Recesso del coniuge dall’azienda gestita con l’altro coniuge. Proprietà, liquidazione
Il recesso del coniuge dalla società gestita con l'altro coniuge in comunione dei beni e la proprietà dei beni dell'azienda. Cassazione civile, Ordinanza n. 8222/2020

Il fatto.
Coniugi, in regime patrimoniale della comunione legale dei beni, avevano esercitato assieme un’attività imprenditoriale. Attività iniziata dopo il matrimonio ed esercitata nell’ambito della società che chiameremo Alpha snc di cui i due coniugi erano soci.
Creatosi attrito fra i due, la moglie inviava lettera di recesso dalla società.
Chiedeva poi, giudizialmente, l’accertamento della sua proprietà sul 50% dei beni della società in quanto ricaduti in comunione legale dei coniugi.
Ai sensi dell’art. 177 co. 1 lettera d) ricadono nella comunione dei beni “le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio”.
La corte del merito accoglieva la domanda.
Il caso viene sottoposto all’esame della Corte di Cassazione la quale decide con Ordinanza n. 8222 depositata in data 27 Aprile 2020.
Società fra coniugi e proprietà dei beni aziendali
La domanda svolta dalla moglie, socio receduto dalla società in nome collettivo gestita assieme al marito, riguardava precisamente la richiesta di riconoscimento del 50% della proprietà dei beni (mobili ed immobili) della società in capo al coniuge.
Domanda che esula completamente dalla logica del diritto societario. La società costituisce un organismo a se stante ed il recesso del socio darà diritto alla liquidazione della quota societaria. E queste quote possono non corrispondere sempre al 50% per ciascuno dei soci.
L’ articolo 177 c.c. non dispone un diritto di proprietà sui beni aziendali ma sull’azienda.
E’ altrettanto principio comune, del resto, che nel diritto civile il termine “azienda” fa riferimento ad un complesso di beni.
L’art. 2555 del c.c. recita : “L'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa”, dove per beni si intende ogni bene, non solo fisico, materiale, ivi compresi i marchi e brevetti, l’avviamento (quest’ultimo riconosciuto sovente anche dalla giurisprudenza come bene immateriale).
Il concetto stesso di azienda, del resto, è oggetto di dibattito nel mondo dottrinale e nota è la divisione fra il concetto atomistico e quello universalistico, della stessa. Secondo il concetto atomistico, l’azienda è un insieme di beni la cui valutazione può essere separata, mentre secondo il principio universalistico al termine azienda corrisponde una universalità di beni, tutti i beni dell’impresa (i termini “impresa” e “azienda” sono sinonimi nel linguaggio comune ma non nel diritto). I due concetti di azienda hanno risvolti sostanzialmente fiscali.
Come è chiaro da questi brevissimi appunti, la questione non è semplice né la soluzione scontata.
Azienda, società, proprietà e cogestione fra coniugi
La Suprema Corte risolve la questione specificando che la previsione dell'art. 177 lett d) c.c. è solamente uno dei modi di collaborare fra coniugi ad un'impresa commerciale.
Secondo la Corte di Cassazione l’art. 177 co. 1 lett. d) non comprende ogni forma di collaborazione imprenditoriale fra coniugi.
Aggiunge che “i regimi dello svolgimento di attività d'impresa nell'ambito della famiglia possono assumere qualificazioni giuridiche diverse, da cui deriva una differente disciplina regolatrice dei rispettivi rapporti”.
E la stessa Corte passa ad elencarli.
1) l'azienda coniugale ex art. 177, comma 1, lett. d),
2) l'azienda appartenente ad un solo coniugi con mera comunione degli utili e degli incrementi ex art. 177, comma 2,
3) l'impresa gestita individualmente da uno dei coniugi ex art. 178,
4) l'impresa familiare ex art. 230-bis e -ter,
5) la società di persone di cui agli artt. 2251 ss.,
6) le società di capitali,
7) il cd. patto di famiglia ex art. 768-bis.
Se costituita una società i beni aziendali sono di proprietà di quest’ultima
Una società possiede una sua specifica disciplina così come regolata dall’atto costitutivo e dallo statuto e, come si accennava, le quote di proprietà nonché l’apporto dei soci (in questo caso coniugi) possono essere diverse.
Ricorda la Corte che “l'esistenza di un atto costitutivo vale proprio a segnalare che non di mera gestione di azienda coniugale in comunione si tratta, ma di titolarità dell'azienda in capo all'ente collettivo”.
Ente collettivo che è dotato di propria personalità e che pertanto gode di diritti, come quello di proprietà (“ove tra i soci sussista un regime societario, i beni conferiti in società appartengono al patrimonio di questa, e non dei singoli soci, essendo anche le società personali dotate di soggettività di diritto”).
Il coniuge che recede dalla società con l’altro coniuge ha diritto alla liquidazione della quota
A questo punto la Corte non poteva che limitarsi all'esame del caso di specie, vale a dire quello della costituzione di una società di persone fra coniugi.
Seguendo le norme del diritto societario, al socio che recede (ricordiamo che lo stesso recesso non è cosa facile da ottenere nell’ambito societario qualora la durata della società sia predeterminata – vedi art. 2285 c.c.) compete unicamente il diritto alla liquidazione del valore della propria quota, secondo le valutazioni dell’azienda che i soci faranno di comune accordo o delegando l’incombente a terzi solitamente come statuto o, infine, nel giudizio che ne potrebbe scaturire.
Secondo la S.C. la comunicazione di recesso vale quale implicita domanda di liquidazione della propria quota.
Giudizialmente parlando, la Corte specifica che “la domanda di liquidazione della quota di una società di persone da parte del socio receduto o escluso si fa valere un'obbligazione della società, non in via diretta degli altri soci”.
Conclude, infine la Corte di Cassazione enunciando i seguenti principi di diritto:
«Tra i coniugi in comunione dei beni può essere costituita una società di persone, al cui patrimonio appartengono i beni conferiti in società, essendo anche le società personali dotate di soggettività giuridica.
Il recesso di un socio comporta l'obbligo della liquidazione, a carico della società, della quota di questi, il cui valore va determinato ai sensi dell'art. 2289 c.c., tenuto conto del valore patrimoniale della quota al momento dello scioglimento del rapporto sociale;
La domanda di accertamento della comproprietà dei beni sociali in capo al socio receduto può essere interpretata dal giudice del merito, ove ne sussistano i presupposti, come domanda di liquidazione della quota sociale.
Nel giudizio volto alla liquidazione di quota sociale in favore del socio uscente è legittimata passiva la società, ma l'unico socio superstite può essere convenuto in giudizio sia in nome di questa, sia in proprio, al fine di farne valere la responsabilità per le obbligazioni sociali quale socio illimitatamente responsabile».
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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione civile, Ordinanza n. 8222 dep. 27/04/2020,
FATTI DI CAUSA
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