Diritto di ritenzione del creditore sui beni del debitore: ambito di operatività

Diritto di Ritenzione: solo nei casi indicati dalla legge, il creditore gode di un privilegio speciale sui beni del debitore che gli consente di ritenerli (art. 2756 c.c.)

- di Avv. Marcella Ferrari
Tempo di lettura: 3 minuti circa
Diritto di ritenzione del creditore sui beni del debitore: ambito di operatività

Solo nei casi indicati dalla legge, il creditore gode di un privilegio speciale sui beni del debitore che gli consente di ritenerli sino a che il suo credito non venga integralmente soddisfatto (art. 2756 c.c.)

Nella communis opinio si ritiene legittima la condotta di chi, dovendo ricevere un pagamento, trattenga i beni del debitore a titolo di garanzia. Non sempre, però, un comportamento siffatto è lecito. La presente disamina intende definire l’ambito di operatività del diritto di ritenzione ed illustrarne la natura.

Il codice civile all’art. 2756 c. 3 prevede, expressis verbis, il diritto in capo al creditore di ritenere la res sino a che il suo credito non venga soddisfatto. Più precisamente, la norma fa riferimento alla «cosa oggetto di privilegio». Orbene, il privilegio è una causa legittima di prelazione, unitamente a pegno ed ipoteca. Secondo la definizione normativa (art. 2745), è la preferenza che la legge accorda, in considerazione della causa del credito, ai creditori privilegiati. Tali creditori sono “preferiti” rispetto ai creditori comuni (i cosiddetti chirografari) nella distribuzione del ricavato della vendita forzata dei beni gravati da privilegio. In particolare, il privilegio speciale è un diritto reale di garanzia che può esercitarsi anche in pregiudizio dei diritti acquistati posteriormente da terzi (art. 2747 c. 2). Il suddetto privilegio presenta il carattere della realità, vale a dire l’inerenza del diritto al bene. Quest’ultima può definirsi come l’incorporazione tra diritto e cosa1. In altri termini il diritto, essendo inerente alla cosa, circola con essa. A tal proposito, si parla anche di privilegi possessuali2, ossia privilegi che si appuntano su beni determinati a patto che siano nel possesso del creditore. Un esempio tipico è quello del privilegio del vettore sulle cose trasportate sinché rimangono “presso di lui” (art. 2761 c.c.).
Il privilegio sui beni mobili, relativamente ai crediti per prestazioni e per spese relative al miglioramento ed alla conservazione dei mobili stessi, è sussistente sinché esiste un rapporto materiale di detenzione con essi (art. 2756 c.c.).3 Trattasi di un privilegio speciale equiparato quoad effectum al diritto di pegno, dal momento che crea un vincolo di destinazione del bene al soddisfacimento del credito e, in caso di inadempimento, dà luogo ad un meccanismo espropriativo. L’esecuzione può essere duplice: quella ordinaria (esecuzione forzata mobiliare) e quella “privata” di cui all’art. 2797 c.c.

Il diritto di ritenzione può esercitarsi unicamente nei casi previsti dalla legge e non è suscettivo di applicazione analogica, pertanto, al di fuori di tali ipotesi, la condotta del creditore che trattenga i beni del debitore non può considerarsi legittima. Le ipotesi legali di prelazione, dunque, possono essere oggetto di interpretazione estensiva, giammai di applicazione analogica4 (Corte Cass., S.U., 17 maggio 2010 n. 11930). Le norme che disciplinano i privilegi, infatti, sono di diritto eccezionale e non ammettono analogia5. In materia, anche l’autonomia privata non ha margine di azione, in quanto i privilegi rappresentano un numerus clausus6.

I presupposti menzionati nell’art. 2756 c.c. consistono in un rapporto funzionale tra il bene ed il credito. Un esempio scolastico di applicazione della norma è il diritto del carrozziere a ritenere il veicolo sino al pagamento del lavoro eseguito. Si tratta, pertanto, del diritto del prestatore d’opera nei confronti del committente (art. 2222 c.c.)7. Un’altra ipotesi è rappresentata dal diritto dell’albergatore di trattenere i beni degli ospiti a garanzia del credito per “mercedi e somministrazioni” o di quello dello spedizioniere, del mandatario, del depositario e del vettore (art. 2761 c.c.)

Il diritto di ritenzione è un diritto accessorio rispetto all’obbligazione principale ed accede ad un credito che sia certo, liquido ed esigibile. La certezza risiede nella non contestazione del credito; la liquidità nell’esatta determinazione del quantum e l’esigibilità nell’attualità del diritto di chiedere la prestazione.

Un professionista, come un avvocato8, un commercialista o un geometra, non può trattenere la documentazione del cliente per ottenere il pagamento dovuto; tale condotta fuoriesce da quella descritta dall’art. 2756 c.c. ed è illecita, a seconda dei casi, può esporre il creditore a conseguenze anche penalistiche, dall’appropriazione indebita (art. 646 c.p.) all’esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392 c.p.). Infatti, le ipotesi in cui la ritenzione è legittimamente ammessa, ut supra ricordato, sono tassative.

Avv. Marcella Ferrari
Avvocato del Foro di Savona

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1 Definizione tratta da F. CARINGELLA – G. DE MARZO, Manuale di diritto civile, Milano, Giuffrè, 2007, 491 ss.

2 Cfr. A. NERVI, voce Privilegio generale e speciale, in Il diritto, enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, a cura del Prof. Avv. Salvatore Patti, Vol. 11, Milano, 2007, 473 ss.

3 In tal senso Corte Cass., Sez. III, 5 aprile 1991 n. 3546.

4 Così A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, Giuffrè, 2013, 445 ss.

5 M. DI PIRRO, Manuale di istituzioni di diritto privato, Napoli, Simone, 2013, 486 ss.

6 Per un approfondimento, F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, XV ed., Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011, 658 ss.

7 Nel codice civile possono trovarsi svariate applicazioni del diritto di ritenzione; si pensi, ad esempio, al diritto dell’usufruttario di trattenere i beni in suo possesso sino alla concorrenza della somma a lui dovuta (art. 1011 c.c.).

8 Nel caso dell’avvocato, la condotta del legale che subordini la restituzione dei documenti al pagamento del corrispettivo integra un illecito disciplinare (art. 33 c. 2 del codice deontologico forense approvato dal CNF nella seduta del 31 gennaio 2014).

 

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