Ritardato adempimento dell'obbligo di risarcimento e imputazione degli acconti

Modalità di calcolo del danno da ritardato adempimento di una obbligazione di valore quando il debitore abbia pagato un acconto prima della liquidazione. Il lucro cessante finanziario. Cassazione civile Ordinanza n. 6619/2018

Ritardato adempimento dell'obbligo di risarcimento e imputazione degli acconti

1. La massime

«La liquidazione del danno da ritardato adempimento d'una obbligazione di valore, nel caso in cui il debitore abbia pagato un acconto prima della liquidazione definitiva, deve avvenire: (a) devalutando l'acconto e il credito alla data dell'illecito; (b) detraendo l'acconto dal credito; (c) calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo che va dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto; sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, rivalutata anno per anno, per il periodo che va dal suo pagamento fino alla liquidazione definitiva».

 

2. Effetti del decorso del tempo sull'obbligo di risarcimento del danno: il lucro cessante finanziario

Il danno aquiliano o da fatto illecito rientra tra le obbligazioni c.d. di valore, per cui non si applicano le norme dettate per le obbligazioni pecuniarie, c.d. di valuta, ossia quelle sull'imputazione (art. 1194 c.c.), sulla mora (art. 1224 c.c.) e sull'anatocismo (art. 1283 c.c.).

Ciò non vuol dire però che il ritardato adempimento dell'obbligo di risarcimento del danno sia senza conseguenze, altrimenti non avrebbe senso alcuno l'art. 1219 c.c., per cui il debitore dell'obbligazione di risarcimento del danno è in mora ex re dal giorno dell'illecito.

Le conseguenze della mora sulle obbligazioni di valore, non espressamente disciplinate dalla legge, sono state da tempo stabilite dalla giurisprudenza della Suprema Corte1 che ha fissato al riguardo i seguenti principi:

- il debitore tenuto al risarcimento del danno ha l'obbligo di pagare al creditore l'equivalente monetario del bene perduto espresso in moneta dell'epoca della liquidazione, il che si ottiene con la rivalutazione del credito, salvo che il giudice ovviamente l'abbia già liquidato in moneta attuale;

- il debitore tenuto al risarcimento del danno è tenuto altresì, dal giorno della mora, a pagare al creditore il lucro cessante finanziario, ovvero i frutti che il denaro dovutogli a titolo di risarcimento avrebbe potuto produrre in caso di tempestivo adempimento (e dunque dal giorno dell'illecito, ex art. 1219 c.c.);

- il lucro cessante finanziario si può liquidare anche (ma non solo) applicando un saggio di interessi (c.d. compensativi), equitativamente scelto dal giudice, su un capitale costituito dal credito risarcitorio devalutato all'epoca del fatto, e rivalutato anno per anno.

 

3. L'imputazione degli acconti

È in base ai principi pocanzi esposti che deve quindi risolversi il problema dell'imputazione degli acconti pagati dal debitore prima della liquidazione definitiva.

Se, infatti, il pagamento degli interessi compensativi ha lo scopo di compensare il creditore per la perduta possibilità di investire la somma dovutagli e farla fruttare, ne discende che nel caso di pagamenti in acconto, il creditore:

- nel periodo compreso tra il danno e il pagamento dell'acconto, a causa della mora debendi ha perduto la possibilità di investire e far fruttare l'intero importo dovutogli: dunque il danno da mora deve, per questo periodo, replicare il lucro che il creditore avrebbe teoricamente potuto ottenere dall'investimento dell'intero credito risarcitorio;

- dopo il pagamento dell'acconto, il creditore non può più dolersi di avere perduto i frutti finanziari teoricamente ottenibili dall'investimento dell'intero capitale dovutogli: dopo il pagamento dell'acconto, infatti, il lucro cessante del creditore si riduce alla perduta possibilità di investire e far fruttare il capitale che residua dopo il pagamento dell'acconto.

 

4. Computo degli acconti nella liquidazione

Il debitore moroso d'una obbligazione di valore deve pagare al creditore una somma di denaro composta di due addendi: il controvalore economico del danno provocato, e il lucro cessante derivante dal ritardato pagamento di tale controvalore. La misura del lucro cessante dipende da quella del capitale, per cui quando vengono pagati degli acconti occorre detrarre capitale da capitale e calcolare gli interessi compensativi su quel che resta.

Il pagamento degli acconti va sottratto dal credito risarcitorio attraverso le seguenti operazioni2:

a) rendere omogenei il credito risarcitorio e l'acconto o devalutandoli entrambi alla data dell'illecito, ovvero rivalutandoli alla data della liquidazione;

b) detrarre l'acconto dal credito;

c) calcolare gli interessi compensativi ad un saggio scelto in via equitativa, ed applicato:

- sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo che va dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto;

- sulla somma che residua in conto capitale dopo la detrazione dell'acconto, per il periodo che va dal pagamento parziale fino alla liquidazione definitiva.

 

5. Errata detrazione degli acconti

Sarebbe errata una diversa detrazione degli acconti. Ad esempio, sarebbe errato detrarre l'acconto pagato dal coacervo composto dal capitale (cioè il credito risarcitorio) e dal lucro cessante (cioè gli interessi compensativi) e poi calcolare gli ulteriori interessi compensativi sulla somma residuata a tale sottrazione (e quindi un importo costituito dal cumulo di capitale e mora).

Così facendo si mischierebbe indifferentemente il credito per capitale e quello per lucro cessante, calcolando poi gli interessi anche sugli interessi compensativi già conteggiati, anch'essi perciò rivalutati e resi produttivi di ulteriori interessi. Ciò provocherebbe una sovrastima del danno perché, nel caso di tempestivo adempimento, se i creditori avessero investito le somme incassate non avrebbero potuto ottenere la corresponsione di interessi sugli interessi.

Una situazione simile, in ogni caso, esulerebbe da questioni inerenti possibile anatocismo, rilevando soltando la liquidazione del danno da mora in modo non replicativo del lucro che il creditore avrebbe teoricamente potuto ottenere dall'investimento del denaro se il risarcimento fosse stato tempestivo, violando dunque l'art. 1223 c.c..

 

Dott. Andrea Diamante
Cultore della materia in diritto processuale penale
presso l’Università degli Studi di Enna “Kore”

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1 Ss. Uu., sentenza n. 1712 del 17/02/1995.

2 Sez. 3, sentenza n. 9950 del 20/04/2017; Sez. 3, sentenza n. 6347 del 19/03/2014. Deve ritenersi superato il contrario precedente di Sez. 3, sentenza n. 6357 del 21/03/2011, secondo cui «qualora prima della liquidazione definitiva del danno da fatto illecito il responsabile versi un acconto al danneggiato, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio (...) devalutando alla data dell'evento dannoso sia il credito risarcitorio (...) che l'acconto versato; detraendo quest'ultimo dal primo e calcolando sulla differenza il danno da ritardato adempimento (c.d. interessi compensativi)».

 

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