La registrazione di una conversazione costituisce una particolare forma di documentazione
Non è intercettazione in senso stretto la registrazione di una conversazione alla quale si partecipa e quindi non necessita di autorizzazione. Corte di Cassazione penale Sent. n. 24288/16

La Corte di Cassazione penale ha avuto modo (con Sentenza n. 24288 del 10 giugno 2016) di affrontare la materia delle registrazioni di conversazioni (o intercettazioni di conversazioni) e di dettare le regole per l'acquisizione delle stesse.
Il caso era quello non usuale del privato che era stato fornito dalla Polizia Giudiziaria della attrezzatura necessaria al fine di acquisire la registrazione di una conversazione che avrebbe potuto costituire fonte di prova nel futuro processo.
Secondo la Corte di Cassazione siamo nell'ambito di un tertium genus di acquisizione mediante registrazione.
Da un lato, infatti, si colloca la intercettazione vera e propria ad opera dell'organo che conduce le indagini e per la quale è necessaria l'acquisizione dell'autorizzazione del Giudice delle Indagini Preliminari ex art. 267 c.p.p.
Dall'altro la registrazione di una conversazione del privato cittadino che di propria iniziativa registra la conversazione alla quale partecipa.
Una occasione, per la Corte di Cassazione, di tratteggiare l'inquadramento giuridico di ognuna di esse.
Per l'intercettazione vera e propria non occorre soffermarsi essendo uno specifico istituto regolamentato per legge.
Quanto, invece, alla registrazione da parte del privato di propria iniziativa, afferma la S.C., "la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che le registrazioni di conversazioni tra presenti, compiute di propria iniziativa da uno degli interlocutori, non necessitano dell'autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell'art. 267 c.p.p., in quanto non rientrano nel concetto di intercettazione in senso tecnico, ma si risolvono in una particolare forma di documentazione, che non è sottoposta alle limitazioni ed alle formalità proprie delle intercettazioni". L'utilizzo in giudizio quale prova è, pertanto, pacifico. Si legge nella motivazione: " ... L'acquisizione al processo della registrazione dei colloquio può legittimamente avvenire attraverso il meccanismo di cui all'art. 234 c.p.p., comma 1, che qualifica documento tutto ciò che rappresenta fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo; il nastro contenente la registrazione non è altro che la documentazione fonografica dei colloquio, la quale può integrare quella prova che diversamente potrebbe non essere raggiunta ... con l'effetto che una simile pratica finisce col ricevere una legittimazione costituzionale".
Quanto, infine, al caso affrontato dalla Corte di Cassazione, essa stessa afferma: "Diversa è l'ipotesi di registrazione eseguita da un privato, su indicazione della polizia giudiziaria ed avvalendosi dì strumenti da questa predisposti". Questa, come accennato, assume un carattere intermedio, secondo la S.C., rispetto alle due tipologie poc'anzi viste.
"Dette registrazioni", afferma la S.C. "secondo la giurisprudenza di questa Corte ... alla quale il collegio aderisce, essendo effettuate col pieno consenso di uno dei partecipi alla conversazione, implicano un minor grado di intrusione nella sfera privata; sicché, ai fini della tutela dell'art. 15 Cost., è sufficiente un livello di garanzia minore, rappresentato da un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria, che può essere costituito anche da un decreto del pubblico ministero".
Di seguito il testo di
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 10/06/2016, n. 24288:
Motivi della decisione
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