Parliamo di Giustizia Riparativa. Intervista al Prof. Lodigiani

Facciamo il punto sulla Giustizia Riparativa (Restorative Justice) con il Prof. Giovanni Angelo Lodigiani intervistato in esclusiva per ProfessioneGiustizia.it

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Parliamo di Giustizia Riparativa. Intervista al Prof. Lodigiani

Il Professore Giovanni Angelo Lodigiani è pioniere in Italia dell'Istituto della Giustizia Riparativa, assieme ad un piccolo gruppo di giuristi fra cui citiamo solamente Grazia Mannozzi.

Assieme hanno curato la pubblicazione del libro edito da Il Mulino titolato, appunto, "Giustizia riparativa", una raccolta di interventi di autori vari fra cui, più noti al pubblico, il dott. Gherardo Colombo e il dott. Piercamillo Davigo. Basti citare, di questo libro, una frase della descrizione di copertina: "Non solo violazione di una norma, il reato è soprattutto una ferita inflitta ad un singolo o a una comunità".

Da poco più di un anno, il Prof. Lodigiani ha scritto (sempre assieme alla Prof.ssa Grazia Mannozzi) il primo manuale vero e proprio di giustizia riparativa, edito dalla Giappichelli e titolato "La giustizia riparativa. Formanti, parole e metodi". Assieme hanno, infine, permesso la creazione di un interessantissimo documentario (docufilm) della durata di circa 45 minuti e che si trova su Youtube - quindi liberamente visionabile e che consiglio spassionatamente di vedere - che abbiamo inserito anche in calce a questa intervista.

Giovanni Angelo Lodigiani è Professore a contratto di Giustizia riparativa e mediazione penale nel Dipartimento di Diritto, Economia e Culture dell'Università dell’Insubria di Como.

Manifestando una rara disponibilità e umanità ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune domande per il nostro sito che, è anche, lo ricordo, rivista giuridica.

 

Professor Lodigiani, per cominciare vorrei citare una frase che si trova a pagina 113 del Suo libro edito dal Mulino: "La vittima non ha bisogno di vendetta e nemmeno di umiliare l'autore del reato. Ha bisogno piuttosto di un atto di umiltà dopo la prevaricazione subita". Qual'è il sistema attuale, invece, come funziona il diritto penale?

Si, diciamo che con la giustizia riparativa la vittima concettualmente viene portata in primo piano, proprio perché era sostanzialmente dimenticata nel processo penale, nel quale viene solo ascoltata, ma di fatto non può parlare.

La giustizia riparativa è un paradigma giuridico complementare al diritto penale, perché ha bisogno dei diritto penale nella parte della precettistica perché è lì che si evidenzia il valore. Quindi la giustizia riparativa si occupa di porre una dinamica di comunicazione fra la vittima, il reo e la società perché, ricordo, sono tre i soggetti coinvolti dal reato secondo la giustizia riparativa, non solo il reo e la vittima ma anche la comunità. In questo contesto la vittima, appunto, che si sente veramente vittima, non giustizialista, non ha bisogno di vendetta né di concepire il reo come una persona per la quale buttare via la chiave della cella, tanto per capirsi. La vittima ha immediatamente necessità di comunicazione e di riconoscimento di sé e di richiesta di scuse. Infatti una delle prime indicazioni di chi si muove nella giustizia riparativa sono le cosiddette apologies, la vittima ha bisogno di un momento di riconoscimento di se che passa attraverso le scuse, almeno, come minimo, attraverso le scuse. Ma cosa sono le scuse, cosa si intende? A livello di giustizia riparativa, cosa sono le apologies? Non è una dinamica di buonismo quella della giustizia riparativa, è una dinamica che vuole invitare il reo a prendere consapevolezza dei gesti che ha compiuto e conseguentemente assumersene la responsabilità.

La vittima non ha bisogno della vendetta quanto piuttosto di un atto di umiltà dopo la violazione subita. L'atto di umiltà sono le scuse, sono la dinamica che riapre la relazione, non tanto inerente al risarcimento del danno e la parte economica ....

... mi scusi professore mi permetta di interromperla, anche perché le scuse che siano sincere, costruttive, e che poi sono quelle richieste dalla giustizia riparativa, possono arrivare solamente dopo un percorso personale, di autoesame da parte del reo, altrimenti, arrivando delle scuse formali, queste non servono a niente e a nessuno ...

sì, chiaro, non vi può essere da parte del reo un "mi scuso per quel che è capitato e tutto torna come prima", non può essere così.

