Brevi note in tema di responsabilità medica
Brevi note in tema di responsabilità medica alla luce degli orientamenti giurisprudenziali più recenti. Un lavoro di Barbara Dalle Pezze
Il Nesso Causale (e la c.d. Causa Ignota)
Nei giudizi sulla responsabilità civile viene in rilievo la questione del nesso causale, tenendo conto che, in sede civilistica, ciò che si imputa è un danno (e non un fatto, in quanto tale, come invece avviene nell’accertamento della responsabilità penale).
Gli elementi costitutivi della responsabilità civile, desumibili dall’ordinamento giuridico, sono la condotta illecita, il fatto lesivo della situazione giuridica protetta ed un danno.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza consolidate in materia (cfr. Cass. Civ. S.U. 576/2008), ai fini dell’accertamento della sussistenza e della misura dell’obbligo risarcitorio occorre accertare un duplice nesso causale: quello tra la condotta illecita e la concreta lesione dell’interesse (c.d. causalità materiale), e quello tra quest’ultima ed i danni che ne sono derivati (c.d. causalità giuridica).
Affinchè vi sia diritto al risarcimento occorre che risultino sussistenti i tre elementi costitutivi (condotta, lesione e danno), e che vengano accertati i nessi causali di collegamento (causalità materiale tra la condotta e l’evento, causalità giuridica tra l’evento ed il danno).
Nel caso di responsabilità medica, in particolare, sarà dunque necessario verificare se dalla azione od omissione del medico sia derivata una lesione all’integrità psicofisica, e, successivamente procedere ad una qualificazione e quantificazione delle conseguenze dannose (danno biologico, danno morale, danno esistenziale, spese sostenute, etc.).
Secondo il giudice di legittimità, l’accertamento del nesso di causalità materiale (deve essere compiuto alla luce dei princìpi di cui agli artt. 40 e 41 c.p. mentre il nesso di causalità giuridica va accertato in base al principio posto dall’art. 1223 c.c. (richiamato dall'art. 2056 c.c.), per il quale il risarcimento deve comprendere le perdite "che siano conseguenza immediata e diretta" del fatto lesivo (invero la norma piuttosto che al nesso causale attiene alla determinazione del quantum del risarcimento, selezionando le conseguenze dannose risarcibili)
In particolare, ai fini della causalità materiale nell'ambito della responsabilità aquiliana, la giurisprudenza e la dottrina prevalenti, in applicazione dei principi penalistici, di cui agli artt. 40 e 41 c.p., ritengono che un evento debba considerarsi causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non), e se non sia sopravvenuto, nella concatenazione causale, un altro fatto di per sè idoneo a determinare l’evento (cd. principio della causalità efficiente, art. 41, comma 2, c.p.).
Pertanto, secondo la teoria della “regolarità causale” ciascuno è responsabile soltanto delle conseguenze della sua condotta, attiva o omissiva, che appaiono sufficientemente prevedibili al momento nel quale ha agito, escludendosi in tal modo la responsabilità per tutte le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili.
La Suprema Corte, nella menzionata sentenza (S.U. 576/2008), ha precisato che i principi generali disciplinanti la causalità di fatto sono anche in materia civile quelli delineati dagli artt. 40 e 41 c.p., e dalla "regolarità causale" (data l’assenza di altre norme nell'ordinamento in tema di nesso eziologico ed integrando essi principi di tipo logico e conformi a massime di esperienza), affronta la questione della ricostruzione del nesso eziologico nell’accertamento civile, chiarendo che il quid distintivo, rispetto al giudizio penale, deve essere ravvisato nella regola probatoria. Infatti, mentre nel secondo vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", nel giudizio civile vige la regola della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non", stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l'equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti (e rileva il Giudice di Legittimità come anche la la Corte di Giustizia CE sia indirizzata ad accettare che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico, cfr. CGCE, 13/07/2006, n. 295).
Detto standard di "certezza probabilistica" in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa - statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana). Nello schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l'attendibilità dell'ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma (c.d. evidence and inference nei sistemi anglosassoni).
Pertanto, al fine di accertare il nesso eziologico tra la condotta e l’evento, deve farsi riferimento alla teoria dell’equivalenza causale temperata, secondo cui potrà essere considerato causa quell’antecedente storico idoneo, secondo in criterio di probabilità scientifica, a cagionare un determinato evento, con la precisazione che il nesso causale deve accertato “valutando tutti gli elementi della fattispecie, al fine di stabilire se il fatto era obiettivamente e concretamente (cioè con riferimento a quel singolo caso contingente) idoneo a produrre l’evento” (cfr. Cass. 23059/2009).
Non è necessaria una certezza scientifica, essendo sufficiente l’accertamento di un “un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica”, purché sorretto da ulteriori elementi, idonei ad avvalorare giuridicamente le conclusioni svolte in termini probabilistici (cfr. Cass.
14759/2007).
