Violenza sessuale: il consenso deve involgere ogni singolo atto del rapporto

L’atto sessuale postula la «presenza necessaria del consenso durante l’intero arco del rapporto sessuale da parte della vittima senza interruzioni ed esitazioni o resistenze di sorta» Cass. Pen. n. 9221/16

Violenza sessuale: il consenso deve involgere ogni singolo atto del rapporto

La Suprema Corte ha ribadito i principi enucleati in precedenza in tema di consenso consenso delle parti durante il rapporto sessuale affinché non possa ritenersi consumato il delitto di cui all’art. 609 bis cod. pen., dovendosi guardare all’atto sessuale nella sua globalità e in ogni sua componente.

 

1. La questio juris: il consenso nell'atto conclusivo del rapporto sessuale

La questione si sviluppa a seguito della decisione del Tribunale delle libertà1 di accogliere il riesame della persona sottoposta alle indagini proposto avverso il provvedimento applicativo della misura cautelare2 del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e dai suoi prossimi congiunti.

Il Tribunale aveva ritenuto non sussistere i gravi indizi di colpevolezza necessari per la sottoposizione a misura cautelare con riferimento al reato di violenza sessuale in relazione al fatto che la condotta dell’indagato non sarebbe stata caratterizzata né da violenza né da costrizione ma, piuttosto, dal consenso della vittima, rintracciabile da tutta una serie di elementi, quali le portiere dell’auto perfettamente apribili dall’interno per cui la ragazza sarebbe potuta uscire dall’auto (luogo di consumazione dell'asserita violenza), gli indumenti intimi e i leggins indossati della ragazza perfettamente integri nonostante la giovane avesse riferito che le fossero stati abbassati con violenza, l’impossibilità di apprezzare alcun segno di violenza esterna sul corpo della ragazza all’atto della vista ginecologica avvenuta il mattino dopo l’episodio.

Il Giudice aveva ritenuto che il momento di conflitto interiore della ragazza fosse riconducibile alla fase finale del rapporto, connotato dall’avvenuta eiaculazione del giovane all’interno della vagina. Tale evento, secondo il giudicante, «aveva in realtà suscitato nella ragazza un senso di rammarico rispetto a quel modo di completamento dell’atto sessuale, sicché il consenso iniziale al rapporto sessuale (…) non poteva considerarsi venuto meno solo per effetto di quella particolare conclusione dell’amplesso».

A ciò addiveniva il giudicante nonostante aver tenuto conto delle parole scambiate tra loro dai due soggetti in un momento successivo al congiungimento, in particolare la frase "Mi sei arrivato dentro contro voglia ed io non volevo farlo" contenuta nella memoria del cellulare e la frase "Ora ti ho rovinata" proferita dal ragazzo al termine del rapporto. Frasi, entrambe, riportate nell'ordinanza impugnata.

 

2. La censura nomofilattica: la declinazione del consenso durante il rapporto sessuale

La Suprema Corte ha ritenuto per nulla condivisibile l’argomentazione del Tribunale, in quanto «non solo manifestamente illogica e contraddittoria, ma anche assai poco rispettosa dei criteri interpretativi enunciati (...) sul tema della violenza sessuale e degli elementi costitutivi del reato nonché sulle modalità e limiti del consenso al rapporto».

Invero, la Corte ha colto l’occasione per ribadire i principi che stanno alla base della corretta valutazione della presenza o meno del consenso durante il rapporto sessuale, ritenendo l’argomentazione del Tribunale «semplicistica ed errata in diritto in quanto mostra di non tenere in alcun conto gli arresti giurisprudenziali, pur menzionati, ma evidentemente non elaborati a sufficienza dal punto di vista interpretativo».

La III Sezione ha individuato come riferimento essenziale per apprezzare la presenza o meno del consenso da parte di uno dei soggetti il rapporto sessuale inteso nella sua globalità, scevro da possibili quanto ipotizzabili frammentazioni, postulante la «presenza necessaria del consenso durante l’intero arco del rapporto sessuale da parte della vittima senza interruzioni ed esitazioni o resistenze di sorta».

Perciò la Corte ha ritenuto per nulla condivisibile «l’affermazione del Tribunale secondo la quale l’avvenuta eiaculazione interna avesse causato nella ragazza soltanto un sorta di rammarico che nulla toglieva alla natura consensuale iniziale del rapporto sessuale, perché così facendo, si frammenta il concetto di atto sessuale che va riguardato in modo globale ed ogni sua componente per essere giudicato non voluto o meno».

La Suprema Corte, inoltre, valorizza anche la contestualizzazione dei fatti nel delitto di violenza sessuale, posto che in ogni caso «un congiungimento sessuale tra due persone aventi opposte finalità (...) è ben diverso da un qualsiasi rapporto sessuale tra due persone desiderose di averlo e di viverlo congiuntamente»3, dovendosi poi tener conto anche delle rapporti che caratterizzavano i periodi di tempo antecedenti ai fatti da accertare, specie in presenza dalla volontà di uno dei soggetti di interrompere, come aveva fatto, il legame sentimentale e della volontà dell'altro di ricucire ad ogni costo il rapporto.

Inoltre, la Corte tiene a mente il consolidato orientamento nomofilattico4 secondo cui «sul tema dell’abuso sessuale determinato da un mutamento dell’originario consenso iniziale, fanno sì che anche una conclusione del rapporto sessuale, magari inizialmente voluto ma proseguito con modalità sgradite o comunque non accettate dal partner, rientri a pieno titolo nel delitto di violenza sessuale».

Di fatto il Tribunale aveva formulato un pericoloso principio generale, che traeva origine dall'argomento secondo cui l'eiaculazione non voluta all'interno della vagina non svilisce il consenso prestato dalla ricevente a fronte di un rapporto invece voluto. Traslando tale assunto, mutatis mutandis, si potrebbe agevolmente concludere che all'interno del rapporto sessuale possono considerarsi leciti sviluppi o pratiche non volute da uno dei soggetti interessati se la genesi del rapporto sia stato oggetto di deliberato consenso.

Non per nulla, la Corte ha ritenuto la valutazione del Tribunale «assiomatica ed assertiva», oltre che «semplicistica ed errata in diritto».

 

Dott. Andrea Diamante

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1 Tribunale di Napoli – Sezione per il riesame, ord. 28/10/2014

2 Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Avellino, ord. 6/10/2014

3 La ragazza aveva deciso di interrompere il rapporto sentimentale, dacché l'indagato aveva cominciato a porre in essere condotte persecutorie a danno della ragazza protrattesi nel tempo; la ragazza aveva accettato di incontrarlo il giorno in cui si è consumata l'asserita violenza per porre fine alle ostilità.

4 Cass. Pen., Sez. III, 11/12/2007 n. 4532; Sez. III, 21/09/2007 n. 39428; Sez. III, 10/05/1996 n. 6214.

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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 marzo 2015 – 7 marzo 2016, n. 9221:

 

Ritenuto in fatto

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