 

Abbiamo due visioni di fondo, quindi. Il reo come mela marcia, un cancro da estirpare, da un lato e la visione opposta, l'umanità come famiglia e il reo come figlio da recuperare. Di fondo alla giustizia riparativa c'è una forte fiducia nell'umanità.

La giustizia riparativa innanzitutto non è buonismo. È complementare al diritto penale perché non può fare a meno del diritto penale ed è un paradigma giuridico che è per tutti ma non è da tutti. Non è la panacea di tutti i mali.

E' però il tentativo di mettere al centro le persone, il colpevole e la vittima come persone, poi attraverso diversi strumenti che sono presenti nell'orizzonte della giustizia riparativa, di cui la mediazione penale è lo strumento cardine, e poi le apologies, i circoli riparativi, il dialogo riparativo. Non è qualche cosa che scade nel buonismo, perché per arrivare ad una richiesta di giustizia riparativa occorre sia stato fatto un percorso. Il reo fa domanda, ed il giudice può accordarla, dopo un proprio percorso in una dinamica che è assolutamente volontaria. Questo non è assolutamente da dimenticare, cioè non è qualcosa di vincolante, obbligatorio ma, giustamente, fatto su base volontaria.

Il reo resta sempre una persona, nonostante l’efferatezza del delitto che possa avere compiuto, resta sempre una persona e la fiducia nell'umanità esce dal fatto che il crinale reo - vittima è molto delicato, molto tagliente; chi ha avuto la possibilità di entrare in contatto con persone detenute si accorge di come effettivamente una persona può rimettersi di nuovo in gioco, cambiare, chiedere le scuse ed esprime il desiderio profondo di riparare al danno che ha fatto, per il male fatto.

 

Andiamo sul tecnico; qual è la normativa ad oggi vigente e quali i tratti salienti dell'attuale normativa riguardante la giustizia riparativa? Cosa manca, ancora?

Abbiamo innanzitutto il documento cardine per l'Europa che è la direttiva del 2012. Questa invita, sollecita i programmi di giustizia riparativa.

In Italia ci sono interstizi ... il primo è costituito dal macro settore riguardante la giustizia minorile, dove la giustizia riparativa ha vissuto il suo primo momento di palestra. Poi, dobbiamo ricordare, la competenza penale del giudice di pace e qui citiamo l'esperienza nostra, di Como, dove si sono vissuti momenti di giustizia riparativa riguardanti reati che possiamo definire bagatellari, in modo particolare la guida in stato di ebrezza, che interessa soprattutto i neopatentati. Questi cercano di fare un percorso di giustizia riparativa, di commutare la pena con un percorso di giustizia riparativa, che di solito è un'assistenza che va, diciamo, dalla biblioteca al canile, tanto per capirci. Dove alcuni di essi tornano, o si fermano addirittura perché l'esperienza è stata per loro positiva e umanamente rilevante. Da ultimo abbiamo la messa alla prova per gli adulti. Diciamo che sono questi tre gli interstizi attuali.

Che cosa manca ... manca un articolato specifico di giustizia riparativa. Faccio presente che la mia collega Grazia Mannotti era presidente del tavolo tecnico 13 degli stati generali della revisione della pena impegnata a stendere un apposito articolato riguardante la giustizia riparativa. Attendiamo con fiducia…

.... la interrompo nuovamente, scusi, ma il ministero della giustizia, vuoi perché sollecitato dall'unione europea, vuoi motu proprio, mi risulta abbia manifestato interesse per la giustizia riparativa; quindi cosa accade secondo Lei, quando si passa dall'amministrazione all'aula parlamentare vengono meno i numeri, diventa difficile avere un consenso generalizzato?

Ma più che un consenso generalizzato nell'esperienza di cui riferiva la mia collega e che lì, in commissione, alcuni operatori giuridici si sentono, come dire, destabilizzati in quanto in una parte del percorso, in particolare il dialogo reo-vittima, è condotto da figure particolari, i mediatori. Questo fatto mette in difficoltà gli operatori giuridici perché devono, in qualche misura, fidarsi del lavoro di altri. E questo è il nodo da sciogliere.

