Trasferimento immobiliare ed oneri condominiali

Trasferimento immobiliare ed oneri condominiali nell'esecuzione forzata, fallimento, custodia dell'immobile e altro.

Trasferimento immobiliare ed oneri condominiali

L’art. 63 Disp. Att. C.C., cosi come modificato dall’art. 18 della legge 11 dicembre 2012, n. 220, dispone al comma 4 che colui che subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente.

Dunque, l’acquirente risulterà essere obbligato in solido con il venditore per le spese condominiali sorte nell’anno precedente e in quello nel corso del quale si è verificato l’atto di trasferimento.

E’ opportuno precisare che il richiamo che la legge fa all’ “anno in corso ed a quello precedente” deve intendersi riferito all’anno di gestione ovvero di esercizio condominiale, non all’anno solare.

Sul punto è intervenuta la Cassazione civile, sez. VI, 22/03/2017, n. 7395: “In tema di ripartizione delle spese condominiali, l’espressione “anno in corso”, di cui al previgente art. 63, comma 2, disp. att. c.c. – ora, in seguito all’approvazione della l. n. 220 del 2012, art. 63, comma 4, disp. att. c.c. - va intesa, alla luce del principio della "dimensione annuale della gestione condominiale", con riferimento al periodo annuale costituito dall’esercizio della gestione condominiale, il quale può anche non coincidere con l’anno solare”.

La norma definisce solidale la obbligazione del pagamento dei contributi condominiali da parte dell’alienante e dell’acquirente.

La solidarietà, come noto, è un istituto giuridico disciplinato dagli artt. 1292 e ss. C.C. e ricorre quando ciascun debitore è tenuto alla medesima prestazione per l’intero, di modo che, l’adempimento da parte di uno solo dei debitori libera gli altri dall’obbligazione.

In particolare, tra le norme che disciplinano la solidarietà delle obbligazioni dal lato passivo vi è anche l’art. 1299 C.C., il quale prevede che il debitore in solido che ha pagato l’intero debito può farsi rimborsare dagli altri debitori quanto da questi dovuto.

Orbene, applicando detta fattispecie al caso de quo, il nuovo acquirente, il quale è tenuto a corrispondere al condominio gli oneri per l’anno in corso al tempo dell’atto di trasferimento e per l’anno precedente, avrebbe diritto di chiedere al venditore il rimborso dei contributi relativi al periodo in cui l’immobile era ancora nel suo possesso.

E’ l’acquirente a dover corrispondere quanto dovuto per l’anno in corso e per quello precedente all’amministratore del condominio.

Infatti, la natura dell’obbligazione di pagamento dei contributi condominiali è catalogata quale obbligazione “propter rem”, in quanto è direttamente legata alla titolarità del diritto reale sull’immobile e, dunque, il condomino non può sottrarsi all’obbligo di tale pagamento.

Conformemente a quanto sostiene la dottrina, “l’obligatio propter rem” è una connessione esistente tra l’obbligazione e una cosa mobile, immobile o una universalità di beni mobili ed, a fronte di ciò, il debitore è sempre colui che vanta, nei confronti di questa, una posizione di diritto reale o di possesso. Se tale titolarità viene meno, anche l’obbligazione di pagamento verrà a mancare.

Tornando al concetto di “obligatio propter rem”, va detto che la Cassazione n. 12841 del 23/07/2012 ha fissato un principio precisando che “l’obbligo di pagamento dei contributi sorge dal rapporto di natura reale che lega l’obbligato alla proprietà dell’immobile, con la conseguente legittimità dell’emissione del provvedimento monitorio nei confronti del nuovo acquirente, divenuto, invece, l’effettivo condomino. Colui che subentra nel condominio può soltanto rivalersi nei confronti del suo dante causa”.

Sempre la Cassazione 18 aprile 2003 n. 6323 ha ancora affermato che “le spese per la conservazione delle parti comuni i condomini sono obbligati in virtù del diritto di comproprietà sulle parti comuni accessori ai piani o alle porzioni di piano in proprietà esclusiva. Pertanto, queste obbligazioni seguono il diritto e si trasferiscono per effetto della sua trasmissione”.

