Legge Pinto: è perentorio il termine di notificazione del ricorso e decreto
Ottenuto il decreto che accoglie la domanda di equa riparazione (L. Pinto) questo va notificato entro il termine di 30 giorni, pena l'inefficacia. Cassazione Sentenza n. 2656/2017

Secondo l'art. 5 della Legge 24 marzo 2001, n. 89, proposto il il ricorso per ottenere l'equa riparazione per i ritardi nella definizione di un contenzioso, una volta ottenuto il provvedimento che accoglie il ricorso e condanna lo Stato al pagamento di una determinata somma, il legale del ricorrente deve provvedere alla notifica del ricorso e del decreto entro il termine di 30 giorni.
E' quanto previsto dall'art. 5 della L.Pinto.
Il comma 2 del predetto articolo 5 determina una gravissima sanzione nel caso di mancato rispetto del termine di notifica, disponendo testualmente: "Il decreto diventa inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento e la domanda di equa riparazione non puo' essere piu' proposta".
Alla mancata notifica consegue una duplice sanzione:
1) il decreto diviene inefficace facendo venir meno l'intero giudizio vittorioso e
2) è preclusa la possibilità di presentare nuovamente la domanda di equo indennizzo.
Una severità che non ha confronti in altri strumenti processuali e che ha fatto dubitare di recente se sia da considerarsi "perentorio" il termine dei 30 giorni e, in caso positivo, se l'intera normativa non sia, a questo punto, incostituzionale. Si ricorda che con gli ultimi interventi ( a partire dal governo Monti in poi) si è costruito un sistema di ostacoli che questo sito ha avuto più volte modo di criticare (vedasi "Modifiche alla Legge Pinto: ancora restrizioni all'equa riparazione" e "Legge Pinto: quali prospettive per l'equa riparazione?").
Questi argomenti sono stati oggetto di recente argomentazione della Corte di Cassazione civile (con Sentenza n. 2656 del 01/02/2017).
Secondo il ricorrente, non a torto, " ... aderendo all'interpretazione rigorosa delle norme, la conseguenza sarebbe che il ritardo nella notifica del decreto implica che la domanda indennitaria non possa essere riproposta con un grave vulnus ad un diritto soggettivo destinato a ristorare un pregiudizio ad un diritto fondamentale dell'individuo, quale quello alla durata ragionevole del processo, che in tal modo verrebbe irrimediabilmente compromesso".
La Corte di Cassazione non concorda: innanzitutto secondo la S.C. il termine è da considerarsi perentorio, nonostante il termine non venga espressamente utilizzato nella norma. E afferma: "Il mancato riferimento esplicito alla natura perentoria del termine appare tuttavia superfluo in ragione della espressa previsione di inefficacia del decreto e di conseguente non riproponibilità della domanda che vale ad attribuire in facto il carattere della perentorietà al termine di trenta giorni, proprio in ragione delle gravi conseguenze che scaturiscono dal suo mancato rispetto".
Ricorda inoltre, quale sia il meccanisco disegnato dall'art. 5 della L. 89/2001 in merito alla notifica o opposizione al decreto.
Ricorda la sentenza che allorquando il decreto sia stato emesso per una somma inferiore a quella domandata nel ricorso, il ricorrente è posto davanti ad un'alternativa processuale, secondo la quale potrà:
1) provvedere alla notificazione del ricorso e provvedimento dovendosi prendere atto che normativamente ciò implica acquiescenza del ricorrente alla pronuncia per la parte non accolta;
2) se il ricorso è in tutto o in parte respinto la domanda non può essere riproposta, ma la parte può fare opposizione a norma dell'art. 5 ter avverso il decreto di parziale accoglimento. In tal caso non dovrà procedere alla notificazione del ricorso e del decreto poiché ciò renderebbe improponibile l'opposizione stessa.
Quanto alla richiesta disamina della incostituzionalità la Corte afferma: ". .. la differente soluzione legislativa individuata per la domanda di equo indennizzo rispetto a quella prevista per il procedimento monitorio di cui al codice di rito, appare quindi riconducibile ad una legittima scelta discrezionale del legislatore, il quale ha a tal fine altresì approntato delle garanzie procedimentali che inducono a ritenere il procedimento de quo immune dalle censure di costituzionalità prospettate nel secondo motivo, non potendo reputarsi che in tal modo sia stato leso il diritto di difesa delle parte nè che sia stato irrimediabilmente pregiudicato il diritto all'indennizzo per la durata irragionevole del processo".
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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione civile Sentenza n. 2656 del 01/02/2017:
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
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