E poi ripeto, la giustizia riparativa è per tutti ma non è da tutti, per alcuni reati vi è necessità del fermo, ecco. La giustizia riparativa è un percorso che si attiva dopo anni, anni nei quali le persone hanno manifestato non solo con le parole ma con la concretezza dei fatti questo desiderio di riparare.

 

Quali sono i soggetti, le professioni, interessate dalla Giustizia riparativa. E il ruolo dell'avvocato: c'è spazio per questa figura professionale?

Diciamo che il ruolo specifico è il ruolo del mediatore per il quale ci si forma e anche noi nell'Insubria avvieremo a breve una scuola di specializzazione alla giustizia riparativa e mediazione penale, un corso di 200 ore, per formare le persone ad essere mediatori.

L'avvocato è chiamato a rendersi sensibile sull'argomento e a vedere con i suoi assistiti le diverse possibilità per ricorrere alle dimensioni della giustizia riparativa E' chiaro che deve pensare a queste dimensioni come complementari non come sostituti.

Poiché gli strumenti della giustizia riparativa sono su base volontaria, l'avvocato ha questo spazio di dialogo profondo con il suo assistito per capire come può indirizzarlo verso un recupero della persona. Deve, non dico uscire dalla sua professione, ma deve affinare la sensibilità con la quale svolge la sua professione proprio in questo senso.

 

E’ solo un pensiero, lo butto lì. Dal diritto astratto oggettivo, valido erga omnes, al diritto soggettivo, personale.

Più che diritto soggettivo e personale, la giustizia riparativa è un'attenzione alla persona da parte di coloro che sono i soggetti della giustizia riparativa, i magistrati e altro personale; questi sono chiamati ad avere questa nuova tipologia di attenzione. Ai percorsi di giustizia riparativa si giunge in modo estremamente volontario, e non è detto che tutti desiderino ricorrevi o camminare secondo questo percorso. E qui è il caso di richiamarmi ai dati sulla recidiva. Il tasso di recidiva per chi è entrato in un percorso di giustizia riparativa è un dato che dimostra l’estremo successo del percorso, nel senso che mediamente chi va in carcere torna sul suo reato commesso nel 68% dei casi, mentre invece chi è entrato nei percorsi di giustizia riparativa torna sul suo reato con un tasso di recidiva del 18%.

è un divario impressionante …

Quando si entra in un percorso di giustizia riparativa le ipotesi vengono messe a ferro e fuoco, non c'è buonismo in questo. Quando si decide un comportamento, una iniziativa, poi vi sarà la verifica. Se non è fatto siamo rimasti a livello delle parole. Non c'è desiderio di riparare e lì si torna alla pena reclusiva classica.

 

Ci può fare un esempio, un caso concreto di successo, ad uso dei lettori, per comprende il punto di vista?

Nella nostra esperienza comasca, posso dire che il reato è l'epigono, ma noi siamo andati anche nella scuola a discutere degli atti di bullismo.

... siamo nella prevenzione ...

si esatto nelle scuole del nord Europa le dinamiche riparative iniziano in quelle che una volta erano le scuole elementari e che adesso sono le scuole primarie. Quando succede qualcosa in classe, tipo sparisce la penna - anche non cose gravi – o uno che nasconde l'astuccio all'altro, l'insegnate si ferma, mette tutti in circolo (il circolo è quello che favorisce la dimensione ideologica) e si inizia a capire le motivazioni. Non tanto si discute sul "chi è stato" piuttosto si inizia con il descrivere "che cosa è successo" e quindi ciascuno si sente libero di dire quello che ha percepito, quello che secondo lui è la descrizione del fatto.

Si cresce con una dinamica culturale di giustizia che coinvolge tutti. È il principio di quella che potremmo definire una cittadinanza attiva.

Il vero controllo dell’ordine sociale è l'essere attenti l'uno all'altro. In nord Europa imparano questo fin da piccoli.

Nella nostra scuola, invece, c'è una preoccupazione molto burocratizzata, di stare al passo con i programmi dimenticando le persone le quali poi non crescono come persone.

