La Consulta sulla costituzionalità della sospensione del processo con messa alla prova

La Consulta ritorna sulla costituzionalità della disciplina in tema di sospensione del processo con messa alla prova. Corte Costituzionale Ord. n. 237 del 10/11/2016

- di Avv. Tiziana Caboni
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La Consulta sulla costituzionalità della sospensione del processo con messa alla prova

La Consulta ritorna sulla costituzionalità della disciplina in tema di sospensione del processo con messa alla prova. Un commento a Corte Costituzionale, 10/11/2016 (c.c. 21/9/2016) Ordinanza n. 237 (Presidente: Grossi; Relatore:Criscuolo)

 

Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 464-quater, comma 1, c.p.p., in riferimento agli artt. 3, 111, comma 6, 25, comma 2, e 27, comma 2, Cost.; dell’art. 168-bis, commi 2 e 3, c.p., in riferimento all’art. 25, comma 2, Cost.; dell’art. 464-quater, comma 4, c.p.p., in riferimento agli artt. 97, 101 e 111, comma 2, Cost., e degli artt. 464-quater e 464-quinquies c.p.p. in riferimento all’art. 27, comma 2, Cost.

 

sommario:
1. La questione e le argomentazioni addotte dal giudice remittente.
2. La decisione della Consulta

 

 

1. La questione e le argomentazioni addotte dal giudice remittente

L’ordinanza in esame trae origine dalla remissione ad opera del Tribunale ordinario di Grosseto con tre ordinanze di contenuto identico (nn. 157, 158 e 159 del 20151) della questione di legittimità costituzionale

- dell’art. 464-quater, comma 1, c.p.p.2, “nella parte in cui non prevede che il giudice, ai fini di ogni decisione di merito da assumere nel procedimento speciale di messa alla prova, proceda alla acquisizione e valutazione degli atti delle indagini preliminari di cui già altrimenti non disponga, restituendoli per l’ulteriore corso nel caso di esito negativo della pronuncia sulla concessione o sull’esito della messa alla prova” per violazione degli artt. 3, 111, comma 6, 25, comma 2, e 27, comma 2, Cost.;

- dell’art. 168-bis, commi 2 e 3, c.p.3, “in quanto prescrive la applicazione di sanzioni penali legalmente indeterminate” per violazione dell’art. 25, comma 2, Cost., e dell’art. 464-quater, comma 4, c.p.p. “nella parte in cui prevede il consenso dell’imputato quale condizione di ammissibilità, di validità o di efficacia dei provvedimenti giurisdizionali modificativi o integrativi del programma di trattamento” per violazione degli artt. 97, 101 e 111, comma 2, Cost., ;

- degli artt. 464-quater e 464-quinquies c.p.p.4, “in quanto prescrivono la irrogazione ed esecuzione di sanzioni penali consequenziali ad un reato per cui non risulta pronunciata né di regola pronunciabile alcuna condanna definitiva o non definitiva” per violazione dell’art. 27, comma 2, Cost.

In particolare, il Giudice remittente, nell’argomentare le questioni di legittimità costituzionale sollevate5, aveva affermato, ricostruita la disciplina della messa alla prova, introdotto nel corpus codicistico con la l. 67/2014, e dunque la sua natura di “trattamento sanzionatorio criminale” dal cui esito applicativo positivo discenderebbe la causa di estinzione del reato, che il vigente ordinamento processuale e costituzionale assume come postulato dell’irrogazione di qualsiasi sanzione penale il presupposto indefettibile del convincimento del giudice relativo alla responsabilità dell’imputato per il reato oggetto di giudizio.

Diversamente, il procedimento a citazione diretta, nel quale l’istanza volta ad ottenere la sospensione del processo con messa alla prova è formulata prima dell’apertura del dibattimento, si connota per una procedura allo stato degli atti del fascicolo del dibattimento, con la conseguenza che i dati cognitivi in possesso del giudice assumono di regola un carattere evidentemente insufficiente o inidoneo a fornire una rappresentazione del fatto necessaria ai fini della formulazione di un giudizio di responsabilità penale dell’imputato.

