Anatocismo: intervento della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale dichiara incostituzionale la norma salva banche, sentenza n.78, del 5 aprile 2012,

di Frascella Paolo |
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Breve cronistoria dellÂ’anatocismo bancario Italiano.


La Corte Costituzionale, Presidente Dott. Quaranta, Relatore Dott. Criscuolo, con la sentenza n.78, del 5 aprile 2012, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.2, comma 61, del decreto-legge del 29 dicembre 2010, n.225, il cosiddetto Decreto Milleproroghe, convertito, con modificazioni, dalla legge del 26 febbraio 2011, n.10, il quale stabiliva che “In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente lÂ’art.2935 C.c. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dallÂ’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dellÂ’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

Prima di esaminare il contenuto della sentenza pronunciata dalla Corte, tuttavia, meritano di essere svolti alcuni brevi cenni sugli orientamenti giurisprudenziali e glÂ’interventi legislativi, che hanno interessato la materia in questi ultimi decenni.

Il termine anatocismo, indica la trasformazione deglÂ’interessi scaduti, in capitale, sul quale vengono nuovamente calcolati glÂ’interessi da parte del creditore, determinando, in tutta evidenza, una lievitazione consistente dellÂ’ammontare del debito.

LÂ’anatocismo, nel Codice Civile Italiano, è chiaramente disciplinato dallÂ’art.1283 C.c., il quale stabilisce che “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”. La norma, quindi, afferma in modo inequivocabile il divieto di capitalizzazione deglÂ’interessi ad eccezione dei casi in cui ciò sia espressamente previsto da usi contrari.

A partire dal 1952 lÂ’Associazione Bancaria Italiana, ha previsto la capitalizzazione trimestrale deglÂ’interessi passivi nei rapporti debitori della clientela, mantenendo la capitalizzazione annuale per glÂ’interessi attivi. Gli istituti di credito, a decorrere da tale periodo, hanno adottato tali criteri nella regolazione dei rapporti dare-avere con la propria clientela, ottenendo cospicui vantaggi economici, visto lÂ’evidente squilibrio delle posizioni.

La Cassazione, negli anni ottanta, ha generalmente riconosciuto la legittimità dellÂ’anatocismo nei contratti bancari, affermando che “nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti, in tutte le operazioni di dare ed avere l'anatocismo trova generale applicazione; si è, pertanto, in presenza di un uso normativo, richiamato dall'art.1283 C.c. e come tale legittimo' (Cass. civ., 15.12.1981, n.6631; Cass. civ., Sez. I, 05.06.1987, n.4920; Cass. civ., Sez. I, 30/05/1989, n. 2644).

AllÂ’inizio degli anni novanta, il legislatore introduceva il divieto di rinvio agli usi, nella determinazione del saggio dÂ’interesse nei contratti bancari, nellÂ’art.4 della legge n.154, del 17.02.1992, poi, sostituito dallÂ’art.117 del Testo Unico Bancario (L. n.385 del 01.09.1993).

Sempre negli anni novanta, il Supremo Collegio ha modifica radicalmente il proprio orientamento, affermando che “la clausola di un contratto bancario che, in difformità dalla disciplina legale di cui all'art. 1283 c.c., prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente è nulla, anche se fa riferimento alle c.d. norme bancarie uniformi predisposte dall'ABI, dal momento che queste ultime costituiscono usi negoziali e non usi normativi' (Cass. civ., Sez. I, 11.11.1999, n.12507), tanto più, nel caso di contratti stipulati dopo l'entrata in vigore della disposizione di cui all'art.4 della legge 17 febbraio 1992, n.154, che vieta le clausole contrattuali di rinvio agli usi (Cass. civ., Sez. I, 16/03/1999, n.2374).

Tale orientamento rimarrà costante negli anni successivi e la Corte confermerà più volte, anche a Sezioni Unite, che le norme bancarie uniformi predisposte dall'ABI, costituiscono usi negoziali, non normativi, e, come tali, non possono contrastare con quanto stabilito dallÂ’art.1283 C.c., ribadendo, così, lÂ’illegittimità della capitalizzazione trimestrale deglÂ’interessi passivi (Cass. civ., Sez. I, 28/03/2002, n. 4498; Cass. civ., Sez. I, 20/08/2003, n. 12222; Cass. civ., Sez. Unite, 04.11.2004, n. 21095; Cass. civ., Sez. Unite, 02/12/2010, n. 24418).

Nel frattempo, il legislatore, nellÂ’art.25 del D.l.vo n.342, del 04.08.1999, che modificava lÂ’art.120 del T.U.B., attribuiva al CICR (Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio) il potere di stabilire le modalità ed i criteri per la produzione dÂ’interessi sugli interessi, nelle operazioni bancarie, prevedendo, in ogni caso, che, nelle operazioni in conto corrente, dovesse essere assicurata nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori, che creditori.
Il CICR darà attuazione a tale disposizione legislativa con delibera del 09.02.2000 e la norma passerà indenne il vaglio della Corte Costituzionale, la quale affermerà che, alla luce della disciplina della legge delega, era in facoltà dell'esecutivo sia introdurre una deroga alla disciplina civilistica dell'anatocismo, quanto attribuire potestà regolamentari al Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (Corte Cost., 12/10/2007, n.341).

LÂ’art.25 del decreto legislativo n.342, stabiliva, inoltre, che le clausole relative alla produzione dÂ’interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera emanata dal CIRC, erano valide ed efficaci fino a tale data e che, successivamente, avrebbero dovuto essere adeguate al disposto della menzionata delibera.
Tale disposizione legislativa, tuttavia, sarà dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte Costituzionale, dopo poco più di un anno dalla sua entrata in vigore, per contrasto con gli art. 3, 24, 76, 77, 101, 102, 104 Cost. (Corte Cost., Ord. n.425 del 17.10.2000).

Sancita definitivamente lÂ’illegittimità dellÂ’anatocismo sui contratti bancari, la problematica si è spostata sulla decorrenza del termine di prescrizione, per la ripetizione delle somme illegittimamente addebitate dalla banca e/o versate dal cliente a fronte della capitalizzazione trimestrale deglÂ’interessi passivi.

La giurisprudenza, sullÂ’argomento, ha consolidato un orientamento, assolutamente prevalente, affermato che il termine di prescrizione decennale, per la ripetizione da parte del correntista delle somme indebitamente trattenute dalla banca, decorreva dalla data dell'ultimo pagamento, trattandosi di atti esecutivi di un unitario rapporto giuridico (Cass. civ., Sez. I, 14/05/2005, n.10127), poi, definitivamente confermato dalle Sezioni Unite del Supremo Collegio (Cass. civ., Sez. Unite, 02/12/2010, n.24418), il quale ha affermato che lÂ’azione di ripetizione dÂ’indebito, relativa alla nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici, maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.

Con un tempismo sorprendente, quindi, il legislatore varerà il decreto-legge n.225, del 29 dicembre 2010, nel quale, allÂ’art.2, comma 61, si stabiliva che “In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente lÂ’art.2935 C.c. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dallÂ’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dellÂ’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione dÂ’importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
La norma, poi, convertita con modificazioni, dalla legge n.10, del 26 febbraio 2011, è stata immediatamente oggetto di numerosi giudizi di legittimità costituzionale, promossi dai Tribunali di Brindisi, sez. dist. Ostuni, di Benevento, di Lecce, sez. dist. Maglie, di Potenza, di Catania, di Nicosia e di Venezia, in riferimento agli artt.3, 23, 24, 41, 47, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, della Costituzione.