Nel caso di trasferimento dell’immobile, pertanto, avverso l’alienante non può essere emesso alcun decreto ingiuntivo per morosità nel pagamento degli oneri condominiali perché, ormai, “non più condomino” (Cass. n. 23686 del 9 novembre 2009).

Il criterio legittimante tale soluzione lo si ravvisa proprio nella perdita della qualità di condomino e, difatti, l’alienante non è più legittimato a partecipare alle assemblee e, di conseguenza, non è più nella posizione di poter impugnare le delibere condominiali. Dunque l’articolo 63 disp. att. C.C. può, infatti, essere applicato soltanto nei confronti di colui che riveste giuridicamente la qualità di condomino (Cass. n. 23345 del 9 settembre 2008).

Quanto appena detto è applicabile anche nel caso di trasferimento a seguito di asta giudiziaria.

La giurisprudenza è saldamente orientata a ritenere che l’acquisto di un bene da parte dell’aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario ricollegandosi a un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato (Cass. n. 20037 del 22/09/2010).

Peraltro nell’ambito della normativa delle esecuzioni immobiliari non viene espressamente disapplicato il disposto di cui all’art. 63 disp. att. C.C., che è una norma speciale la cui applicazione prevale sulla norma generale.

Nello specifico il decreto di trasferimento dell’immobile acquistato all’asta giudiziaria si limita soltanto a liberare l’immobile da pregressi pignoramenti, ipoteche e privilegi speciali di cui fossero stati titolari i creditori (c.d. effetto “purgativo”), ma non interferisce per nulla con le spese condominiali che, configurandosi come obbligazioni propter rem, afferiscono al bene e seguono il bene nella sua circolazione e gravano sul soggetto in quanto lo stesso si trova in una particolare relazione con il bene de quo.

La vendita all’asta, per la precisa e tassativa espressione dell’art. 586 c.p.c. (cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e le iscrizioni ipotecarie) e per la natura di obligatio propter rem, non libera quindi il nuovo proprietario dal pagamento dei contributi condominiali.

Più precisamente, escludendo l’effetto c.d. “purgativo” della vendita forzata immobiliare, l’acquirente condomino deve pagare le quote condominiali ai sensi dell’art. 63 disp. att. Cc., in quanto gli oneri condominiali continuano a maturare anche in epoca successiva al pignoramento e non possono essere posti a carico del condominio (salvi gli effetti dell’intervento) proprio perché concernono un bene la cui vendita va a vantaggio dei creditori della procedura esecutiva (Trib. Bologna Sentenza n. 1471 del 6 maggio 2000).

E, del resto, non è consentito all’assemblea condominiale, pur deliberando a maggioranza, di ripartire fra i condòmini che sono in regola con i pagamenti, l’anticipazione delle quote per pregresse spese condominiali dovute dai condòmini morosi (Cass. n. 3463 del 21.10.1975, e ancora Cass. n.13631 del 5 novembre 2001).

Ecco perché chi compra all’asta un immobile resta obbligato al pagamento delle quote condominiali pregresse che il precedente proprietario non aveva pagato al condominio.

Appare dunque corretto che l’amministratore per il pagamento delle quote condominiali scadute si rivolga all’aggiudicatario, che dalla data di emissione del decreto di trasferimento dell’immobile è diventato l’unico proprietario.

 

Quali sono le quote condominiali poste, in via solidale con il condomino venditore, a carico dell’acquirente?

La questione è tutt’altro che pacifica e riguarda le ipotesi largamente frequenti in cui, per svariate ragioni, l’amministratore non si sia attivato nei termini per riscuotere le quote condominiali, con la conseguenza che un condomino (moroso) al termine dell’anno di gestione successivo, avrà ancora un saldo pregresso imputabile alla gestione precedente e probabilmente un altro debito per la gestione in corso e così via.

In sostanza nei bilanci che si susseguono l’amministratore riporta in ogni gestione il saldo non corrisposto della gestione precedente.

Innanzitutto vediamo se è possibile che l’amministratore di condominio possa contabilizzare un saldo pregresso a debito del condomino nello stato di riparto dell’ultimo rendiconto condominiale delle spese e quindi prima rata del nuovo preventivo (saldo es. precedente) nonché che valore avrà tale operazione con la successiva delibera di approvazione dell’assemblea condominiale.

