Responsabilità dell’operatore del 118 che sottovaluti la situazione e ritardi l'invio del soccorso
L’operatore del 118 che ometta di seguire il protocollo, non assuma informazioni circostanziate e non provveda ad inviare un mezzo di soccorso con medico rianimatore a bordo risponde per grave negligenza. Cassazione penale 40036/16

La vicenda oggetto di scrutinio riguarda la morte di un giovane siciliano, spirato a seguito di una grave crisi epilettica per non essere stato soccorso tempestivamente. La madre del ragazzo aveva chiamato il 118 riferendo della prolungata crisi epilettica del figlio, l’operatore interpellato non aveva attribuito al caso la giusta urgenza, ritardando l’intervento e, solo a seguito di un’ulteriore chiamata da parte della donna, aveva inviato in loco un’autoambulanza priva del medico rianimatore a bordo. Era seguito l’arresto cardio-circolatorio del paziente e poi il decesso. In primo ed in secondo grado, l’operatore era stato condannato al risarcimento del danno a favore delle parti civili, solidalmente con l’azienda ospedaliera.
La responsabilità per colpa ascritta all’operatore dipende dalla posizione di garanzia dovuta al suo ruolo e riguarda i reati commissivi mediante omissione. Giova una breve premessa per chiarire i termini della tipologia di responsabilità di cui trattasi.
In passato, le condotte omissive non erano sanzionate in virtù del principio “chi non fa, non falla”; con l’evolversi della società e delle istanze solidaristiche si è sviluppata la categoria dei reati omissivi che riveste, ora, una propria autonomia dogmatica. Il “nihil facere” (non fare) da mera inerzia non sanzionabile si è trasformato nel “non facere quod debetur”, vale a dire nel non compiere l’azione che era da attendersi in base ad una determinata norma. Nell’ambito dei reati omissivi si distinguono i “reati omissivi propri o puri” che sanzionano il mancato compimento di un’azione che la legge penale comanda di realizzare1 ed i reati omissivi impropri o commissivi mediante omissione (che vengono in rilievo nel caso di specie). Questi ultimi consistono nella violazione di un obbligo giuridico di impedire un evento tipico della fattispecie commissiva di base; essi sono carenti di un’indicazione normativa espressa e nascono come fattispecie da combinarsi all’art. 40 c. 2 c.p., secondo il quale «non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo».
La legge attribuisce rilevanza penale non all’omissione in quanto tale ma al non impedimento dell’evento.2 Nei suddetti reati il soggetto omittente ricopre un obbligo di garanzia nei confronti del bene protetto3, si tratta di uno speciale vincolo di tutela tra un soggetto garante - dotato di adeguati poteri giuridici - ed un bene giuridico, legame giustificato dall’incapacità del titolare di proteggerlo; un caso tipico è la posizione di garanzia (obbligo di protezione) dei genitori verso i figli o quello dell’operatore del 118 nei confronti del paziente.
Nel caso di specie, il comportamento del soggetto viene ritenuto dai giudici gravemente negligente, per aver omesso di rispettare le regole cautelari di condotta. Le suddette norme sono dirette a prevenire gli eventi dannosi involontari ed a salvaguardare i beni giuridici4. La violazione del dovere di diligenza è l’essenza normativa della responsabilità colposa che si traduce nella contrarietà alle cautele doverose.5 L’operatore, infatti, violando i protocolli del 118 si era limitato a manifestare l’indisponibilità dell’ambulanza che copriva il settore senza sincerarsi dell’urgenza dell’intervento. In particolare, aveva omesso di procedere al cosiddetto “triage” e di informarsi sullo stato e sulle condizioni vitali del paziente. Una siffatta omissione non aveva consentito all’uomo di comprendere la criticità della situazione e la sua prevedibile evoluzione negativa. Al contrario, egli aveva rimesso alla madre la valutazione sul da farsi, ossia se attendere o accompagnare, motu proprio, il figlio all’ospedale. Solo a seguito di una seconda richiesta aveva inviato un mezzo di soccorso senza medico al seguito; il personale paramedico aveva tentato una rianimazione ma aveva dovuto constatare il decesso del paziente.
In primo ed in secondo grado, a seguito degli accertamenti tecnici eseguiti, veniva riconosciuto il nesso eziologico tra la condotta dell’operatore ed il decesso del ragazzo. Infatti, il tempestivo invio di un’ambulanza con medico rianimatore avrebbe consentito, con elevata probabilità logica, il salvataggio del paziente. La pronuncia esclude quale fattore interruttivo nel rapporto di causalità il fatto che il defunto assumesse cannabis, in quanto l’uso di detta sostanza non era in grado di agire in modo significativo sulla condizione clinica del male epilettico. Nessuna interferenza causale si era frapposta tra la condotta dell’operatore e l’exitus infausto, giacché è stato escluso che la presenza di patologie pregresse o l’impiego di cannabinoidi abbia in qualche modo accelerato l’insorgenza dell’attacco epilettico ed il protrarsi della crisi sino alla dipartita del paziente.
