Il risarcimento punitivo nell’ordinamento italiano alla luce della Sentenza SS.UU. 16601/2017
Il risarcimento punitivo non è prerogativa degli ordinamenti stranieri poiché già presente in molte norme dell’ordinamento italiano. Cassazione civile SS.UU. Sentenza n. 16601/2017

Ha fatto molto parlare di sé la Sentenza delle Sezioni Unite civili n. 16601 del 05/07/2017 per la portata innovativa in tema di risarcimento del danno. Il provvedimento è stato additato quale breccia idonea a fare entrare nell’ordinamento italiano il concetto di risarcimento sanzionatorio o risarcimento punitivo. Ricordiamo che è nozione condivisa che l’istituto del risarcimento del danno mira (o dovrebbe mirare, dovremo specificare a questo punto) unicamente a compensare il pregiudizio patito, nelle sue varie articolazioni. Un ristoro del pregiudizio che riporta in pari il bilanciamento del tolto e del restituito. E', di conseguenza, nozione comune, che l'ordinamento italiano aborrisca ogni forma di risarcimento sanzionatorio del danno.
L’istituto giuridico ritenuto estraneo ai nostri principi ordinamentali è costituito dai punitive damages (tipico degli ordinamenti anglosassoni) e prevede la possibilità di ottenere una condanna del responsabile di un illecito civile (tipicamente aquiliano) a favore del danneggiato per un importo di denaro superiore (talvolta di molto superiore) rispetto al danno da quest’ultimo patito se fosse quantificato con il principio compensativo (tanto hai perso, tanto deve esserti ritornato).
Si è detto che le Sezioni Unite civili della Suprema Corte riconoscevano per la prima volta il risarcimento punitivo con una apertura assolutamente innovativa dell’ordinamento italiano a tale istituto. Ed è un dato di fatto che le SS.UU. abbiano voluto imprimere un senso innovativo alla loro decisione se si parte dal presupposto che il caso di specie non offriva concreti argomenti a favore del risarcimento sanzionatorio alla luce del fatto che a fronte della dimostrazione di un possibile danno ben maggiore l’oggetto dell’accordo transattivo si fermava attorno al milione di dollari (per l’analisi del fatto concreto si rimanda alla sentenza).
Quindi, oggetto della sentenza straniera delibata in Italia era un ammontare che non aveva i caratteri della ”punizione”, come afferma la stessa Corte: “Pertanto a poco vale addurre che inizialmente il difensore del motociclista aveva testimoniato avanti la giuria della Florida che il valore della domanda oscillava dai 10 ai 30 milioni di dollari. Proprio questa prospettiva, che avrebbe potuto essere grossolanamente sanzionatoria e abnorme, risulta abbandonata dal ridimensionamento della transazione ben sotto i limiti della sola componente patrimoniale del risarcimento richiesto.
Ne discende che non v'è alcun modo per ipotizzare il carattere "punitivo" della condanna pronunciata, carattere che comunque non si può presumere sol perché manchi nella sentenza, o meglio nella transazione recepita dal giudice americano, una chiara distinzione delle componenti del danno” .
La sentenza è interessante proprio per questo. Perché le SS.UU. hanno voluto ugualmente avvisare che il concetto di danno punitivo, al di la del caso concreto affrontato, non è affatto una novità per l’ordinamento italiano di cui è il caso cominciare a considerarlo parte integrante.
Afferma la Corte: “Già da qualche anno le Sezioni Unite ... hanno messo in luce che la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno non è più "incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento, come una volta si riteneva, giacché negli ultimi decenni sono state qua e là introdotte disposizioni volte a dare un connotato lato sensu sanzionatorio al risarcimento”. E queste numerose disposizioni normative elenca sufficientemente per sottolineare la vastità del fenomeno e la conseguente necessità di considerare non più una eccezione la presenza di un risarcimento ultra-riparatorio.
E cita norme in materia di brevetto e marchio, codice del consumo, i poteri del giudice amministrativo dell'ottemperanza, le sanzioni per le inadempienze agli obblighi di affidamento della prole, e molte altre (compresi interessanti riferimenti a provvedimenti della Corte Costituzionale) per le quali si rimanda alla lettura della sentenza. Ma a questo punto perché non comprendere nell’ampio fenomeno le nuove “sanzioni civili” introdotte dal D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, o le sanzioni condominiali previste dall´art. 70 disp att c.c.
La sanzione non è più materia riservata al diritto penale o amministrativo. Le SS.UU. civili ce lo ricordano affermando: “In sintesi estrema può dirsi che accanto alla preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria dell'istituto (che immancabilmente lambisce la deterrenza) è emersa una natura polifunzionale ..., che si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva”.
La sentenza in commento parla di “concezione polifunzionale della responsabilità civile”, (è il senso del nostro commento in materia di ampliamento della responsabilità dell’appaltatore).
Certo un aggancio legislativo rimane indispensabile (“Ogni imposizione di prestazione personale esige una "intermediazione legislativa", in forza del principio di cui all'art. 23 Cost. … questo connotato sanzionatorio non è ammissibile al di fuori dei casi nei quali una "qualche norma di legge chiaramente lo preveda, ostandovi il principio desumibile dall'art. 25 Cost., comma 2, nonchè dall'art. 7 della Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali”). Tuttavia la nuova strada è tracciata.
Le Sezioni Unite civili concludono enunciando il seguente principio di diritto:
“Nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poichè sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile.
Non è quindi ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell'ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell'atto straniero e alla loro compatibilità con l'ordine pubblico”.
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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione civile Sez. Unite, Sentenza 05-07-2017, n. 16601
Fatti di causa
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