Il Codice Civile all’art.1130 C.C. si limita a prescrivere per l’amministratore un semplice obbligo di “rendicontazione” delle spese alla fine dell’anno di gestione, che deve essere sottoposto all’approvazione dell’assemblea condominiale ai sensi dell’art.1135 comma 3, senza specificare, però, nulla sul metodo di rilevazione delle operazioni contabili e tanto meno sul metodo di rendicontazione delle stesse.

La Cassazione, in merito al rendiconto, si è pronunciata nel senso che l’amministratore è legittimato a esigere il pagamento delle quote residue anche al termine della propria gestione annuale e, soprattutto, anche se subentri ad altro amministratore (Cass. n. 10815 del 16 agosto 2000).

Per tali ragioni, se il saldo a debito dell’anno precedente non è stato pagato, l’amministratore di condominio potrà regolarmente inserirlo nel successivo rendiconto delle spese.

Pertanto “il conteggio fra il singolo e l’amministratore, seppure predisposto da quest’ultimo, diviene atto proprio del condominio, una volta approvato dall’assemblea. Ne consegue così che i saldi degli esercizi precedenti rientrino a far parte integrante di quel rendiconto che, se contestato dal singolo condomino, dovrà essere impugnato nei termini di cui all’articolo 1137 C.C.” (Corte d’Appello di Genova 11 maggio 2009 n. 513).

Conseguentemente, in base a tale autorevole giurisprudenza di merito, tali oneri, se regolarmente approvati e ripartiti negli esercizi precedenti, costituiscono una effettiva voce di debito nei confronti del condominio che può essere inserita nel rendiconto annuale ed approvata dalla assemblea. In caso di mancata estinzione, l’amministratore potrà agire in via monitoria.

Pertanto, accertato che il termine prescrizionale delle quote condominiali è quinquennale e che tale termine può essere interrotto sia con la notificazione di un atto giudiziale che da ogni altro atto che valga a costituire in mora il condomino debitore, come ad esempio un mero sollecito di pagamento, ne discende che, quindi, l’inserimento nel rendiconto e nel preventivo spese dei crediti precedenti e la successiva messa in mora per gli importi dovuti rappresentano un mezzo legale di interruzione della prescrizione e che, pertanto, se non prescritti, possono essere validamente richieste al nuovo acquirente dell’immobile.

La possibilità di un riporto del saldo delle gestioni precedenti dovrebbe essere attenuata a seguito della nuova formulazione dell’articolo 1129 comma 9 del Codice Civile, che si occupa, tra l’altro, degli obblighi dell’amministratore di condominio, e prevede che “Salvo che sia stato espressamente dispensato dall’assemblea, l’amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell’articolo 63, primo comma, delle disposizione per l’attuazione del presente codice”.

Ciò non esclude che il debito del singolo condomino continui a sussistere per le lungaggini della eventuale azione giudiziaria o esecutiva intrapresa valendo quanto detto in precedenza anche per tale ipotesi.

Si è detto che quanto esposto si applica sia nel caso di ordinario trasferimento dell’immobile che nel caso di acquisto a mezzo asta giudiziaria assimilando la posizione del mero acquirente a quella dell’acquirente aggiudicatario.

Una serie di problematiche di natura condominiale concernono l’immobile che sia oggetto di espropriazione immobiliare.

 

Oneri condominiali e custode giudiziario.

Nel corso della espropriazione immobiliare il Giudice dell’Esecuzione nomina un custode che normalmente si identifica con il professionista delegato.

Tra la nomina del custode delegato e la vendita con conseguente aggiudicazione dell’immobile trascorre un tempo considerevole durante il quale si presenta la problematica del pagamento degli oneri condominiali.

Talvolta gli amministratori di condominio, avuta notizia della nomina dell’ausiliare, rivolgono direttamente a quest’ultimo la richiesta di pagamento degli oneri condominiali e delle spese di manutenzione ordinaria dell’immobile.

Sul punto, per quanto sia pure stato sostenuto in dottrina che il custode avrebbe il potere di effettuare il pagamento delle spese condominiali e di prevedere interventi di manutenzione ordinaria senza l’autorizzazione del giudice, tuttavia sembra ben più persuasiva la tesi che esclude tale possibilità: ed infatti, posto che titolare degli obblighi condominiali e fiscali rimane sempre il debitore - che non viene affatto spossessato del suo patrimonio in conseguenza del pignoramento, ma ne rimane proprietario fino all’emissione del decreto di trasferimento.