Tali principi vengono pacificamente applicati anche alla cd. causalità omissiva (accertabile solo attraverso un giudizio ipotetico, teso a stabilire se ponendo in essere la condotta richiesta si sarebbero impediti il fatto lesivo ed il conseguente danno), in relazione alla quale la Cassazione ha chiarito che, nel giudizio civile, il nesso causale tra omissione ed evento non esige la certezza assoluta che con la condotta il danno sarebbe accaduto, ma semplicemente la ragionevole probabilità di ciò (Cass. 10741/2009, e cfr. anche Dr. Marco Rossetti, Quaderni del Massimario, Responsabilità sanitaria e tutela della salute, www.cortedicassazione.it).
Nel caso di concorso tra cause umane e naturali (es. le pregresse condizioni del paziente), la Suprema Corte (sent. 15991/2011) ha affermato che qualora le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile dell'uomo non possano dar luogo, senza l'apporto umano, all'evento di danno, l'autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso. Infatti, secondo il Giudice di legittimità, non essendo ammissibile un frazionamento del nesso causale, che o c’è o non c’è, le pregresse condizioni del paziente potranno giustificare solo eventuale diminuzione del risarcimento del danno ex art. 1226 c.c. (cfr. Dr. Marco Rossetti, Quaderni del Massimario, Responsabilità sanitaria e tutela della salute, www.cortedicassazione.it).
La causalità presunta e la cd. Causa Ignota
Vengono, infine, in rilievo le ipotesi nelle quali non sia possibile accertare il nesso di causalità giuridica. In tali casi si parla, comunemente, di cd. causa ignota.
La giurisprudenza, anche di merito, ha sempre dimostrato ovvio disagio in tali evenienze,giungendo a sentenze non sempre conformi. L’orientamento dominante, tuttavia, pone il rischio della cd. causa ignota in capo al creditore (medico-struttura sanitaria),
argomentando che, data la natura contrattuale della stessa, l'onere probatorio gravante sul presunto medico responsabile non è dato semplicemente dalla prova della mancanza di colpa, ovvero dalla diligenza nell'espletamento dell'operazione, ma, ex art. 1218 c.c., il medico o l'ente chiamato a rispondere dovrà provare l'impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile, ossia il c.d. caso fortuito in senso lato, in difetto rimanendo a suo carico la causa rimasta ignota (v. Trib. Monza, 15 marzo 2006, Tribunale Varese sentenza n.
16/2010).
Hanno ritenuto i giudici di merito che “l'inquadramento in termini contrattuali della responsabilità sanitaria comporta che, una volta che siano provati dal paziente il rapporto col sanitario e l'entità del danno sofferto e sia stato allegato un inadempimento idoneo a costituire causa del danno, compete al medico e/o alla struttura convenuti l'onere di fornire la prova liberatoria (ex art. 1218 c.c.), con la conseguenza che la mancanza o l'insufficienza della prova della irrilevanza causale e dell'impossibilità di evitare l'evento pregiudizievole, pur osservando le necessarie norme di cautela, si traduce in un difetto di prova liberatoria” (Tribunale Arezzo 10/02/2010), e pertanto nelle
ipotesi in cui non è possibile individuare con certezza la causa, equivalendo la causa dubbia alla causa ignota, la responsabilità deve farsi ricadere sul medico che non ha adempiuto ai propri oneri probatori in ordine alla sua adeguata diligenza (Tribunale Bologna 30/01/2006).
La Suprema Corte è intervenuta in materia, statuendo che laddove l’incertezza derivi da fatto colposo del medico o della struttura sanitaria convenuta (ad es. incompletezza della cartella clinica, omissione di esami clinici, etc.) e qualora la condotta del sanitario sia astrattamente idonea a causare l’evento lesivo, deve configurarsi la responsabilità civile del sanitario (Cass. 1213/2000, Cass. 20101/2009), e ciò addirittura nel caso in cui appaia più probabile che il danno sia stato causato da fattori diversi rispetto alla condotta del medico, giacchè “il difetto di accertamento del fatto astrattamente idoneo ad escludere il nesso causale tra condotta ed evento non può essere invocato, benché sotto il profilo statistico quel fatto sia "più probabile che non", da chi quell'accertamento avrebbe potuto compiere e non l'abbia, nvece, effettuato” (Cass. 3847/2011).
Con una recentissima sentenza, infine, la Suprema Corte (Cass. n. 17143del 09/10/2012) ha affermato che “laddove la causa del danno rimanga alfine ignota, le conseguenze non possono certamente ridondare a scapito del danneggiato (nel caso, del paziente), ma gravano sul presunto responsabile che la prova liberatoria non riesca a fornire (nel caso, il medesimo e/o la struttura sanitaria), il significato di tale presunzione cogliendosi nel principio di generale favor per il danneggiato, nonchè della rilevanza che assume al riguardo il principio della colpa obiettiva, quale violazione della misura dello sforzo in relazione alle circostanze del caso concreto adeguato ad evitare che la prestazione dovuta arrechi danno (anche) a terzi, senza peraltro indulgere a soluzioni radicali, essendo attribuita” al medico “la possibilità di liberarsi dalla responsabilità”.