Nella fattispecie, invece, post reato, come dicevo prima, noi a Como, abbiamo una grossa esperienza sul reato della guida in stato di ebrezza. La gran parte dei neo-patentati o comunque giovani che incorrono in questo reato, con l’assistenza del loro avvocato e grazie alla sensibilità dei magistrati (in particolare noi abbiamo un paio di magistrati sensibili a questo discorso, e che indirizzano il reo utilizzando delle convenzioni messe in atto nel territorio. affidate al Centro Servizi Volontariato di Como) queste persone, dicevo, vengono affidate al Centro Servizi Volontariato dove si svolgono i colloqui nei quali si comprendono quali sono le loro migliori attitudini; in seguito vengono dislocati - per un equivalente di ore pari alla pena che dovrebbero scontare in carcere – ad una attività di servizio, ripeto o in canile o nella biblioteca, o per fare ridipingere le staccionate, sistemare le mura imbrattate, cose del genere ...

...la interrompo ancora, mi perdoni; ma tutto ciò sembra avere poco a che fare con la tipologia di comportamento, voglio dire dipingere una staccionata con l'abitudine di bere sembra c'entrare poco ... anche se, mi rispondo un po' da solo, dai dati statistici che Lei ci ha raccontato sulla recidiva capisco che anche ciò serve ...

Si, e le spiego il perché. A livello generale, mediamente parlando la guida in stato di ebrezza è la punta di un iceberg di un vuoto interiore delle persone, perché nella maggior parte dei casi, questi giovani quando poi vengono addetti a queste tipologie di servizi, vedono e capiscono che loro, come essere umano, possono essere utili all'altro diversamente dal ruolo, invece, della persona che danneggia l'altro. E attraverso questo acquisiscono il controllo sulla propria persona, sui propri comportamenti, dei quali fa parte l'abitudine del bere, o la mancata attenzione nel momento in cui si assumono alcolici. Il servizio agli altri li responsabilizza. Capiscono che hanno un ruolo sociale.

 

Durante l'umanesimo, il rinascimento, la cultura e l'arte spiccava il volo ma la giustizia rimaneva a livelli barbari, dove la stessa pena di morte sembrava non sufficiente dovendo il condannato subire anche una morte sofferente.

Di lì a poco, con il lavoro di Cesare Beccaria abbiamo avuto uno strappo in avanti, un recupero, una sorta di riconciliazione con l'avanzamento sociale.

Sembra che la società non evolva in modo lineare nelle sue componenti ma venga tirata su un po' qua e un po' la, quando c'è tempo di intervenire. E' forse giunto il momento di rivedere l'impostazione della pena nell'attuale momento storico? Forse la società è già andata avanti, è tempo per la giustizia di recuperare?

Se si guarda il nostro manuale nella prima parte relativa alla origine della la giustizia riparativa, si vedrà che sono diversi i momenti che han fatto nascere la giustizia riparativa. In una comunità canadese due giudici che avevano a che fare con dei minorenni hanno deciso di cambiare la modalità di esecuzione della pena imponendo a loro di svolgere delle attività a favore delle persone che avevano offese.

È vero, la giustizia riparativa ha come origine una serie di malumori che sono stati colti a livello di società mondiale: da una parte una maggiore attenzione alla vittima e dall'altra parte una sofferenza causata dall'ipertrofia della legge, un eccesso di normativa dove uno non più come fare a districarsi.

Da altra parte ancora il fatto che ci si è accorti che, così pensata, la pena di fatto non raggiunge lo scopo: a) perché non rieduca, b) perché il reo torna a delinquere.

E' proprio vero, c'è una riflessione complessiva della società sul diritto penale che per certi aspetti non sa integrare.

La giustizia riparativa si pone come profilo alto, attraverso un lavoro profondo, per far si che la comunità sociale sia una comunità integrata. Il che non significa che tutti devono pensare allo stesso modo ma che le persone facenti parte della collettività sanno confrontarsi civilmente su opinioni diverse.

Non è un caso che proprio Voltaire, a proposito di civiltà, abbia detto mostratemi come sono le vostre carceri e vi dirò come è il vostro livello di civiltà.

 

Le ultime parole del docufilm sono Sue e nel dare una definizione della giustizia riparativa Lei afferma: "È rispondere al male con il bene".

Si perché di fatto così come è pensata adesso la pena è un raddoppio del male. Il raddoppio del male moltiplica la negatività. Certo rispondere con il bene al male necessita di una robustezza interiore, forza interiore notevole.

Ma questa è l'unica via per una società che sia effettivamente integrata e sana sotto tutti i profili

 

(LMR)

 

Il docufilm

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