Il consolidato orientamento giurisprudenziale sul punto è che il debitore esecutato, malgrado l’incardinamento dell’esecuzione immobiliare in suo danno, rimane proprietario esclusivo dell’immobile fino all’emissione del decreto di trasferimento (cfr. Cass. civ., sez. VI, 21.03.2013, n°7242, in Foro it. 2013, 5, 1479): ne discende che solo sul medesimo continuano a gravare gli oneri, reali e personali, anche di natura fiscale e condominiale. In buona sostanza, il custode non assume la titolarità dei beni che costituiscono oggetto della custodia, ma si limita alla loro gestione in vista della loro liquidazione per il soddisfacimento delle pretese avanzate dei creditori.

Il custode non è possessore ma semplicemente detentore qualificato dell’immobile incaricato dell’amministrazione del cespite.

La qualificazione del custode come detentore qualificato è stata da ultimo ribadita da Cass. civ., sez. III, 22.06.2016, n°12877, Secondo Corte di Appello di l’Aquila, 5.02.2011, n°988, “il custode giudiziario è un detentore qualificato, in quanto ai sensi degli artt. 65-67 c.p.c. ha l'obbligo di conservare la res affidatagli, usando la diligenza del buon padre di famiglia e rendendo il conto ai sensi dell’art. 560 c.p.c.”. Infine, per Cass. civ., sez. III, 29.04.2015, n°8695, il custode giudiziario ha con il bene pignorato una relazione qualificata derivante dall’investitura del giudice.

D’altronde se il custode provvedesse al versamento delle quote condominiali e delle imposte addirittura attingendo agli introiti della procedura, trasformerebbe un credito di natura chirografaria in prededuzione e/o privilegio rispetto alla distribuzione del ricavato.

 

Spese straordinarie e custode giudiziario.

In passato si riteneva che l’obbligo di anticipare le spese di manutenzione sui beni pignorati gravasse in linea di principio sul creditore procedente e, nell’ipotesi di inerzia di quest’ultimo, sul custode, ovvero ancora si riteneva che all’assunzione da parte del custode - non in proprio, ma quale titolare dell’ufficio che rappresenta - di obbligazioni nei confronti di terzi, fossero suscettibili di essere soddisfatte in prededuzione nell’ambito della procedura esecutiva con il ricavato della vendita degli immobili pignorati o con i relativi frutti.

Con ordinanza 24.10.2014, il Tribunale di Napoli si è discostato dai precedenti orientamenti ed ha affermato che il creditore (ai sensi dell’art.2910 c.c.) ha il diritto di sottoporre ad esecuzione i beni del debitore nello stato in cui si trovano senza essere tenuto a sopportare alcun onere economico per la previa esecuzione di opere finalizzare a salvaguardarne l’integrità o il valore di realizzo; e ciò anche quando il bene, proprio per le condizioni in cui si trova, è fonte di pericolo per la pubblica o privata incolumità.

Tale conclusione viene suffragata dalla considerazione che il pignoramento, pur determinando una limitazione delle facoltà di godimento e dei poteri di disposizione dell'immobile, non fa venir meno il diritto dominicale del proprietario, il quale, pertanto, deve ritenersi unico responsabile, ex art. 2053 C.C., per i danni cagionati a terzi a seguito della rovina del bene.

Secondo il ragionamento seguito dal Tribunale di Napoli, tale responsabilità permane, pur in ipotesi di sostituzione del custode nel corso del processo esecutivo, ex art. 559 c.p.c., almeno con riguardo alla conservazione ed alla manutenzione delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati.

Nella divisata prospettiva interpretativa, «l’attività del custode deve intendersi limitata agli atti di ordinaria amministrazione e di gestione passiva degli immobili staggiti, di cui è tipica manifestazione l’accantonamento di eventuali frutti ai fini del soddisfacimento della pretesa azionata in via esecutiva».

Da quanto esposto discende che «unico obbligato all’esecuzione di lavori di straordinaria manutenzione è il debitore proprietario, alla cui inerzia dovranno sopperire, in caso di pericolo per la pubblica incolumità, i competenti organi amministrativi mediante il procedimento della c.d. “esecuzione in danno”».

