Liquidazione del danno aquiliano: irrilevante la realtà socioeconomica
La realtà socioeconomica nella quale vive la vittima di un fatto illecito è del tutto irrilevante ai fini della quantificazione del risarcimento del danno. Cassazione civile Ordinanza n. 3767/2018

1. La massima
La realtà socioeconomica nella quale vive la vittima di un fatto illecito è del tutto irrilevante ai fini della liquidazione del danno aquiliano.
In tal senso la Sezione VI civile, con sentenza n. 3767 del 14/12/2017 - 15/02/2018, ribadendo un orientamento tra l’altro impostosi da tempo nella giurisprudenza di legittimità.
2. Il fatto e la questio iuris
I congiunti della deceduta vittima di un incidente stradale (moglie, figli, madre e fratelli) agivano in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla perdita del congiunto.
Con riferimento alla moglie e ai figli della vittima, Il Tribunale rigettava la domanda attorea, mentre la Corte d’appello1 accoglieva solo parzialmente il gravame ritenendo che il danno non patrimoniale da loro patito dovesse essere ragguagliato alla realtà socioeconomica in cui vivevano i soggetti danneggiati (Romania), riducendo quindi del 30% il risarcimento che avrebbe altrimenti liquidato a persone residenti in Italia.
Interposto il ricorso per cassazione della sentenza, si lamentava, per quanto qui occorre, la violazione degli artt. 2043 e 1223 c.c., per avere il giudice di merito ridotto il risarcimento in considerazione del luogo di residenza dei richiedenti.
La società assicuratrice interponeva controricorso rappresentando la tesi per cui la funzione compensativa dell'illecito aquiliano postuli una minore liquidazione del danno quanto minore è il costo necessario per procacciarsi le utilità perse a seguito dell'illecito, dovendo dunque tenersi conto della realtà socioeconomica dei richiedenti. Inoltre, si affermava la mancanza di reciprocità, nella misura in cui la liquidazione di danni simili a favore di italiani in Paesi più poveri subiva la realtà socioeconomica più disagiata.
3. Il decisum
Secondo la Suprema Corte è ingiustificata la riduzione del risarcimento in considerazione del luogo di residenza, posto che «la realtà socioeconomica nella quale vive la vittima d'un fatto illecito è del tutto irrilevante ai fini della liquidazione del danno aquiliano»2
Invero, La Suprema Corte ha spiegato che dalla funzione compensativa della responsabilità aquiliana non può farsi discendere una relazione tra il pretium doloris la residenza del danneggiato, nel senso del primo in funzione della seconda.
Da un punto di vista eminentemente giuridico, nella stima di ogni danno non patrimoniale si deve tenere conto delle conseguenze dell'illecito ex all'art. 1223 c.c., ossia dei pregiudizi che la vittima in assenza del fatto illecito avrebbe evitato, stimati in base alla natura ed alla consistenza dell'interesse che li sottende (l'id quod interest citando Giustiniano3, ovvero "ofelimità" citando Pareto). In tal senso, il luogo dove la vittima vive non è una "conseguenza" del fatto illecito e lo stesso dicasi dell'impiego che la vittima farà del denaro dell'offensore. In ogni caso, il risarcimento in denaro non necessariamente è destinato ad essere speso e potrebbe anche essere tesaurizzato o investito (venendo in questo caso meno la differenza tra Paesi più e meno ricchi), sempre fermo che col pagamento del risarcimento l'obbligazione si estingue e ciò che avviene dopo (spendita, tesaurizazione o investimento del denaro) costituisce post factum giuridicamente irrilevante.
Da un punto di vista logico-formale, per il principio della reductio ad absurdum, la premessa della variazione del risarcimento in funzione della residenza dell'avente diritto quale conseguenza della natura compensativa del risarcimento del danno risulterebbe inaccettabile in funzione alle conseguenze che ne discenderebbero (il creditore potrebbe artificiosamente trasferirsi in Paesi dall'elevato reddito pro capite per pretendere un risarcimento maggiore, poi a parità di sofferenza il prodigo o l'appassionata di beni di lusso andrebbe risarcito più dell'avaro o del consumatore modesto, ovvero il risarcimento dovrebbe essere più elevato in tempi di rialzo generalizzato dei prezzi e più modesto in epoche di stagnazione economica).
Come ricorda la Suprema Corte, quandunque sia stato possibile apprezzare un riferimento alla realtà socioeconomica ai fini della liquidazione del danno aquiliano4, la variazione in tal senso del risarcimento poteva teoricamente essere condivisibile per aumentare il quantum del risarcimento e non certo per ridurlo. Tuttavia, nell'occasione in cui il riferimento socioeconomico è stato valutato come possibile criterio di liquidazione in bonam partem, ciò avveniva nel rilievo di un difetto di motivazione e all'interno di un mero obiter dictum e non all'interno della formazione di un principio di diritto. Anzi, in ogni occasione in cui doveva all'uopo indicarsi un principio di diritto, la variazione in funzione della residenza della vittima è stata sempre negata.
Altresì infondato l'assunto della mancanza di reciprocità tra i diversi ordinamenti nella liquidazione dei danni, posto che ogni ordinamento giuridico è superiorem non recognoscens, sicchè la misura del risarcimento da liquidare in Italia non può farsi dipendere dal quantum liquidato per il medesimo pregiudizio in altri Paesi. Senza contare che il risarcimento dei danni derivanti dalla lesione di diritti fondamentali della persona non è soggetto alla condizione di reciprocità di cui all'art. 16 delle Disposizioni sulla legge in generale5.
Dott. Andrea Diamante
Cultore della materia in diritto processuale penale
presso l’Università degli Studi di Enna “Kore”
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1 Corte d'appello di Milano, sentenza 24.7.2015 n. 3223.
2Sez. 3, n. 12146 del 14/06/2016; Sez. 3, Sentenza n. 12221 del 12/6/2015; Sez. 3, Sentenza n. 24201 del 13/11/2014; Sez. 3, n. 7932 del 18/05/2012.
3 Codex Iustiniani, VII, XLVII, De sententiis.
4 Sez. 3, n. 1637 del 14/02/2000.
5 Sez. 3, n. 8212 del 04/04/2013.
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Di seguito il testo di
Cassazione civile, sez. VI, 15/02/2018 Ordinanza n. 3767 dep.15/02/2018
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2009 P.M.E.M., P.V.C., C.P.L., P.T.E., P.N.A. e I. convennero dinanzi al Tribunale di Milano S.P., C.G. e la Fondiaria-SAI s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in UnipolSai s.p.a.) esponendo:
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