Recupero del credito con violenza: estorsione o esercizio arbitrario delle proprie ragioni?
Un approfondito esame della Cassazione sulla differenza fra il reato di estorsione e l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, prendendo spunto da un recupero del credito effettuato mediante violenza e minaccia. Cassazione Sentenza n. 46288/2017

Il caso prendeva spunto da una denuncia effettuata da un piccolo debitore che aveva subito minacce da parte del creditore con l'aiuto di un più aitante e minaccioso conoscente. Le violenze e minacce in danno al debitore giungevano ad indurre il debitore a consegnare loro le chiavi della propria autovettura oltre alla stessa autovettura, che gli imputati trattenevano come pegno in vista della successiva consegna della somma dovuta, ed a firmare un documento ricognitivo del debito a titolo di ulteriore garanzia.
E' l'occasione per la Suprema Corte di affrontare in modo approfondito il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni nei suoi elementi caratteristici e costituitivi analizzandosi, altresì, gli elementi distintivi rispetto al reato di estorsione e la possibilità di estensione del concorso.
La presenza di due soggetti agenti la violenza e la minaccia allo scopo di recuperare un proprio credito ma di cui uno soltanto dei due era l'autentico creditore, pone inoltre, infatti, l'attenzione sulla questione del concorso nel reato.
Di seguito il testo dell'art. 392 su "Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose".
Chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 516.
Agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione.
Si ha, altresì, violenza sulle cose allorché un programma informatico viene alterato, modificato o cancellato in tutto o in parte ovvero viene impedito o turbato il funzionamento di un sistema informatico o telematico.
Posto che il creditore che ricorre a tali mezzi brevi per recuperare il proprio credito sia imputabile di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (e non di estorsione), l'aiutante sarà agente in concorso di tale reato. O avrà una sua autonoma qualificazione di estorsore. O potrà, infine, essere il creditore attratto nel concorso nella più rilevante fattispecie delittuosa dell'estorsione?
Sulla distinzione fra i due reati, infine, la stessa Corte di Cassazione fa presente l'esistenza di due distinti orientamenti giurisprudenziali anche se il secondo strettamente minoritario.
Afferma la Corte che secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità "i delitti di cui agli artt. 393 e 629 c.p., si distinguono essenzialmente in relazione all'elemento psicologico: nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, giudizialmente azionabile, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nell'estorsione, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto, pur nella consapevolezza di non averne diritto".
Secondo l'opposto orientamento va valorizzata, ai fini della predetta distinzione, "la materialità del fatto, affermando che, nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta violenta o minacciosa non è fine a sè stessa, ma è strettamente connessa alla finalità dell'agente di far valere il preteso diritto, rispetto al cui conseguimento si pone come elemento accidentale, per cui non può mai consistere in manifestazioni sproporzionate e gratuite di violenza". Con la conseguenza "che si rimarrebbe indubbiamente nell'ambito dell'estorsione, ove venga esercitata una violenza gratuita e sproporzionata rispetto al fine".
Di fronte a questo duplice indirizzo la Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, scioglie ogni dubbio separando l'elemento della materialità dichiarandolo non sovrapponibile nei due reati e facendo più strettamente riferimento al dettato letterale della norma. In questa ottica si dovrà valorizzare l'elemento personalistico dell'esercizio arbitrario delle porprie ragioni. Secondo la Corte il predetto reato "rientra, diversamente da quello di estorsione, tra i cc.dd. reati propri esclusivi o di mano propria, che si caratterizzano in quanto la loro esecuzione implica l'intervento personale diretto del soggetto designato dalla legge".
Per concludere con la logica conseguenza che "se la condotta tipica di violenza o minaccia prevista dagli artt. 392 e 393 c.p., è posta in essere da un terzo estraneo al rapporto obbligatorio fondato sulla pretesa civilistica asseritamente vantata nei confronti della p.o., che agisca su mandato del creditore, essa potrà assumere rilievo soltanto ex art. 629 c.p., giammai a titolo di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
In tutti gli altri casi, nei quali la condotta tipica è posta in essere da chi agisce per "farsi ragione da sè medesimo", sarà, al contrario, configurabile - in ipotesi (e salva la considerazione delle eventuali peculiarità dei singoli casi concreti) il concorso (per agevolazione, od anche morale) di terzi estranei alla pretesa civilistica vantata dall'agente nei confronti della p.o. nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni".
Va, tuttavia, esaminato anche l'aspetto dell'elemento psicologico legato alla volontà di perseguire la tutela di un diritto tutelabile attraverso le vie ordinarie. Nel reato di cui all'art 393 c.p. "la pretesa arbitrariamente attuata dall'agente deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico ... l'agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente". Mancando questo elemento si ricade nella diversa fattispecie dell'estorsione.
E afferma la S.C. "in applicazione del principio, è stata, ad esempio, già ritenuta la configurabilità del delitto di estorsione, e non di quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, nei confronti del creditore che eserciti una minaccia per ottenere il pagamento di interessi usurari, poichè in tal caso egli è consapevole di porre in essere una condotta per ottenere il soddisfacimento di un profitto ingiusto".
Dopo avere citato casistiche diversificate che pongono ciascuna problematiche diverse, la Corte di Cassazione, a conclusione del lungo argomentare, afferma i seguenti principi di diritto:
- il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza alle cose che con violenza alle persone) è posto a tutela dell'interesse statuale al ricorso obbligatorio alla giurisdizione (il c.d. monopolio giurisdizionale) nella risoluzione delle controversie;
- il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza alle cose che con violenza alle persone) rientra tra i cc. dd. reati propri esclusivi o di mano propria, che si caratterizzano perchè la condotta tipica assume rilievo penale nell'ambito della norma incriminatrice che la prevede e punisce soltanto se posta in essere personalmente da un determinato soggetto attivo; ne consegue che, se la condotta tipica di violenza o minaccia prevista dagli artt. 392 e 393 c.p., è posta in essere da un terzo estraneo al rapporto obbligatorio fondato sulla pretesa civilistica asseritamente vantata nei confronti della p.o., che agisca su mandato del creditore, essa non potrà mai integrare il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ma soltanto altra fattispecie. (Nei casi in cui la condotta tipica è posta materialmente in essere da chi intende "farsi ragione da sè medesimo", è, al contrario, configurabile il concorso - per agevolazione, od anche morale - nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni di terzi estranei alla pretesa civilistica vantata dall'agente nei confronti della p.o.);
- il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza alle cose che con violenza alle persone) e quello di estorsione si distinguono quanto al soggetto attivo, perchè soltanto il primo è un reato proprio esclusivo o c.d. di mano propria, e quanto all'elemento psicologico, perchè, nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non arbitraria, ma ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nell'estorsione, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto ingiusto, nella piena consapevolezza della sua ingiustizia;
- per la sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza alle cose che con violenza alle persone) occorre che l'autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente. La pretesa arbitrariamente attuata dall'agente deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi quid pluris, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato;
- ai fini della distinzione tra il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza alle cose che con violenza alle persone) e quello di estorsione, l'elevata intensità o gravità della violenza o della minaccia di per sè non legittima la qualificazione del fatto ex art. 629 c.p., poichè l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni può risultare - come l'estorsione aggravato dall'uso di armi, ma può costituire indice sintomatico del dolo di estorsione.
[[ Vedi ora le Sezioni Unite Sentenza n. 29541/2020 in "Sulla differenza fra esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza ed estorsione le SS.UU." - Aggiornamento del 27/10/20]]
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Di seguito il testo di
Cassazione Penale Sentenza 3 novembre 2016 n. 46288:
RITENUTO IN FATTO
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