Atti persecutori: una summa sulla causalità (con un occhio ai social)
Il reato di atti persecutori ex art. 612 bis c.p. esaminato nelle sue componenti (condotta - evento - nesso di causalità) commesso attraverso social (nella specie facebook). Cassazione Penale Sentenza n. 25940/2017

1. Introduzione
La V sezione delle Suprema Corte ha nuovamente offerto una summa ermeneutica sul delitto di atti persecutori di cui all'art. 612 bis con riferimento al nesso di causalità, ripercorrendo all'uopo la giurisprudenza che negli anni è venuta formandosi.
Ad essere posto sotto esame, ancora una volta, è quindi il nesso di causalità tra le condotte persecutorie e la prostrazione psicologica che sostanzia gli eventi cristallizzati dalla disposizione.
Di seguito, dopo una breve illustrazione del fatto, si passerà ad estrinsecare le direttrici ermeneutiche degli elementi poc'anzi indicati ai fini della comprensione dell'atteggiarsi del nesso di causalità nel reato di atti persecutori, sulla scorta di quanto indicato dalla sentenza n. 25940 del 24 maggio 2017 e dalla giurisprudenza in essa richiamata.
Non va trascurata, infine, l'attenzione posta dalla sentenza all'intrusione nella casella email e nel profilo Facebook.
1. Fatto
Il giudice dell'appello1, in riforma della sentenza di assoluzione emessa dal giudice di prime cure2, condannava l'imputato per il delitto di cui all'art. 612 bis c.p., per aver, con condotte reiterate di minacce, ingiurie e messaggi poste in essere in seguito alla "rottura" del legame sentimentale con la persona offesa, molestato l'ex convivente, costringendola a cambiare le utenze telefoniche e cagionandole un perdurante e grave stato di ansia.
Tali condotte, che avevano dato causa al perdurante e grave stato di ansia e di paura della vittima per la propria incolumità personale, integrato dal grave disturbo post-traumatico da stress diagnosticato dalla psicoterapeuta della stessa vittima, erano state poste in essere attraverso le intrusioni nella vita privata della donna, anche mediante accessi indebiti nell'account di posta elettronica e nel profilo Facebook, tanto che la persona offesa era stata costretta ad alterare le proprie abitudini di vita, cambiando le utenze telefoniche, gli indirizzi mail, il profilo Facebook e, addirittura, l'abitazione, determinandosi al trasferimento presso la madre.
L'imputato affidava il ricorso a diversi motivi, rilevando in questa sede il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'evento del reato e del nesso di causalità con le condotte moleste dell'imputato.
La Suprema Corte ha rigettato le doglianze, confermando quanto statuito dalla Corte di appello ben ha applicato i principi di diritto enucleati dalla Suprema Corte.
2. Il nesso di causalità nel delitto di atti persecutori: i principi nomofilattici
2.1. La condotta
«...chiunque con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno...»
Si deve considerare l'oggettiva gravità dei comportamenti perpetrati con modalità assillanti e ossessive e la capacità destabilizzante di tali condotte, da valutare anche in relazione al lasso di tempo in cui si protraggono e l'eventuale coinvolgimento di amici e familiari della vittima.
Il delitto previsto dall'art. 612 bis c.p. ha natura abituale e la reiterazione degli atti considerati tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un'autonoma ed unitaria offensività.
2.2. Prova del nesso di causalità
«...in modo da cagionare...»
La prova del nesso causale tra la condotta minatoria o molesta e l'insorgenza degli eventi di danno alternativamente contemplati dall'art. 612 bis c.p., vale a dire il perdurante e grave stato di ansia o di paura, il fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto e l'alterazione delle abitudini di vita, non può limitarsi alla dimostrazione dell'esistenza dell'evento, nè collocarsi sul piano dell'astratta idoneità della condotta a cagionare l'evento, ma deve essere concreta e specifica, dovendosi tener conto della condotta posta in essere dalla vittima e dei mutamenti che sono derivati a quest'ultima nelle abitudini e negli stili di vita3.
In particolare, la prova della causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata4.
Il nesso di causalità tra le condotte persecutorie e gli eventi accertati va affermato proprio sulla base delle modalità concrete delle prime e dei peculiari effetti determinati.
2.3. Gli eventi
«...un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita...»
È proprio dalla reiterazione delle condotte che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice5.
Inoltre, non residua dubbio alcuno che ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori è sufficiente la consumazione anche di uno solo degli eventi alternativamente previsti dall'art. 612 bis c.p.6, così che il perdurante e grave stato di ansia o di paura, il fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto e l'alterazione delle abitudini di vita possono ricorrere tutti ovvero anche solo uno di essi.
3. Particolarità: intrusione abusiva nei social media
Merita attenzione la rilevanza riconosciuta alle molestie continue ed ossessive perpetrate attraverso l'intrusioni nell'account di posta elettronica e nel profilo Facebook.
La casella email e i social media costituiscono una componente insopprimibile della vita quotidiana, un'estensione virtuale della persona fisica, al punto che ricevere molestie continue in spazi virtuali ormai imprescindibili ed inescludibili non può non determinare una grave destabilizzazione nella person offesa.
Va da sè che ben può il cambiamento della mail e del profilo Facebook a seguito di condotte persecutorie configurare, nel contesto, l'evento dell'alterazione delle abitudini di vita, come è possibile d'altronde cogliere all'interno della sentenza presa in esame, ancorché l'argomento non sia stato sviluppato con autonoma attenzione dall'estensore.
Dott. Andrea Diamante
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1Corte di Appello di Brescia, sentenza del 17/05/2016.
2Tribunale di Cremona, sentenza del 05/12/2014.
3Sez. 3, n. 46179 del 23/10/2013.
4Sez. 5, n. 14391 del 28/02/2012.
5Sez. V, n. 54920 del 08/06/2016.
6Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015.
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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione Penale Sentenza n. 25940 del 24/05/2017
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
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