Sul risarcimento dei danni derivanti da calamità naturale, nella fattispecie da terremoto

Una panoramica sulle tipologie di responsabilità e sul risarcimento dei danni derivanti da calamità naturale, nella fattispecie da terremoto.

Sul risarcimento dei danni derivanti da calamità naturale, nella fattispecie da terremoto

Introduzione

La recente calamità naturale nelle Marche fa riflettere sotto diversi punti di vista.

A livello emotivo non vi è dubbio che vi sia un indescrivibile dispiacere globale, ma in certi casi è bene anche essere pratici. Oltre al dolore è bene pensare anche alla ricostruzione e per fare ciò è inevitabile pensare alla richiesta di risarcimento, in alcuni casi per danno altrui, in altri derivanti dalla propria compagnia assicuratrice. L’articolo non vuole essere un mezzo per lucrare sulla terribile calamità naturale accaduta ma, al contrario, vuole essere uno spunto pratica sul da farsi futuro, anche a tutela di chi si troverà di fronte ad una richiesta di risarcimento, così da essere meno impreparati.

 

Tipologie di responsabilità civile

L’ordinamento italiano prevede, come in altri Stati, due tipo di responsabilità: contrattuale ed extracontrattuale o aquiliana (distinzione ritrovabile a pari modo, ad esempio, nell’ordinamento civile spagnolo, ove si trovano “responsabilidad contractual” ex art. 1902 del Codigo Civil spagnolo o “extracontractual”).

Si ha responsabilità contrattuale quando non si adempie correttamente, o con ritardo rispetto ai tempi stabiliti la prestazione dovuta (art. 1218 c.c.). Alla base c’è pertanto un contratto, ovvero un preesistente rapporto tra il danneggiato e il responsabile, obbligo che è stato disatteso.

Il Codice Civile, prima ancora di disporre la risarcibilità nell’art. 1218 c.c., detta un principio generale, ovvero quello della “buona fede” e della “diligenza nell'adempimento dell'obbligazione”, di cui all’art. 1176 c.c..

il legislatore, prima ancora di distinguere tra le varie tipologie di responsabilità, seppur ne parli nella parte dedicata alle obbligazioni contrattuali, parla del principio di “buona fede”, ovvero della correttezza che deve essere rispettata in generale, sia in un rapporto contrattuale, sia prima (e si parla appunto di “buona fede pre-contrattuale”).

Per tutti casi ove invece vi sia un danno “ingiusto”, non derivante da un pregresso rapporto contrattuale, è stata prevista una norma generale a salvaguardia dei soggetti lesi, l’articolo 2043 c.c., che dispone espressamente: “Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.”.

Si parla ovviamente di “danno ingiusto” ma oltre a ciò si ampliano le fattispecie tutelate, disponendo che è risarcibile qualunque fatto non solo doloso, ma pure colposo, lasciando pertanto ampia tutela a coloro che vengano ingiustamente danneggiati senza alcuna tutela contrattuale, come ad esempio la persona che passeggiando per strada viene travolta da una bicicletta.

Si punisce e allo stesso tempo tutela la violazione del generale dovere del neminem laedere.

 

Dopo la norma generale di cui all’articolo 2043 c.c., il legislatore ha cercato di specificare meglio la risarcibilità del danno dividendolo in macro categorie, con gli articoli da 2047 a 2058 e concludendo con la risarcibilità del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c..

 

Tra le varie fattispecie particolari si ricordi l’art. 2051 c.c., relativo al danno cagionato da cosa in custodia, secondo cui ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.

 

Nei casi di responsabilità contrattuale, le parti possono disciplinare ab origine , nel contratto i vari danni risarcibili, le modalità di risarcimento e i casi di esclusione, con il limite di cui all’articolo 1229 c.c., che dispone espressamente che “è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave. È nullo altresì qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico”. Pertanto nel caso in cui un contratto preveda detta esclusione non vi è da preoccuparsi poiché è nulla, e nel caso in cui il risarcimento non venga concesso, una volta citata in giudizio la parte inadempiente, basterà far dichiarare la nullità della suddetta clausola e richiedere quanto dovuto.

Altra disciplina da tener presente è il Codice del Consumo (D. Lgs. n. 206 del 6 settembre 2005), che tutela i “Consumatori”, ovvero di qualsiasi persona fisica che agisca per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta, che contrattino con dei “professionisti” (ovvero la persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario).

Il Codice del Consumo tutela ad esempio i consumatori dalle cosiddette “clausole vessatorie”, disponendo che nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

Altre tutele sono altresì previste in altri particolari settori ove il contraente debole si trova ad essere soggetto all’incontrastabile potere contrattuale di grosse multinazionali, come nel settore assicurativo o bancario, ma sempre con la tutela base del codice civile e, oggi, del codice del consumo.

