Risarcimento del danno a favore del padre se la madre gli nasconde il concepimento

Diritto ad essere padre. Può essere riconosciuto un risarcimento a favore del padre nel caso in cui la madre nasconda il concepimento. Cassazione civile Sentenza n. 8459/2020

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Risarcimento del danno a favore del padre se la madre gli nasconde il concepimento

La Corte di Cassazione civile Sez. III, con Sentenza n. 8459 depositata in data 5 maggio 2020 ha esaminato il caso proposto da un padre al fine di ottenere il risarcimento del danno subito per non aver potuto godere della paternità, dello status di padre, durante i molti anni nei quali la madre gli aveva nascosto il concepimento.

Va subito menzionato che la domanda non viene accolta dalle corti di merito e neppure il ricorso per cassazione promosso dal predetto padre viene accolto, sulla base, tuttavia, di considerazioni tipiche nel caso concreto esaminato dalle corti.

La motivazione del rigetto, infatti, risiede nel fatto che questo padre non avrebbe mai manifestato grande apprensione nella mancanza di riconoscimento della sua paternità tanto da opporsi (“ostinatamente”) alle prova della paternità.

Ciò che è interessante, tuttavia, è quanto espresso dalla Corte di Cassazione in via astratta per casi similari.

La domanda di risarcimento danni veniva formulata quale illecito aquiliano, ex art. 2043 c.c.

 

Obbligo della madre di avvisare il padre?

Non esiste una specifica norma che impone alla madre di avvertire il padre inconsapevole (ad esempio perché frutto di un rapporto occasionale) della futura nascita o della nascita stessa.

Nel caso in esame, del resto trattandosi di rapporto occasionale, non vengono in questione i doveri tra coniugi, che trovano giuridica definizione nell'art. 143 c.c., comma 2, o tra conviventi "more uxorio".

Tanto che la Corte afferma: “nel caso sottoposto all'esame del Collegio la condotta omissiva informativa della donna gravida, non si inscrive, infatti, nella violazione di obblighi derivanti da un rapporto giuridico precostituito tra le parti”, né si discute dell’eventuale danno del minore per la mancanza della figura paterna (c.d. "diritto alla bigenitorialità" ).

La Corte neppure ritiene invocabile l'art. 7 paragr. 1 della Convenzione internazionale sui diritti della Infanzia approvata a New York il 20 novembre 1989, ratificata dall'Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176 ("Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi.") essendo norma a difesa degli interessi del minore.

 

Il diritto del padre ad essere avvisato della paternità

La S.C. nega la validità del richiamo agli artt. 250 e 254 c.c. al fine di fondare un diritto di riconoscimento del figlio naturale da porsi in capo al genitore.

La Corte conferma propri precedenti secondo i quali la violazione degli articoli del c.c. sopra accennati possa ben dare luogo ad una autonoma fattispecie di illecito civile ma azionabili in via risarcitoria dal figlio o dal suo rappresentante durante la minore età.

 

Tali chiarimenti, tuttavia, non significano che vada negato del tutto il diritto del padre al riconoscimento del proprio status, anzi.

Secondo la Corte di Cassazione sussiste un “diritto alla identità personale”, ancorato all'art. 2 Cost. ed all'art. 30 Cost., comma 4. Tale interesse di rango costituzionale impone l'obbligo di garantire “… l'esplicazione della personalità dell'essere umano, nelle formazioni sociali in cui opera, anche attraverso la filiazione, sia sotto il profilo della trasmissione del proprio patrimonio genetico, sia sotto l'aspetto maggiormente qualificante più propriamente relazionale”.

 

Ecco allora che, afferma la S.C.,

la omessa informazione dell'avvenuto concepimento, da parte della donna, consapevole della paternità, pure in assenza di una specifica prescrizione normativa impositiva di tale obbligo di condotta ... può allora tradursi in una condotta "non jure" … in quanto in astratto suscettibile di determinare un pregiudizio all'interesse del padre naturale ad affermare la propria identità genitoriale, qualificabile come "danno ingiusto", e che viene ad integrare, nel ricorso dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa, la fattispecie della responsabilità civile di cui all'art. 2043 c.c..

Trattandosi di illecito aquiliano dovranno esaminarsi tutte le componenti essenziali dell’istituto (il danno, l'ingiusta lesione di interessi meritevoli di tutela, l'evento, il nesso causale, l’elemento soggettivo).

Le prove, pertanto, dovranno essere ben costruite e riguardare ognuno dei su indicati elementi, cosa sulla quale, nel caso di specie, si è sorvolato, ritenendo l'attore integrata la fattispecie del danno extracontrattuale per il solo fatto si fosse celata (o meglio non rivelata) la paternità.

 

Lesione di un interesse di rilievo costituzionale

Trattandosi di interesse costituzionalmente garantito (abbiamo visto il richiamo agli articoli 2 e 30 della Costituzione italiana) la Corte di Cassazione opera un ulteriore distinguo, ricordando ulteriori elementi che devono essere presi in considerazione al fine di poterne derivare un danno ingiusto risarcibile ex art. 2043 c.c.

Secondo la Corte, infatti, “la mera allegazione della violazione di un interesse di rilievo costituzionale non si traduce per ciò solo nel diritto al risarcimento del danno non patrimoniale”.

 

E continua: “il danno non patrimoniale è risarcibile soltanto alla compresenza di tre condizioni:

  • (a) che l'interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell'art. 2059 c.c., giacchè qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile);
  • (b) che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza);
  • (c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità.

 

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Di seguito il testo di

Corte di Cassazione civile Sez. III, Sentenza n. 8459 del 05/05/2020

 

Fatti di causa

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