In altri termini, l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 464-quater c.p.p. si tradurrebbe in “un provvedimento giurisdizionale di irrogazione di un trattamento giuridico di diritto penale criminale suscettibile di essere pronunciato sul presupposto di un convincimento di responsabilità di carattere letteralmente assurdo o mendace poiché implicitamente o esplicitamente formulato nonostante la indisponibilità degli elementi occorrenti a stabilire se alcun fatto sia avvenuto, come e da chi sia stato commesso e quale ne sia la qualificazione giuridica”.

Sulla base di tali premesse, il Tribunale ordinario di Grosseto, aveva ravvisato, in primo luogo, la violazione dell’art. 3 Cost., in forza del quale le enunciazioni consapevolmente incongrue o simulatorie non possono ritenersi il presupposto o lo strumento di trattamenti giuridici, dell’art. 464-quater, comma 1, c.p.p. (come accennato) “nella parte in cui non prevede che il giudice, ai fini di ogni decisione di merito da assumere nel procedimento speciale di messa alla prova, proceda alla acquisizione e valutazione degli atti delle indagini preliminari di cui già altrimenti non disponga, restituendoli per l’ulteriore corso nel caso di esito negativo della pronuncia sulla concessione o sull’esito della messa alla prova”.

La stessa norma del codice di rito veniva, inoltre, considerata violativa dell’art. 111, comma 6, Cost. per mancato dell’obbligo della motivazione del provvedimento, dell’art. 25, comma 2, Cost., fondamento costituzionale del principio che impone l’irrogazione della punizione criminale sulla base di un fatto previsto dalla legge come reato e “non anche in ragione della plateale finzione radicabile sulla mera contestazione processuale del medesimo”, e dell’art. 27, comma 2, Cost., il quale indica la necessaria cognizione storica e la valutazione giuridica del fatto quali presupposti del giudizio penale di responsabilità e della conseguente irrogazione della pena.

Non solo, ma la disciplina sostanziale dettata dall’art. 168-bis, commi 2 e 3, c.p. si porrebbe in contrasto con il principio di determinatezza delle pene di cui all’art. 25, comma 2, Cost. dal momento che prescriverebbe sanzioni indeterminate sia sul piano qualitativo sia su quello quantitativo: nel primo caso, infatti, il trattamento previsto per l’imputato potrebbe risolversi in vincoli conformativi e ablatori della libertà personale di intensità differente, mentre nel secondo la relativa durata fissata nel minimo di dieci giorni in relazione alla sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità apparirebbe totalmente indeterminata in riferimento alla misura alternativa dell’affidamento al servizio sociale.

Del resto, a giudizio del remittente, tale indeterminatezza non potrebbe essere colmata attraverso l’applicazione analogica dell’art. 464-quater, comma 5, c.p.p, il quale stabilisce unicamente la durata massima della sospensione del processo conseguente alla messa alla prova, e neppure dell’art. 657-bis c.p.p, in tema di criteri di ragguaglio applicabili in sede di determinazione della pena da espiare qualora la prova abbia esito negativo.

Ulteriore censura veniva mossa in riferimento all’art. 464-quater, comma 4, c.p.p., “nella parte in cui prevede il consenso dell’imputato quale condizione di ammissibilità, di validità o di efficacia dei provvedimenti giurisdizionali modificativi o integrativi del programma di trattamento” per contrato con l’art. 101 Cost. data l’attribuzione alla volontà dell’imputato della capacità sovrana di integrare la condizione meramente potestativa al quale soggiace, senza possibilità alcuna di sindacato, ogni profilo di efficacia formale ed utilità sostanziale del provvedimento del giudice che decide la messa alla prova, oltre che dell’intera procedura già celebrata in via strumentale allo stesso provvedimento, dell’art. 97 Cost. e i principi costituzionali di buon andamento ed efficienza delle attività dei pubblici poteri da esso sanciti nonché dell’art. 111, comma 2, Cost., il quale pone i principi di economicità e ragionevole durata del processo penale6.