Nulla esclude comunque che, previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, il creditore, volendo conseguire il massimo profitto dalla vendita, possa farsi carico spontaneamente delle spese occorrenti per la manutenzione straordinaria dell’immobile.

La tesi elaborata dal Tribunale di Napoli ha trovato conferma anche nella successiva giurisprudenza di merito, all’interno della quale si è affermato che il rifiuto del creditore procedente di anticipare le spese della manutenzione straordinaria non comporta l’improcedibilità del processo esecutivo (Tribunale di Palermo, (decreto) 30 marzo 2015: nel caso di specie il tribunale, decidendo sulla istanza depositata dal custode, ha disposto la cessazione della custodia o ordinato la restituzione dell’immobile alla società debitrice, ritornata così ad essere custode dello stesso).

Cass. civ., sez. III, 22.06.2016, n°12877 ha affermato che «le spese necessarie alla conservazione stessa dell’immobile pignorato e, cioè, le spese indissolubilmente finalizzate al mantenimento in fisica e giuridica esistenza dell’immobile pignorato (con esclusione, quindi, delle spese che non abbiano un’immediata funzione conservativa dell’integrità del bene, quali le spese dirette alla manutenzione ordinaria o straordinaria o gli oneri di gestione condominiale) in quanto strumentali al perseguimento del risultato fisiologico della procedura di espropriazione forzata, essendo intese ad evitarne la chiusura anticipata, sono comprese tra le spese “per gli atti necessari al processo” che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 8, il giudice dell’esecuzione può porre in via di anticipazione a carico del creditore procedente. Tali spese dovranno essere rimborsate come spese privilegiate ex art. 2770 cod. civ. al creditore che le abbia corrisposte in via di anticipazione, ottemperando al provvedimento del giudice dell’esecuzione che ne abbia disposto l’onere a suo carico».

Dal che deriva, anche sotto questo profilo, che in nessun caso il custode giudiziario (a fortiori, nel caso in cui la procedura sia priva di fondi e/o rendite) può dirsi tenuto a provvedere al pagamento delle spese di manutenzione straordinaria, potendo il relativo obbligo (e solo nel caso che si tratti di spese assolutamente necessarie «a preservare l’oggetto del pignoramento, nel senso di non farlo scomparire di fatto dal punto di vista reale e/o economico») essere - al più - posto a carico del creditore procedente.

Nella prospettiva interpretativa delineata dal recentissimo arresto della Suprema Corte rientrano pertanto - tra le spese da anticiparsi dal creditore procedente ex art. 8 d.p.r. n. 115 del 2002 - non solo le spese giudiziarie vere e proprie (ad es. l’acconto del professionista delegato e del custode), ma anche le spese necessarie al mantenimento in esistenza del bene pignorato, come quelle che «attengano alla sua struttura o sono intese ad evitarne il crollo o, in genere il perimento».

Rimangono, per converso, escluse dal novero delle spese “necessarie”, da porsi in via di anticipazione a carico del creditore procedente ai sensi dell’art.8 citato, quelle spese che non abbiano un’immediata funzione conservativa della stessa integrità del bene pignorato e, quindi, le spese dirette alla manutenzione ordinaria o straordinaria dell’immobile, così come gli oneri di gestione condominiale, non essendo neppure postulabile l’applicazione dell’art. 30 della legge 11.12.2012 n°220, dettato espressamente solo per il fallimento (in relazione al quale il Condominio assume la posizione di creditore per le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché per le innovazioni, che sono prededucibili se divenute esigibili ai sensi dell’articolo 63, primo comma, cod. proc. civ. att..

 

Assemblee condominiali e custode giudiziario.

Nel D.M. 15.05.2009 n°80 (recante il “Regolamento in materia di determinazione dei compensi spettanti ai custodi dei beni pignorati”) prevede all’art.3 (compensi per le attività straordinarie di custodia dei beni immobili), comma 2, lettera b), la partecipazione alle assemblee condominiali: tuttavia, siffatta partecipazione, in linea di coerenza con la stessa rubrica della norma richiamata, deve ritenersi, piuttosto che rientrante tra le ordinarie attribuzioni del custode, una attribuzione “straordinaria”.

