Quando l’amante rischia di pagare un risarcimento danni al coniuge tradito
La Cassazione ammette la possibilità per il marito tradito di formulare efficacemente una richiesta di risarcimento danni all’amante della moglie. Cassazione civile Ordinanza n. 6598/2019

L’Ordinanza n. 6598 della sezione terza della Corte di Cassazione civile, depositata in data 7 marzo 2019 chiarisce principi che regolano fatti che raramente hanno affrontato le aule di giustizia.
Il fatto.
Tizio, dopo la separazione, ottiene la rivelazione dalla propria moglie che la stessa aveva intrattenuto un flirt amoroso nei luoghi di lavoro, con un collega, che era durato diversi mesi. Allarmato dalla scoperta Tizio chiedeva un esame del DNA per chiarire la provenienza del figlio concepito proprio in quel margine di tempo. A quel punto la moglie cambia, a suo dire, atteggiamento e nega categoricamente vi sia mai stata alcuna relazione.
Tizio, apre un contenzioso giudiziale chiamando in giudizio, ai fini dell’ottenimento di un risarcimento del danno, l’amante della moglie e la società ove moglie e amante lavoravano per non avere adeguatamente sorvegliato i propri dipendenti, lasciando che si verificassero violazioni degli obblighi familiari.
Il caso arriva, abbiamo detto, all’attenzione della Suprema Corte la quale effettua un’operazione ricognitiva dello status quo giurisprudenziale in ordine ai principi regolatori delle conseguenze dell’adulterio, affrontando anche la posizione dell’amante e datore di lavoro.
L’adulterio non comporta automaticamente una responsabilità risarcitoria
Le norme riguardanti gli obblighi familiari portano solamente alle conseguenze regolate all’interno della normativa matrimoniale (addebito) e non vanno viste come inadempimento o atto illegittimo genericamente inteso nell’ordinamento giuridico.
Ciò con la specificazione che è, purtuttavia, ammissibile, un ampliamento dell’inerenza di tale violazione in ambiti extrafamiliaristici qualora ci si trovi in presenza di violazione di diritti costituzionalmente garantiti, in primis il diritto alla salute.
L’Ordinanza in commento, citando Cass. 18853/2011, afferma: “I doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a questa preclusiva”.
Ne consegue che la violazione di un obbligo scaturente dal matrimonio, compreso quello alla fedeltà coniugale, non determina automaticamente conseguenze diverse dai rimedi previsti dall’ordinamento del diritto di famiglia. Non sarà possibile, quindi, promuovere efficacemente una richiesta di danno per il semplice fatto che sia provato un adulterio.
Tuttavia, “la violazione del dovere di fedeltà, ... è risarcibile, ... in quanto l'afflizione superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca nell'altro coniuge, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, primi tra tutti il diritto alla salute o alla dignità personale e all'onore, richiamati del resto nelle stesse prospettazioni del ricorrente”.
Ciò vale anche per gli altri obblighi scaturenti dal vincolo matrimoniale.
Va, infine, ricordato, che “l'azione risarcitoria può essere promossa anche autonomamente ed a prescindere dal giudizio di addebito della responsabilità della separazione personale”.
Per concludere la Corte afferma:
“Il dovere di fedeltà non trova il suo corrispondente quindi in un diritto alla fedeltà coniugale costituzionalmente protetto, piuttosto la sua violazione è sanzionabile civilmente quando, per le modalità dei fatti, uno dei coniugi ne riporti un danno alla propria dignità personale, o eventualmente un pregiudizio alla salute”
Responsabilità dell’amante per l’offesa al coniuge tradito e risarcimento del danno
Tizio aveva promosso azione civile per ottenere il risarcimento del danno dall’amante della moglie e dal datore di lavoro.
Pur non avendo ottenuto l’accoglimento della domanda la Suprema Corte dettaglia le modalità con le quali ipoteticamente tale richiesta sarebbe stata ammissibile.
Chiarendo che “ l'amante non è ovviamente soggetto all'obbligo di fedeltà coniugale” e che pertanto non può essere chiamato a rispondere per la violazione di tale dovere, la Corte aggiunge: “laddove si alleghi, correttamente, che il diritto violato non è quello alla fedeltà coniugale, bensì il diritto alla dignità e all'onore, non può escludersi, in astratto, la configurabilità di una responsabilità a carico dell'amante”.
Quale allegazione, quindi, fornire per ottenere il riconoscimento di un risarcimento del danno a carico dell’amante del proprio coniuge?
Quando, risponde la Corte di Cassazione ” ... con il proprio comportamento e avuto riguardo alle modalità con cui è stata condotta la relazione extraconiugale, abbia leso o concorso a violare diritti inviolabili -quali la dignità e l'onore- del coniuge tradito”. Per ciò basta, ad esempio, a dirla con le parole della S.C. che l’amante “si sia vantato della propria conquista nel comune ambiente di lavoro o ne abbia diffuso le immagini”.
Tale responsabilità vale solamente quale corresponsabilità. Vale a dire che l’amante deve essere qualificato quale co-agente, assieme al coniuge adultero, nell’attività denigratoria o lesiva dei principi costituzionalmente protetti.
Responsabilità del datore di lavoro per mancata sorveglianza dei dipendenti che flirtano.
Secondo Tizio, la compagnia di assicurazione, ove sia la moglie che l’amante svolgevano la propria attività lavorativa, avrebbe dovuto porre in essere attività di controllo tese ad evitare che i luoghi di lavoro servissero da sfondo alla violazione degli obblighi familiari dei dipendenti.
Secondo Tizio tale responsabilità concorrente sussiste ai sensi dell’art. 2049 c.c. in quanto l'illecito è stato commesso nell'esercizio delle incombenze a cui sono stati adibiti i dipendenti.
Stabilisce, in modo tranchant, la Corte di Cassazione che
“non è configurabile, in ogni caso, una responsabilità (concorrente con quella del danneggiante principale) della società datrice di lavoro per non aver sorvegliato e evitato che tra i dipendenti si instaurassero relazioni personali lesive del diritto alla fedeltà coniugale”.
Tale controllo non solo non è dovuto, secondo la Corte, ma neppure permesso: “L'ingerenza del datore di lavoro nelle scelte di vita personali dei dipendenti integrerebbe di per sè, al contrario, la violazione di altri diritti costituzionalmente protetti, quali il diritto alla privacy nel luogo di lavoro”.
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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione civile, Sez. III, Ordinanza n. 6598 dep. 07/03/2019
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