislatore.
La vicenda.
Tizio, unito in matrimonio con Caia, aveva proposto domanda di rettificazione e attribuzione di sesso femminile al Tribunale di Bologna, che, con sentenza – disposta la rettificazione – ordinava all’ufficiale di stato civile la modifica dell’atto di nascita e l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio, con la specificazione dell’intervenuta cessazione degli effetti civili del matrimonio.
I coniugi ricorrevano al Tribunale di Modena per ottenere la cancellazione di tale ultima annotazione, in quanto non avevano intenzione di porre fine alla loro unione matrimoniale. Il tribunale accoglieva le doglianze dei coniugi, ma la pronuncia veniva successivamente riformata dalla Corte d’Appello per effetto del reclamo proposto dal Ministero dell’Interno.
La Corte di Cassazione, investita del ricorso, rimetteva alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale degli art. 2 e 4 L. n. 164 del 1982, nella formulazione ratione temporis applicabile, con riferimento ai principi costituzionali sanciti negli art. 2, 3, 24 e 29 Cost., nella parte in cui prevedono che la sentenza di rettificazione e di attribuzione di sesso produca l’automatica cessazione degli effetti civili del matrimonio, senza la necessità di una pronuncia giudiziale, nonché nella parte in cui dispongono la notificazione del ricorso per rettificazione di sesso all’altro coniuge senza riconoscere a quest’ultimo il diritto di opporsi allo scioglimento del vincolo coniugale in quel giudizio, né di esercitare detto potere in altro giudizio; ed infine con riferimento all’art. 3 Cost. per l’ingiustificata disparità di regime tra tale ipotesi di scioglimento e quelle indicate nell’art. 3 sub I lettere a, b, c e sub II lettera d della L. n. 898 del 1970.
La sentenza della Consulta.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 170 del 2014, ha dimostrato di condividere la sostanza degli argomenti proposti dal giudice a quo, scegliendo tuttavia di muoversi con cautela e di rimettere al legislatore la soluzione concreta del problema.
La Consulta, richiamando la ben nota sentenza n. 138/2010, ribadisce il riconoscimento alle unioni omosessuali della dignità di formazioni sociali riconducibili all’art. 2 Cost., il cui trattamento giuridico deve essere affidato al legislatore con scelte apposite, ma sottolinea che il matrimonio, allo stato attuale dell’ordinamento, rimane ancorato al requisito della diversità dei sessi dei coniugi. Di conseguenza, non può sussistere un diritto della coppia omosessuale a rimanere unita nel vincolo del matrimonio. Tuttavia, prosegue la Corte, la situazione dei coniugi che abbiano cambiato sesso nel corso del matrimonio “non è neppure semplicemente equiparabile a un’unione di soggetti dello stesso sesso, poiché ciò equivarrebbe a cancellare, sul piano giuridico, un pregresso vissuto nel cui contesto quella coppia ha maturato reciproci diritti e doveri, anche di rilievo costituzionale, che, seppur non più declinabili all’interno del modello matrimoniale, non sono, per ciò solo, tutti necessariamente sacrificabili”.
In altri termini, se è vero che il matrimonio non può proseguire, è altrettanto vero che non può essere cancellato come se non fosse mai stato vissuto, tanto più quando i soggetti interessati non attribuiscono valore determinante e caratterizzante alla scelta del mutamento del sesso di uno dei due e vogliono proseguire nella loro unione. La costrizione al divorzio imposta dalla legge, lede un diritto fondamentale della persona e configura, dunque, una lesione dell’art. 2 Cost. Secondo la Consulta, infatti, “ciò che non può essere costituzionalmente tollerato, in virtù della protezione costituzionale (nonché ex art. 8 CEDU) di cui godono le unioni tra persone dello stesso sesso, è che, per effetto del sopravvenuto non mantenimento del modello matrimoniale, tali unioni possano essere private del nucleo di diritti fondamentali e doveri solidali propri delle relazioni affettive sulle quali si fondano le principali scelte di vita e si forma la personalità sul piano soggettivo e relazionale”. Per tali motivi, dunque, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della L. 14 aprile 1982 n. 164, nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, conseguenti alla trascrizione del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore.
La pronuncia della Cassazione del 21 aprile 2015.
La Suprema Corte, recepisce l’insegnamento della Corte Costituzionale e qualifica la pronuncia come “additiva di principio”, la quale non immette direttamente nell’ordinamento una concreta regola positiva (come avviene per le sentenze manipolative in senso stretto), non intendendo invadere la competenza legislativa del Parlamento. Non è contestabile – secondo la Suprema Corte – che vi sia necessità immediata e senza soluzione di continuità di uno statuto sostanzialmente equiparabile, sul piano dei diritti e doveri di assistenza economico, patrimoniale e morale reciproci, a quello derivante dal vincolo matrimoniale per le coppie già coniugate che si vengono a trovare nella particolare situazione dei ricorrenti che abbia natura imperativa e che debba essere applicato con l’efficacia stabilita dall’art. 136 Cost.
La sentenza, inoltre, ha voluto indicare al giudice rimettente (la Cassazione stessa) il principio, ovvero il nucleo di diritti da proteggere. Tale principio impone un adeguamento necessario che non può che comportare la rimozione degli effetti della caducazione automatica del vincolo matrimoniale sul regime giuridico di protezione dell’unione, fino a che il legislatore non intervenga a riempire il vuoto normativo, costituzionalmente intollerabile, consistente nella mancanza di un modello di relazione tra persone dello stesso sesso all’interno del quale far confluire le unioni matrimoniali contratte originariamente da persone di sesso diverso e divenute, successivamente, del medesimo sesso.
La Cassazione, pertanto, nel dare attuazione alla declaratoria d’illegittimità costituzionale, accoglie il ricorso e riconosce alla coppia la conservazione del riconoscimento dei diritti e dei doveri conseguenti al vincolo matrimoniale legittimamente contratto, fino a quando il legislatore non gli consenta di mantenere in vita il rapporto giuridicamente regolato con un’altra forma di convivenza registrata, che ne tuteli adeguatamente diritti e doveri. Cassa la sentenza impugnata e dichiara illegittima l’annotazione degli effetti civili del matrimonio apposta a margine dell’atto di matrimonio delle ricorrenti, disponendone la cancellazione.
Avv. Francesca Fioretti
Di seguito il testo di Corte di Cassazione Sez. I, sentenza 21 aprile 2015 n. 8097
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE, Sentenza 21 aprile 2015 n. 8097
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