Il D.M. 15.10.2015 n.227 sui nuovi compensi determinati per i professionisti delegati ha fatto salve le disposizioni del decreto di cui innanzi.

Si è infatti detto che il debitore esecutato perde la proprietà dell’immobile pignorato soltanto al momento dell’emissione del decreto di trasferimento; in tale prospettiva, il custode giudiziario non può dirsi possessore dell’immobile pignorato, essendone soltanto (e nell’ipotesi in sia stato eseguito l’ordine di liberazione) un mero detentore, sia pure qualificato.

Ed allora (e salva restando l’ipotesi in cui la particolare natura dell’immobile pignorato involga per il custode particolari profili di amministrazione attiva), sulla scorta di quanto in precedenza esposto, si può ragionevolmente ritenere che la partecipazione del custode giudiziario alle assemblee condominiali eventualmente convocate sia, in linea di principio, meramente eventuale (soluzione, quella suggerita, in linea di principio conforme anche a quella adottata da alcuni Tribunali (Circolare n.4 del 23.09.2011 del Tribunale di Biella (“Istruzioni generali di custodia degli immobili pignorati”) e sostenuta anche da certa parte della dottrina, la quale pone in buona sostanza l’accento sulla rilevanza degli argomenti posti all’ordine del giorno della convocazione, concludendo che solo nel caso in cui vengano in rilievi questioni direttamente incidenti sulla conservazione dell’integrità fisica e funzionale dell’immobile oggetto di custodia, il custode deve riferire al Giudice dell’Esecuzione, il quale assumerà le determinazioni più opportune.

Resta comunque fermo ed impregiudicato il dovere del custode, nell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza, di richiedere all’amministrazione del condominio l’invio in copia delle convocazioni di assemblea con i relativi allegati e l’indicazione, almeno approssimativa, dell’entità delle eventuali somme impagate a carico dell’immobile oggetto di custodia (da aggiornarsi periodicamente nel corso della procedura), al fine di fornire agli eventuali interessati un quadro quanto più possibile esaustivo dell’unità da subastare.

 

Non prededucibilità del credito per oneri condominiali.

Con ordinanza del 10.02.2014 il Tribunale di Padova ha affrontato la problematica della prededucibilità o meno degli oneri condominiali in seno ad una procedura esecutiva immobiliare intentata da un istituto di credito per un credito garantito da ipoteca.

Il condominio creditore di somme di danaro a titolo di oneri condominiali, nel caso di specie, spiegava intervento in una procedura esecutiva immobiliare chiedendo la soddisfazione della pretesa in prededuzione rispetto ai crediti concorrenti (richiamando i disposti di cui agli artt. 2770, 2777 e 2864 C.C.).

Il Tribunale ha argomentato che il custode giudiziario dei beni pignorati, compresa la quota parte delle parti comuni, non è certo l’amministratore di condominio ma, ex art. 599 c.p.c., il debitore o il soggetto successivamente nominato dal Giudice dell’esecuzione, ai sensi della predetta norma.

Ora, poiché titolare degli obblighi condominiali e fiscali rimane pur sempre il debitore il quale – diversamente che nel caso di fallimento, non viene affatto spossessato del suo patrimonio, né sostituito nella amministrazione di questo nel suo complesso -, il condominio, così come ogni altro creditore, per far valere i crediti via via maturati nei confronti dell’esecutato per mancato pagamento delle spese condominiali, deve necessariamente munirsi di titolo esecutivo e svolgere intervento del processo esecutivo ex art. 499 c.p.c..

Diversamente – continua il Giudice veneto – sarebbe consentito al custode il pagamento delle spese condominiali in corso di procedura e il Condominio verrebbe così a godere di un privilegio o di una pre-deduzione in via di fatto al di fuori ed in contrasto con le ipotesi legislativamente e tassativamente disciplinate.

In sintesi , secondo quanto statuito dal Tribunale di Padova, il Condominio degli edifici laddove creditore nei confronti di un compartecipe per mancato pagamento delle spettanze afferenti la conservazione (ordinaria o straordinaria) delle parti comuni, non gode di alcun diritto in prededuzione. Questi, al fine di far valere il proprio credito, è tenuto, di volta in volta, a munirsi di un titolo esecutivo (decreto ingiuntivo od altro).

In senso contrario al reso assunto, si segnala un altro indirizzo giurisprudenziale.