Infine, le ordinanze di remissione ravvisano, in riferimento agli artt. 464-quater e 464-quinquies c.p.p., nella parte in cui prescrivono l’irrogazione e l’esecuzione di sanzioni penali consequenziali ad un reato per il quale non risulta pronunciata e neanche pronunciabile alcuna condanna definitiva o non definitiva, la violazione dell’art. 27, comma 2, Cost., in quanto stabiliscono la negazione radicale della garanzia formale sancita dal principio per cui l’imputato non può essere considerato e trattato come colpevole sino alla condanna penale definitiva, senza che sussista la contrapposta esigenza di tutela di valori di dignità costituzionale pari o superiore, posta, tra l’altro, la non plausibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle suddette norme in quanto definirebbero “una mera sequela di adempimenti formali, che impegnano risorse e attività non inferiori a quelle occorrenti per la celebrazione del giudizio ordinario, peraltro in funzione di «mere utilità erariali (sfollamento penitenziario e deflazione processuale)”.

 

2. La decisione della Consulta

Chiamata a pronunciarsi sul punto, la Corte Costituzionale con la recente ordinanza ha dichiarato manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 464-quater, comma 1, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 111, comma 6, 25, comma 2, e 27, comma 2, Cost.; dell’art. 168-bis, commi 2 e 3 c.p., in riferimento all’art. 25, comma 2, Cost.; dell’art. 464-quater, comma 4, c.p.p., in riferimento agli artt. 97, 101 e 111, comma 2, Cost., e degli artt. 464-quater e 464-quinquies c.p.p.., in riferimento all’art. 27, comma 2, Cost.

Il principio è stato affermato sulla base dell’accoglimento delle eccezioni formulate dall’Avvocatura Generale dello Stato, la quale aveva evidenziato come le questioni in esame si connotassero in senso negativo per le gravi carenze inficianti la descrizione della fattispecie sottoposta all’esame del giudice, con particolare riferimento all’omessa indicazione dei dati necessari per accertare la rilevanza delle stesse, nonché per la loro formulazione in termini ipotetici e astratti.

Seconda argomentazione portata a fondamento dell’eccezione era stata la finalità dell’istituto della messa alla prova avente carattere, come è noto, non solo deflattivo, ma anche riparatorio e risocializzante, rispetto al quale non assumerebbe alcuna rilevanza la ricostruzione del fatto di reato in tutte le sue componenti oggettive e soggettive e neanche l’attribuzione di responsabilità;

Le ordinanze di rimessione, inoltre, risultavano prive di indicazioni inerenti all’esistenza delle condizioni richieste dall’art. 168-bis c.p. per l’applicazione della messa alla prova, non chiarendo, tra l’altro, l’asserita incompletezza e non esaustività dei programmi di trattamento elaborati dall’ufficio di esecuzione penale esterna allegati alle istanze degli imputati.

Pertanto, la Consulta, ritenendo fondata tale eccezione, giacché le tre ordinanze si limitavano ad indicare, con il solo numero, le disposizioni che prevedevano i reati contestati agli imputati, senza riportare i relativi capi di imputazione, e nulla dicevano sull’esistenza, nei casi di specie, dei requisiti soggettivi previsti dalla novella del 2014 per l’applicazione della messa alla prova, ha dichiarato la citata manifesta inammissibilità, anche alla luce di alcune sue pronunce precedenti secondo le quali la descrizione della fattispecie, omessa o insufficiente, non emendabile attraverso la lettura diretta degli atti, impedita dal principio di autosufficienza dell’atto di rimessione, assume carattere preclusivo del necessario controllo in punto di rilevanza.7

di Tiziana Caboni
Avvocato del Foro di Cagliari

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1 Più esattamente, il Tribunale ordinario di Grosseto procedeva con distinti giudizi nei confronti di persone imputate, rispettivamente, del reato di cui all’art. 186 d.lgs. 285/1992, del reato di cui agli artt. 110, 112, comma 1, numero 4), 624 e 625, comma 1, numeri 2), 5) e 7), c.p. e dei reati di cui all’art. 187 d.lgs. 285/1992 e all’art. 651 c.p. In ognuno di tali giudizi gli imputati avevano chiesto la sospensione del procedimento con messa alla prova ex art. 464-bis c.p.p.