 

 

Le deroghe alla responsabilità

L’ordinamento italiano cerca di calmierare coloro che affermano l’esistenza di una vera e propria “responsabilità oggettiva”, ponendo dei limiti a tutela di situazioni in cui la parte lesa non sembra essere la vera parte più debole delle due.

L’articolo 1218 c.c., in deroga al generale principio di risarcibilità dell’inadempimento contrattuale, dispone che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. L’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, sempre da comprovarsi da parte dell’inadempiente, tutela quest’ultimo da situazioni che neppure lui avrebbe potuto controllare.

Sulla stessa scia, in tema di responsabilità extracontrattuale troviamo l’articolo 2044 c.c., in tema di legittima difesa, che dispone che “non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri” e l’art. 2045 c.c. in tema di stato di necessità, che dispone che “quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato, né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un'indennità, la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice”.

 

 

La prescrizione del risarcimento e la perdita del risarcimento

L’esistenza del danno non è l’unico fattore essenziale.

Certamente bisognerà in primis accertare l’esistenza del danno e del nesso causale, ovvero di quella relazione che lega il danno con colui che l’ha commesso, ma sarà altresì necessario far si che non venga meno detto diritto.

Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge, ad eccezione dei diritti indisponibili e degli altri diritti indicati dalla legge.

A seconda del tipo di danno, dopo un determinato termine, il diritto svanisce.

L’articolo 2947 c.c. da i primi termini generali (5 anni per risarcimento del danno derivante da fatto illecito, a partire dal giorno in cui il fatto si è verificato, oppure 2 anni per il risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie), continuando con alcune altre deroghe e con termini di prescrizione più brevi per altre fattispecie particolari.

 

La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, ed è nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione.

E’ pertanto necessario evitare che il diritto si estingua.

Entra in considerazione in primis l’art. 2943 c.c., che dispone che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo; dalla domanda proposta nel corso di un giudizio; da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore, e dall'atto notificato con il quale una parte, in presenza di compromesso o clausola compromissoria, dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri.

 

Il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto, ad eccezione di quando il debito deriva da fatto illecito, di quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non volere eseguire l'obbligazione, e di quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore (art. 1219 c.c.).

 

Si tenga pertanto presente che basta inizialmente una semplice, seppur chiara e non generica, lettera di contestazione del danno e richiesta del risarcimento, per interrompere la prescrizione, tenendo ovviamente traccia, magari tramite anticipando una lettera raccomandata con un’email certificata, al fine di avere la prova non solo della consegna ma anche del contenuto.

 

 

 

Quantificazione del danno:

 

la quantificazione del danno è e sarà sempre un problema del tutto irrisolvibile, e ciò è dovuto anche alle più disparate situazioni che si possono creare. Si pensi ad esempio alla distruzione di una casa appartenuta alla stessa famiglia per diverse generazioni. Il problema non è solo quantificare il valore commerciale della casa ma capire se ve ne sia anche una non patrimoniale.

 

Il risarcimento del danno contrattuale, ovvero per l'inadempimento o per il ritardo nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale, deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta.

L’articolo 1223 c.c. fornisce il primo generale parametro di cosa deve essere risarcito, ovvero “danno emergente” e “lucro cessante”.

 

Nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno. Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura.

Al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l'ulteriore risarcimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori.

 

Se l'inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione.

 

Il danno più difficile da quantificare è quello non patrimoniale.

In soccorso di sconsiderati ragionamenti di Avvocati, magistrati altre categorie di professionisti, il tribunale di Milano, tempo addietro, ha predisposto una Tabella, alla quale si può liberamente, o quasi, far riferimento al fine della quantificazione del danno non patrimoniale.

Esse sono state riconosciute anche dalla Giurisprudenza di legittimità. La stessa Corte di Cassazione, con Sent. n.12408 del 07/06/2011, ha affermato l’utilizzabilità delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano come con riguardo al risarcimento del danno da sinistri stradali, in quante ritenute le più più idonee ad assicurare l'equità nel risarcimento del danno.

 

Vi è infine una norma di particolare importanza, l’art. 1226 c.c., che dispone che se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa. Ciò sembrerebbe una norma di salvaguardia del sistema di quantificazione del danno, in quanto posizionata nella parte del Codice Civile dedicata alle obbligazioni ma richiamata altresì dall’art. 2056 c.c., in tema di valutazione dei danni derivanti da fatto illecito.

 

Vi è infine la possibilità, in quanto possibile di un risarcimento in forma specifica, ex art. 2058 c.c., anche se il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore.

 

 

L’assicurazione

 

Quando parliamo di risarcimento ci viene in mente subito l’“assicurazione”.