Nel caso di reati omissivi l’accertamento del nesso causale è doppiamente ipotetico, poiché occorre dar luogo ad un giudizio controfattuale basato sull’eliminazione mentale della condotta che ha determinato l’evento. Si realizza una doppia sussunzione: prima per individuare la causa del fatto di danno (la morte per crisi epilettica) e poi per valutare se l’azione omessa avrebbe impedito l’evento con certezza o elevata probabilità6.
La Suprema Corte conferma il percorso delibativo seguito dalla sentenza appellata ravvisando la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudicante a sostegno della propria decisione. I giudici di merito, infatti, hanno correttamente affrontato il fulcro della questione, vale a dire l’accertamento, in termini di probabilità logica, della possibilità salvifica per il paziente in caso di un precoce intervento con medico rianimatore. Il ragazzo aveva accusato il malore alle 6.30 del mattino, la telefonata al 118 era giunta alle 6.47, un intervento di una delle due ambulanze disponibili - seppur fuori zona - sarebbe avvenuto intorno alle 7.10 e sarebbe risultato salvifico e tempestivo. Inoltre, secondo le risultanze dell’accertamento tecnico del consulente del PM, sarebbe stato decisivo il contributo del medico rianimatore giunto tempestivamente. La negligenza dell’operatore è aggravata, altresì, dal fatto di non aver rispettato il protocollo, mancando di effettuare un approfondimento sanitario del grado di urgenza e di informarsi sui parametri vitali del paziente, sul suo stato di coscienza, sulla durata di perdita di conoscenza, sulla persistenza della crisi. Agendo in tal guisa, egli ha violato le regole cautelari che governano il ruolo ed i compiti dell’operatore del 118. Occorre, dunque, valutare se l’evento sia stato conseguenza del mancato rispetto di siffatte regole, si deve pertanto «porre a confronto il decorso causale che ha originato l'evento concreto conforme al tipo, con la regola di diligenza violata; […] controllare se tale evento sia la realizzazione del pericolo in considerazione del quale il comportamento dell'agente è stato qualificato come contrario a diligenza. Infine […] verificare se lo svolgimento causale concreto fosse tra quelli presi in considerazione dalla regola violata».7 La valutazione della prevedibilità dell’evento non può prescindere «dall’analisi degli anelli più significativi della catena causale»8. Nell’esame preliminare della richiesta di soccorso, l’operatore non doveva limitarsi a recepire l’istanza del cittadino ma osservare il protocollo di servizio del 118 e «valutare sulla scorta delle informazioni richieste e delle proprie conoscenze professionali, la criticità dell’evento dando così risposta adeguata ad ogni evento entro i limiti stabiliti».
Al lume delle citate considerazioni, si è ravvisata una grave negligenza nella condotta del soggetto agente, connotata da leggerezza e superficialità. I supremi giudici, dunque, acclarato il nesso causale e la sussistenza dell’elemento soggettivo in termini di colpa, hanno rigettato il ricorso e confermato la condanna del reo e dell’azienda ospedaliera al risarcimento dei danni, al pagamento delle spese processuali e delle spese sostenute dalle parti civili.
Avv. Marcella Ferrari
Avvocato del Foro di Savona
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1 Secondo alcuni autori essi sono il pendant dei reati di mera condotta ed è irrilevante l’evento, occorre semplicemente aver omesso l’azione doverosa (F. MANTOVANI); per altri, invece, i reati omissivi propri sono quelli direttamente tipizzati dal legislatore, vi sia o meno l’evento naturalistico (FIANDACA – MUSCO). Esempi scolastici rientranti in questa categoria sono l’omissione di soccorso (art. 593 c.p.); il rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 c.p.); l’omessa denuncia di reato da parte di un pubblico ufficiale (art. 361 c.p.)
2 In tal senso F. MANTOVANI, Diritto Penale, Padova, Cedam, 2001, 138 ss.
3 I reati omissivi impropri sono sempre reati propri in cui il reo non può essere un “quisque de populo” ma deve ricoprire una determinata qualifica giuridica. F. MANTOVANI, Diritto Penale, cit., 168 ss.
4 Definizione tratta da F. MANTOVANI, Diritto Penale, cit., 349 ss.
5 F. MANTOVANI, Diritto Penale, ibidem
6 F. MANTOVANI, Diritto Penale, 163 ss.
7 Cfr. Corte Cass., S.U., 24 aprile 2014, Espenhahn, 261103
8 Corte Cass., sez. IV, 28 giugno 2007; Marchesini, Rv.237880
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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione Penale, Sezione IV, Sentenza n. 40036 del 27/09/2016:
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