Per dichiarare il fallimento il giudice può non tenere conto dei bilanci depositati tardivamente

Ai fini della prova dei requisiti di non fallibilità, i bilanci degli ultimi tre esercizi sono quelli già approvati e depositati nel registro delle imprese. Cassazione civ. Ordinanza n. 13746/2017

- di Dott. Fulvio Graziotto
Tempo di lettura: 4 minuti circa
Per dichiarare il fallimento il giudice può non tenere conto dei bilanci depositati tardivamente

Ai fini della prova dei requisiti di non fallibilità, i bilanci degli ultimi tre esercizi sono quelli già approvati e depositati nel registro delle imprese.

In difetto, il Giudice può - motivatamente - non tenere conto dei bilanci prodotti.

 

Il caso.

 

Il tribunale dichiarava il fallimento di una SRL; la società proponeva reclamo che veniva respinto dalla Corte d'Appello.

La società propone ricorso per la cassazione della pronuncia, affidandosi a cinque motivi

La Cassazione accoglie l'ultimo motivo di ricorso, fondato sulla censura della conclusione della Corte d'Appello circa l'inattendibilità dei bilanci per il loro tardivo deposito.

 

La decisione.

La Suprema Corte, dopo aver affrontato i primi quattro motivi (vertenti su asseriti vizi di notifica e di instaurazione del contraddittorio) che ha ritenuto inforndati, esamina il quinto motivo di ricorso, relativo alla pretesa inattendibilità dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi per il loro tardivo deposito presso il registro delle imprese.

Il Collegio dapprima ricorda la fonte degli obblighi di deposito: Osserva la Corte che il bilancio di esercizio delle società di capitali, per il quale l'art. 2435, 1° co., cod. civ. (richiamato per la società a responsabilità limitata dall'art. 2478-bis, 2° co.) prevede che, entro trenta giorni dall'approvazione, una copia dello stesso

(corredata dalle relazioni previste dagli art. 2428 e 2429 e dal verbale di approvazione dell'assemblea o del consiglio di sorveglianza), deve essere depositata, a cura degli amministratori, presso l'ufficio del registro delle imprese o spedita al medesimo ufficio, a mezzo di lettera raccomandata (art. 7 bis, D.Lgs. n. 357 del 1994, convertito, con modificazioni, con L. n. 489 del 1994), o attraverso adempimenti telematici.

Poi ne ricorda la valenza: «Si tratta, invero, di un adempimento che assolve ad una funzione meramente informativa, o «conoscitiva», proprio della pubblicità-notizia che, tuttavia, riveste una certa importanza per tutti coloro che vengono a contatto con la società: infatti, l'obbligo di deposito del bilancio risponde all'interesse di ogni utilizzatore del bilancio stesso a conoscere la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6018 del 1988)».

Poi afferma, innanzitutto, il seguente principio di diritto:

«i bilanci degli ultimi tre esercizi che l'imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell'art. 15, quarto comma, LF, sono quelli approvati e depositati nel registro delle imprese, ai sensi dell'art. 2435 cod. civ.».

Quindi si esprime sulla possibilità, per il Giudice, di non tenere conto - motivando - dei documenti non depositati o depositati tardivamente: «le ragioni di tutela, anche ai fini concorsuali, di coloro che siano venuti in contatto con l'impresa (potendo aver fatto affidamento sulla fallibilità o meno dell'imprenditore in base ai dati di bilancio), fanno sì che l'esame di siffatti documenti contabili, non depositati o non tempestivamente depositati, possa dar luogo a dubbi circa la loro attendibilità, anche in conseguenza delle tempistiche osservate (o non osservate) nell'esecuzione di tali adempimenti formali, sicché - in tali casi - il giudice potrà non tenere conto dei bilanci prodotti, di conseguenza rimanendo l'imprenditore diversamente onerato della prova circa la sussistenza dei requisiti della non fallibilità».

A questo punto, censura la decisione della Corte di Appello, che «Nel caso in esame, il giudice di merito, sulla base della mancata prova del tempestivo deposito dei bilanci della società fallita presso il registro delle imprese, ha affermato in linea astratta che il solo fatto della violazione delle norme procedimentali, di per sé, «inficia la capacità (dell'atto) di fornire nel procedimento prefallimentare una prova attendibile dei dati in esso riportati», senza tener conto della concreta violazione addebitabile alla società debitrice».

E ne precisa la ragione: «In tal modo, tuttavia, esso è pervenuto ad una affermazione (l'inattendibilità dei documenti prescritti dall'art. 15, IV co., LF) che, considerata la natura dichiarativa della pubblicità di quegli atti, non appare corretta, perché è stata compiuta senza l'accertamento concreto della specifica vicenda oggetto di esame».

Richiamandosi a una recente decisione, il Collegio ricorda che «questa Corte ha già avuto modo di avvertire che, «ai fini della prova, da parte dell'imprenditore, della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all'art. 1, comma 2, I.fall., i bilanci degli ultimi tre esercizi costituiscono la base documentale imprescindibile, ma non anche una prova legale, sicché, ove ritenuti motivatamente inattendibili dal giudice, l'imprenditore rimane onerato della prova circa la ricorrenza dei requisiti della non fallibilità.» (Sez. 1, Sentenza n. 24548 del 2016)».

E, quindi, censura l'operato del giudice del merito nel caso deciso: «Ciò che è appunto mancato nella specie perché, se i dati contenuti nel bilancio non costituiscono una prova legale, come si è detto, neppure si può negare in astratto la loro attendibilità, così come ha fatto il giudice a quo, e ciò sulla base della non risultanza della data del loro deposito nel registro delle imprese, senza uno specifico accertamento ed una conseguente concreta motivazione del perché egli sia giunto a quella conclusione di inattendibilità».

Nell'accogliere il motivo di ricorso, la Suprema Corte rinvia alla Corte di Appello in diversa composizione, la quale dovrà riesaminare la questione attenendosi al seguente principio di diritto:

«in tema di fallimento, ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all'art. 1, comma secondo, I.fall., i bilanci degli ultimi tre esercizi che l'imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell'art. 15, quarto comma, I.fall., sono quelli già approvati e depositati nel registro delle imprese, ai sensi dell'art. 2435 c.c.; sicché, ove difettino tali requisiti, o essi non siano ritualmente osservati, il giudice può motivatamente non tenere conto dei bilanci prodotti, rimanendo l'imprenditore onerato della prova circa la sussistenza dei requisiti della non fallibilità».

 

Osservazioni.

La Cassazione, in sostanza, ha censurato la Corte d'Appello per il mancato accertamento, nel caso concreto, della inattendibilità dei bilanci tardivamente depositati.

Nel principio di diritto affermato, viene chiarito che il Giudice può non tenere conto dei bilanci prodotti tardivamente, ma deve motivarne le ragioni.

Inoltre, rimane sempre in capo all'imprenditore l'onere della prova circa la sussistenza dei requisiti di non fallibilità che - qualora il giudice accerti l'inattendibilità dei bilanci tardivamente depositati - può essere comunque potezialmente fornita con altri elementi.

A cura di
Fulvio Graziotto

 

Giurisprudenza rilevante.

  1. Cass. 6018/1988
  2. Cass. 24548/2016

 

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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione civ. Ordinanza n. 13746 del 31/05/2017:

 

FATTI DI CAUSA

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