2 Articolo 464-quater c.p.p. “Provvedimento del giudice ed effetti della pronuncia “ 1. Il giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'articolo 129, decide con ordinanza nel corso della stessa udienza, sentite le parti nonché la persona offesa, oppure in apposita udienza in camera di consiglio, della cui fissazione è dato contestuale avviso alle parti e alla persona offesa. Si applica l'articolo 127. 2. Il giudice, se ritiene opportuno verificare la volontarietà della richiesta, dispone la comparizione dell'imputato. 3. La sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all'articolo 133 del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati. A tal fine, il giudice valuta anche che il domicilio indicato nel programma dell'imputato sia tale da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato. 4. Il giudice, anche sulla base delle informazioni acquisite ai sensi del comma 5 dell'articolo 464-bis, e ai fini di cui al comma 3 del presente articolo può integrare o modificare il programma di trattamento, con il consenso dell'imputato. 5. Il procedimento non può essere sospeso per un periodo: a) superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria; b) superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria. 6. I termini di cui al comma 5 decorrono dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova dell'imputato. 7.Contro l'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova possono ricorrere per cassazione l'imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa. La persona offesa può impugnare autonomamente per omesso avviso dell'udienza o perché, pur essendo comparsa, non è stata sentita ai sensi del comma 1. L'impugnazione non sospende il procedimento.8. Nel caso di sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica l'articolo 75, comma 3. 9. In caso di reiezione dell'istanza, questa può essere riproposta nel giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

3 Art. 168-bis c.p. “Sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato” 1. Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell'articolo 550 del codice di procedura penale, l'imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova. 2. La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l'affidamento dell'imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l'altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. 3. La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell'imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore. 4. La sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato non può essere concessa più di una volta. 5. La sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108.

4 Art. 464-quinquies c.p.p. “Esecuzione dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova” 1.Nell'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice stabilisce il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi relativi alle condotte riparatorie o risarcitorie imposti devono essere adempiuti; tale termine può essere prorogato, su istanza dell'imputato, non più di una volta e solo per gravi motivi. Il giudice può altresì, con il consenso della persona offesa, autorizzare il pagamento rateale delle somme eventualmente dovute a titolo di risarcimento del danno. 2. L'ordinanza è immediatamente trasmessa all'ufficio di esecuzione penale esterna che deve prendere in carico l'imputato. 3. Durante la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice, sentiti l'imputato e il pubblico ministero, può modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, ferma restando la congruità delle nuove prescrizioni rispetto alle finalità della messa alla prova.

5 Le questioni in esame erano state ritenute dal Giudice remittente rilevanti in quanto era stato chiamato a decidere sull’idoneità del programma di trattamento predisposto dall’ufficio di esecuzione penale esterna in maniera incompleta, unicamente attraverso la compilazione di un modulo e sulla base dei soli atti del fascicolo per il dibattimento.

6 Il Tribunale di Grosseto, in particolare, fa riferimento, alla “misura in cui si stabilisce lo svolgimento di attività paragiudiziarie e giudiziarie che, senza riguardo al dispendio di tempi e risorse processuali all’uopo occorrenti, devono essere necessariamente disimpegnate dai competenti pubblici uffici (prima l’ufficio esecuzione penale esterna e poi il giudice procedente) per il solo fatto che ne faccia richiesta la stessa parte processuale al cui mero insindacabile beneplacito, contestualmente, si attribuisce anche la prerogativa di deciderne a posteriori la sorte, ossia addirittura di stabilire a piacimento se tali attività, una volta che abbiano avuto luogo, siano state o meno compiute soltanto a titolo di futile dissipazione di tempi processuali e denari pubblici”.

7 Cfr. Corte Cost. 338/2011; Corte Cost. 196/2016; Corte Cost. 55/2016; Corte Cost. 162/ 2015; Corte Cost. 99/2013.

 

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Di seguito il testo di
Corte Costituzionale ordinanza n. 237 10/11/2016:

ORDINANZA N. 237 ANNO 2016

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

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