Alla base c’è un “contratto di assicurazione”, ovvero quel il contratto col quale l'assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro (art. 1882 c.c.).

L'assicuratore è tenuto a risarcire, nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, il danno sofferto dall'assicurato in conseguenza del sinistro.

 

Il compito delle compagnie assicurative è tutelare, ovvero eventualmente risarcire i soggetti da loro assicurati in svariate ipotesi.

Il risarcimento è una somma di denaro, calcolata come sopra descritto, e sempre in considerazione dei massimali previsti nel contratto di assicurazione, salvo casi particolari, che deve essere versata al cliente nel caso in cui si verifichi un danno fisico delle persone coinvolte o del bene assicurato, in conformità con quanto pattuito, ovvero quanto descritto nella “polizza assicurativa”.

 

Principale testo normativo in materia assicurativa è il cosiddetto “codice delle Assicurazioni Private”, ovvero il D. Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, mentre l’autorità vigilante sulle compagnie assicuratrice è l'IVASS (http://www.ivass.it/ ), Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni, un ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico che opera per garantire la stabilità del mercato assicurativo e la tutela del consumatore. E’ stato istituito con la legge 135/2012 (di conversione, con modifiche, del DL 95/12), ed è subentrato in tutte le funzioni, le competenze e i poteri che precedentemente facevano capo all'ISVAP.

 

Le compagnie assicuratrici intervengono nei casi stabiliti dal contratto.

Vi una norma di salvaguardia per casi particolari, ovvero l’art. 1912 c.c., in tema di terremoto, guerra, insurrezione, tumulti popolari, che dispone che, salvo patto contrario, l'assicuratore non è obbligato per i danni determinati da movimenti tellurici, da guerra, da insurrezione o da tumulti popolari.

Ergo, anche per coloro che si trovino una casa ipotecata dalla banca, ora completamente distrutta, devono controllare molto attentamente il contratto assicurativo sottoscritto.

 

La normativa speciale è poi molto vasta, ma basti ricordare alcune fattispecie oggi molto attuali.

In tema di contratto di mutuo per acquisto di abitazioni, la polizza incendio e scoppio è oggi obbligatoria per legge, ed è possibile sottoscriverla anche con un soggetto esterno alla banca che eroga il mutuo, mentre le polizze che coprono il rimborso delle rate in caso di perdita del lavoro o inabilità temporanea e le polizze vita sono facoltative, anche se assolutamente consigliate e già in uso da parte di molte banche.

Il D. Lgs. 122/2005, norma a tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, prevede l’obbligo di legge del costruttore di consegnare una polizza fideiussoria di quanto pagato a titolo di acconto in sede di contratto preliminare di compravendita e una polizza assicurativa decennale al momento della consegna dell’immobile, ovvero dell’ultimazione dei lavori, che copra eventuali vizi futuri.

 

 

Conclusioni

 

Le conclusioni vengano in molti casi da se.

Danni ve ne sono stati, soprattutto con l’ultimo terremoto di fine agosto 2016 nelle Marche, come ci furono con il terremoto di alcuni anni addietro a L’Aquila.

Saranno sicuramente risarciti coloro che erano assicurati, se nel contratto era espressamente previsto anche il danno causato da terremoto.

Vi sono poi alcuni casi particolari, come la risarcibilità di persone presenti in strutture di terzi, come alberghi e ospedali.

Oggi sembrano tutti molto solidali, ma domani, quando ci sarà di parlare dei milioni di euro di danni, sicuramente, soprattutto in assenza di assicurazioni, si cercheranno tutti i possibili cavilli, sia per farsi pagare, da parte dei soggetti lesi, sia per non pagare, da parte di coloro che erano ad esempio proprietari di strutture alberghiere sotto le quali vi sono ancora corpi non ritrovati.

Gli ospedali, come quello di Norcia, completamente deflagrati dalla calamità, hanno l’ulteriore problema della recente evoluzione della giurisprudenza in tema di “responsabilità da contatto sociale”, con la certezza che gli Enti Ospedalieri sono oggi per legge tenuti ad avere una copertura assicurativa.

 

Anche qui si può solo consigliare alle centinaia di parti lese di agire immediatamente con una richiesta congiunta al diretto responsabile e alla società assicuratrice.

I cavilli, alcuni dei quali sopra esposti, sono tanti ma pure le responsabilità, a partire dalla regolarità urbanistica di molte strutture, che farebbe venir meno, da una parte la mancanza di responsabilità del proprietario (ad esempio l’Ospedale) a causa del crollo ma pure la responsabilità della Compagnia per vizi non denunciati, che pure potrebbero essere richiesti in molto casi, in via di regresso solo al costruttore iniziale.

 

Avv. Daleffe Davide Giovanni

 

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