Brevi note in tema di responsabilità medica
Brevi note in tema di responsabilità medica alla luce degli orientamenti giurisprudenziali più recenti. Un lavoro di Barbara Dalle Pezze
Il Profilo Soggettivo (Colpa, Imperizia, Negligenza)
L’art. 1176, comma 2 c.c., dispone che “Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata”.
La dottrina ha precisato che la diligenza si specifica nei profili della cura, della cautela, della perizia e della legalità. Mentre la perizia, in particolare, si sostanzia nell'impiego delle abilità e delle appropriate nozioni tecniche peculiari dell'attività esercitata, con l'uso degli strumenti normalmente adeguati; ossia con l'uso degli strumenti comunemente impiegati, in relazione all'assunta obbligazione, nel tipo di attività professionale o imprenditoriale in cui rientra la prestazione dovuta.
Riguardo alla responsabilità medica, la Suprema Corte, con orientamento consolidato e pacifico, ha definito, in linea generale che, in base al combinato disposto di cui all'art. 1176 c.c., comma 2, e art. 2236 c.c. la diligenza richiesta è, non quella ordinaria, del buon padre di famiglia, bensì quella ordinaria del buon professionista (cd. diligenza qualificata), e cioè la diligenza normalmente adeguata in ragione del tipo di attività e alle relative modalità di esecuzione. Essa (si tratti di professionista o imprenditore) si estrinseca nell'adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura dell'attività esercitata, volto all'adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell'interesse creditorio, nonché ad evitare possibili eventi dannosi (in ordine all'applicabilità della regola anche in tema di responsabilità extracontrattuale Cass.1990/2428). Infatti lo specifico settore di competenza in cui rientra l'attività esercitata, richiede la specifica conoscenza ed applicazione delle cognizioni tecniche che sono tipiche dell'attività necessaria per l'esecuzione dell'attività professionale (cfr. Cass. 8826/2007).
Al riguardo si è ulteriormente precisato che se è vero che il criterio della normalità va valutato con riferimento alla diligenza media richiesta, ai sensi dell'art. 1176 c.c., comma 2, lo specifico richiamo normativo alla “natura dell'attività esercitata” impone che tale “normalità” sia valutata, e conseguentemente parametrata, in relazione ad una pluralità di fattori, da esaminarsi alla luce delle concrete circostanze del caso.
In particolare la Suprema Corte ha ritenuto che la condotta del medico specialista (a fortiori se tra i migliori del settore), anche alla luce dell’affidamento che la qualifica di “specialista” ingenera nel paziente, deve essere vagliata con maggior rigore ai fini della responsabilità professionale, dovendosi aver riguardo alla peculiare specializzazione ed alla necessità di adeguare la condotta alla natura e al livello di pericolosità della prestazione, implicante scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale (cfr., con riferimento al medico sportivo, Cass.2003/85).
Secondo i Giudici di legittimità (cfr. Cass. 8826/2007 citata, Cass. 17143/2012), dunque, a diversi gradi di specializzazione corrispondono infatti diversi gradi di perizia.
Può allora distinguersi tra una diligenza professionale generica e una diligenza professionale variamente qualificata. La prima, essendo comunque il debitore tenuto ad una normale perizia, consiste in una diligenza che definiremo “standard”, commisurata al modello del buon professionista, secondo una misura obiettiva che prescinde dalle concrete capacità del soggetto. Mentre una diversa misura di perizia è dovuta in relazione alla qualifica professionale del debitore, in relazione ai diversi gradi di specializzazione propri dello specifico settore professionale. Chi assume un'obbligazione nella qualità di specialista, o una obbligazione che presuppone una tale qualità, è tenuto alla perizia che è normale della categoria, e lo sforzo tecnico richiesto (ai fini una valutazione circa la diligenza, e quindi l’adempimento, del debitore) implica anche l'uso degli strumenti materiali normalmente adeguati, ossia l'uso degli strumenti comunemente impiegati nel tipo di attività professionale in cui rientra la prestazione dovuta.
Con specifico riferimento all'attività ed alla responsabilità del medico cd. "strutturato" si è in giurisprudenza di legittimità affermato che il medico e l'ente sanitario sono contrattualmente impegnati al risultato dovuto (v. Cass.2004/9471), quello cioè conseguibile secondo criteri di normalità, da apprezzarsi in relazione alle condizioni del paziente, alla abilità tecnica del primo e alla capacità tecnico-organizzativa del secondo.
Normalità che risponde dunque ad un giudizio relazionale di valore, in ragione delle circostanze del caso, in quanto la difficoltà dell'intervento e la diligenza del professionista vanno valutate in concreto, rapportandole al livello di specializzazione del professionista e alle strutture tecniche a sua disposizione (oltre che anche ad altri fattori, quali il tipo di patologia, le condizioni generali del paziente, l'attuale stato della tecnica e delle conoscenze scientifiche, l'organizzazione dei mezzi adeguati per il raggiungimento degli obiettivi in condizioni di normalità, ecc..).
La misura della diligenza richiesta nelle obbligazioni professionali va quindi concretamente accertata sotto il profilo della responsabilità.
Dal punto di vista della responsabilità medica, si è visto che, definita la natura contrattuale della stessa, la giurisprudenza dominante ne ha ricavato i conseguenti corollari sotto il profilo probatorio, enunciando il principio secondo cui, in base alla regola di cui all'art. 1218 c.c. il paziente- creditore ha il mero onere di allegare il contratto ed il relativo inadempimento o inesatto adempimento, non essendo tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria e la relativa gravità (ex multis, Cass. S.U. 577/2008, Cass. 8826/2007, Cass. 17143/2012). La Suprema Corte è peraltro pervenuta ad affermare che la distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà non può valere come criterio di distribuzione dell'onere della prova, bensì solamente ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa riferibile al sanitario.
All'art.2236 c.c. non va, dunque, assegnata rilevanza alcuna ai fini della ripartizione dell'onere probatorio, giacchè incombe in ogni caso al medico dare la prova della particolare difficoltà della prestazione, laddove la norma in questione implica solamente una valutazione della colpa del professionista, in relazione alle circostanze del caso concreto (Cass., 28/5/2004/10297).
Va quindi conseguentemente affermato che in ogni caso di "insuccesso" incombe al medico dare la prova della particolare difficoltà della prestazione (cfr. Cass. 8826/2007).
Le obbligazioni professionali sono dunque caratterizzate dalla prestazione di attività particolarmente qualificata da parte di soggetto dotato di specifica abilità tecnica, in cui il paziente fa affidamento nel decidere di sottoporsi all'intervento chirurgico (che lo espone in ogni caso ad un più o meno alto grado di rischio per la propria incolumità, quando non addirittura sopravvivenza), al fine del raggiungimento del risultato perseguito o sperato. Affidamento tanto più accentuato, in vista dell'esito positivo nel caso concreto conseguibile, quanto maggiore è la specializzazione del professionista, e la preparazione organizzativa e tecnica della struttura sanitaria presso la quale l'attività medica viene dal primo espletata. E con tale ultimo argomento, il Giudice di Legittimità ha escluso che possa farsi discendere una limitazione della diligenza richiesta (e quindi della responsabilità) dalla qualificazione dell'obbligazione in termini di "obbligazione di mezzi" (cfr. Cass. 8826/2007, Cass. S.U. 577/2008).