Secondo tale orientamento, il credito condominiale assolvendo funzione di conservazione delle parti comuni rientrerebe nell’alveo dell’articolo 2864 C.C. (a mente del quale – il terzo ha – “… diritto di far separare dal prezzo di vendita la parte corrispondente ai miglioramenti eseguiti dopo la trascrizione del suo titolo, fino alla concorrenza del valore dei medesimi al tempo della vendita ”).

In quanto tale, esso ha la precedenza rispetto ad altri, nella misura in cui costituisce un insieme di “ oneri sostenuti nell’interesse di tutti i creditori per giungere alla fase liquidativa ” ( tra le tante, Cass. Civ. 8634/2003). La ratio della norma risiede, infatti, nell’intento di evitare un ingiustificato arricchimento del creditore ipotecario che si avvantaggerebbe (alla stregua di un parassita) dell’attività posta in essere dal terzo (Cass. Civ. 7707/2007).

In altri termini, gli oneri condominiali ex art. 63 disp. att. Cc., continuando a maturare anche in epoca successiva al pignoramento, non possono essere posti a carico del condominio (salvi gli effetti dell’intervento) proprio perché concernono un bene la cui vendita va a vantaggio dei creditori della procedura esecutiva (cfr, Tribunale Bologna . Sentenza 6 maggio 2000, n. 1471).

 

Contributi condominiali e soggetto tenuto in caso di trasferimento dell’immobile.

Ci possono essere contributi condominiali posti a carico dell’acquirente di un immobile ma che si riferiscano a spese approvate prima del trasferimento.

Con sentenze numero 9366 del 26 ottobre 1996, numero 10370 del 17 luglio 2002 e numero 22034 del 2 settembre 2008, la Suprema Corte ha stabilito che l’obbligo dei condomini di contribuire al pagamento degli oneri condominiali sorge per effetto della delibera assembleare che li approva; conseguentemente, nell’ipotesi di vendita di una unità immobiliare situata in un condominio, tenuto al pagamento è colui che riveste la qualifica di proprietario quando la spesa venga deliberata. In sostanza, le spese devono rimanere a carico di chi abbia concorso con il proprio voto ad approvarle.

Con decisione numero 24654 del 3 dicembre 2010, la Corte di Cassazione in prima battuta conferma che la giurisprudenza dei giudici di legittimità ha dato risposte contrastanti. Ad avviso del collegio giudicante, la soluzione al quesito di diritto dipende dalla diversa origine della spesa alla quale il condomino deve contribuire. Nel caso di spesa necessaria alla manutenzione ordinaria, alla conservazione, al godimento delle parti comuni dell’edificio o alla prestazioni di servizi nell’interesse comune, è l’acquirente che deve sostenerla. Se, invece, siano stati deliberati lavori di manutenzione straordinaria o di ristrutturazione o innovazioni, in mancanza di accordo tra le parti, tenuto a sopportarne i relativi costi è chi era proprietario al momento della delibera dell’assemblea; conseguentemente qualora tali spese siano state deliberate antecedentemente alla stipulazione dell’atto di trasferimento dell’unità immobiliare, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che tali opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente.

Con la decisione indicata in precedenza, la Suprema Corte ha precisato che l’acquirente ha diritto di rivalersi nei confronti del venditore per quanto pagato al condominio in forza del principio di solidarietà passiva stabilito dall’articolo 63 delle disp. att. del codice civile.

 

 

 

Fallito e contributi condominiali.

Vi è una espressa disposizione che fissa i criteri per la prededucibilità degli oneri condominiali nel caso di fallimento del condomino imprenditore.

L'art. 30, L. n. 220/2012, secondo cui: "1. I contributi per le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria nonche' per le innovazioni sono prededucibili ai sensi dell'articolo 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, se divenute esigibili ai sensi dell'articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, come sostituito dall'articolo 18 della presente legge, durante le procedure concorsuali".

Dal tenore della norma si può evincere una chiara distinzione tra oneri condominiali divenuti esigibili - ai sensi dell'art. 63, co.1, disp. att. e trans. c.c., per via dell'approvazione del rendiconto – prima e quelli divenuti esigibili durante le procedure concorsuali.

I primi rientrano nell'ordinario elenco dei crediti chirografari, salvo che non siano assistiti da privilegio (ad es. perchè è stata a suo tempo iscritta ipoteca giudiziale).

In questi casi, il condominio che, tramite il suo amministratore, presenta apposita istanza di insinuazione al passivo fallimentare, vedrà assegnati in prededuzione i crediti formatisi dopo la dichiarazione di fallimento, a titolo di spese inerenti la gestione dell'immobile nel periodo in cui lo stesso è stato acquisito nella disponibilità della massa fallimentare, e, quindi, ad esclusivo vantaggio di tutti i creditori, mentre le spese relative ai periodi antecedenti la dichiarazione di fallimento saranno ammesse in via chirografaria, non essendo assistite da alcun privilegio.

La garanzia principale per il condominio di recuperare parte delle spese non pagate dal condomino moroso è quella concessa dal secondo comma dell'art. 63 delle disposizioni attuative del codice civile che, mantenendo inalterata dopo la riforma del 2012 la responsabilità solidale tra il vecchio e il nuovo proprietario dispone che: "chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso ed a quello precedente".

In questi casi, il condominio che, tramite il suo amministratore, presenta apposita istanza di insinuazione al passivo fallimentare, vedrà assegnati in prededuzione, i crediti formatisi dopo la dichiarazione di fallimento, a titolo di spese inerenti la gestione dell'immobile nel periodo in cui lo stesso è stato acquisito nella disponibilità della massa fallimentare, e, quindi, ad esclusivo vantaggio di tutti i creditori, mentre le spese relative ai periodi antecedenti la dichiarazione di fallimento saranno ammesse in via chirografaria, non essendo assistite da alcun privilegio.

In linea generale è consigliabile che l'amministratore di condominio chieda sempre al curatore fallimentare il pagamento in prededuzione delle quote condominiali maturate successivamente alla data del fallimento, lasciando allo stesso curatore l'incombenza di un'eventuale rivalsa nei confronti del condomino-fallito, naturalmente ove ne ricorrano i presupposti, nella certezza che il curatore deve corrispondere le spese prededucibili in presenza di fondi disponibili in cassa.

In merito ai crediti condominiali maturati dopo il fallimento bisogna altresì analizzare l'ipotesi particolare in cui il condomino fallito continui ad abitare nella propria abitazione.

La legge fallimentare prevede che la casa di proprietà del condomino fallito, nel caso in cui sia necessaria per la propria abitazione e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino a quando non siano completate tutte le attività.

Pertanto, nel caso in cui il fallito continui a godere dell'appartamento, le spese condominiali ordinarie non potranno gravare sulla massa fallimentare rimanendo l'onere del pagamento delle stesse spese a carico del condomino fallito che, verosimilmente, non corrisponderà niente all'amministratore di condominio, ed in molti casi procederà pure a danneggiare l'immobile prima dell'aggiudicazione all'asta.

Sotto tale profilo “le spese inerenti al godimento di un immobile da parte del fallito, compresi gli oneri relativi alla gestione ordinaria per il periodo successivo al fallimento, non rientrano tra i debiti contratti per l'amministrazione del fallimento, da soddisfarsi in prededuzione, ma rimangono ad esclusivo carico del fallito medesimo sino a quando l'immobile è da lui effettivamente abitato. Viceversa gli oneri relativi alle spese di gestione straordinaria di tale immobile sono a carico della massa e vanno soddisfatti in prededuzione, ai sensi dell'art. 111 legge fallimentare” (Trib. di Nola, sentenza del 27 novembre 2008).

In linea teorica, più che pratica, il condomino fallito dovrebbe essere chiamato a pagare solo le spese per i servizi di cui usufruisce direttamente, mentre le spese straordinarie, che attengono alla conservazione e alla manutenzione dell'immobile, sono invece addebitabili alla massa e vanno soddisfatte in prededuzione, in quanto una migliore conservazione e manutenzione delle parti comuni rende più appetibile la vendita dell'appartamento all'asta a vantaggio del fallimento.

È ovvio che se l'appartamento è vuoto, le spese condominiali sono da considerarsi a carico della massa fallimentare, essendo nel potere della curatela stipulare un contratto di locazione o procedere con la vendita ad un prezzo congruo.

 

Avv. Alessandro Moscatelli

 

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