Avvocati: pubblicità sì, pubblicità no alla luce delle modifiche al Codice Deontologico forense

Professione forense: pubblicità via internet. Come fare alla luce delle ultime modifiche all'art. 35 del Codice Deontologico Forense

- di Dott.ssa Biagia Pavone
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Avvocati: pubblicità sì, pubblicità no alla luce delle modifiche al Codice Deontologico forense

Il nuovo Codice Deontologico Forense, volto, in primo luogo, a tutelare l’interesse pubblico al corretto esercizio della professione, è stato approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 31 gennaio 2014, in ossequio alle previsioni del nuovo ordinamento forense previsto dalla L. 247/2012.

Il nuovo codice si compone di 73 articoli raccolti in 7 titoli: il primo (artt. 1-22) individua i principi generali; il secondo (artt. 23-37) è riservato ai rapporti con il cliente e la parte assistita; il terzo (artt. 38-45) si occupa dei rapporti tra colleghi (da notare l’inversione, rispetto all’attuale codice, tra il titolo II - Rapporti con i colleghi - ed il III - Rapporti con il cliente e la parte assistita, nel senso di dare precedenza a quest’ultimo, proprio a sottolineare la vocazione pubblicistica delle norme); il titolo quarto (artt. 46-62) attiene ai doveri dell’avvocato nel processo; il quinto (artt. 63-68) concerne i rapporti con terzi e controparti; il sesto (artt. 69-72) disciplina i rapporti con le Istituzioni forensi e l'utlimo titolo (art. 73) contiene la disposizione finale.
La nuova struttura tiene, chiaramente, conto sia della giurisprudenza che si è formata in materia deontologica dal 1997 (data di entrata in vigore del primo codice forense) ad oggi, sia delle previsioni disciplinari sparse in diversi testi legislativi.

Per quel che attiene la pubblicità informativa dell'avvocato, le norme che vengono in rilievo sono essenzialmente due: l'art. 17, rubricato “Informazione sull'esercizio dell'attività professionale, e l'art. 35, rubricato “Dovere di corretta informazione”, di recente modificato dal CNF nella seduta amministrativa del 22.01.2016 (pubblicato in G.U. n.102 del 03.05.2016).

La prima norma citata consente all’avvocato, a tutela dell’affidamento della collettività, l’informazione sulla propria attività professionale, sull’organizzazione e struttura dello studio, sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti. Le informazioni offerte, che devono in ogni caso fare riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale, possono essere diffuse con qualunque mezzo, purchè siano trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative.

L'art. 35, poi, nel ribadire i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza che l'avvocato deve osservare nel fornire informazioni sulla propria attività, specifica in modo dettagliato ciò che è consentito all'avvocato per offrire una corretta informazione. Ai sensi di tale norma, infatti: “L’avvocato deve in ogni caso indicare il titolo professionale, la denominazione dello studio e l’Ordine di appartenenza. Può utilizzare il titolo accademico di professore solo se sia o sia stato docente universitario di materie giuridiche, specificando in ogni caso la qualifica e la materia di insegnamento. Non è consentita l’indicazione di nominativi di professionisti e di terzi non organicamente o direttamente collegati con lo studio dell’avvocato. L’avvocato non può utilizzare nell’informazione il nome di professionista defunto, che abbia fatto parte dello studio, se a suo tempo lo stesso non lo abbia espressamente previsto o disposto per testamento, ovvero non vi sia il consenso unanime degli eredi. Nelle informazioni al pubblico l’avvocato non deve indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano”.

Con la recentissima modifica pubblicata in G.U. Il 03.05.2016, il CNF ha voluto chiarire (e, in tal modo, ampliare) la portata dell'art. 35 introducendo al primo comma l'inciso “quali che siano utilizzati i mezzi per rendere le stesse” con riferimento, chiaramente, alle informazioni fornite dall'Avvocato sulla attività professionale svolta.

Si riporta il nuovo testo dell'art. 35 Cod. Deontologico:

«Art. 35 - Dovere di corretta informazione».
1. L'avvocato che da' informazioni sulla propria attivita' professionale, quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse, deve rispettare i doveri di verita', correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell'obbligazione professionale.
2. L'avvocato non deve dare informazioni comparative con altri professionisti ne' equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti l'attivita' professionale.
3. L'avvocato, nel fornire informazioni, deve in ogni caso indicare il titolo professionale, la denominazione dello studio e l'Ordine di appartenenza.
4. L'avvocato puo' utilizzare il titolo accademico di professore solo se sia o sia stato docente universitario di materie giuridiche;
specificando in ogni caso la qualifica e la materia di insegnamento.
5. L'iscritto nel registro dei praticanti puo' usare esclusivamente e per esteso il titolo di «praticante avvocato», con l'eventuale indicazione di «abilitato al patrocinio» qualora abbia conseguito tale abilitazione.
6. Non e' consentita l'indicazione di nominativi di professionisti e di terzi non organicamente o direttamente collegati con lo studio dell'avvocato.
7. L'avvocato non puo' utilizzare nell'informazione il nome di professionista defunto, che abbia fatto parte dello studio, se a suo tempo lo stesso non lo abbia espressamente previsto o disposto per testamento, ovvero non vi sia il consenso unanime degli eredi.
8. Nelle informazioni al pubblico l'avvocato non deve indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorche' questi vi consentano.
9. Le forme e le modalita' delle informazioni devono comunque rispettare i principi di dignita' e decoro della professione.
10. La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura.»  

A rinforzare ulteriormente il concetto v'è anche la soppressione dei commi 9 e 10 della calendata norma, specificamente dettati in tema di disciplina dei siti web.

Le anzidette disposizioni, infatti, così recitavano: “L’avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso. L’avvocato è responsabile del contenuto e della sicurezza del proprio sito, che non può contenere riferimenti commerciali o pubblicitari sia mediante l’indicazione diretta che mediante strumenti di collegamento interni o esterni al sito”.

Con la loro soppressione si è inteso, dunque, ammettere qualsiasi mezzo per fornire informazioni, anche mediante siti web con reindirizzamento (modifica di non poco conto!). Il tutto, naturalmente, sempre nel pieno rispetto dei principi di dignità e decoro della professione.

É rimasta, invece, intatta la disposizione relativa alla violazione dei doveri di cui all'art. 35 la quale comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura, prevista dall'art. 22, che consiste nel biasimo formale.

Orbene, se oggi la pubblicità informativa circa l'attività professionale dell'avvocato è libera, è bene precisare che non è sempre stato così. Si è passati, infatti, da un regime di divieto della pubblicità ad un sistema di liceità regolamentata.

In passato, ogni aspetto commerciale di questa professione era da considerarsi illecito e contrario ai principi deontologici perché, fondamentalmente, non si voleva che la professione forense fosse contaminata da tecniche commerciali tese a sviluppare business; oggi, invece, vivendo in un contesto storico in cui la concorrenza e la liberalizzazione sono diventati i valori prioritari da tutelare, si assiste, senz'altro, ad un cambiamento di rotta.

Fino a circa 20 anni fa il divieto di “propaganda” costituiva un principio deontologico fondamentale diretto a sottolineare che la professione forense non era equiparabile ad una qualsiasi altra attività. L'originaria formulazione dell'art. 17 del Codice Deontologico Forense, rubricato per l'appunto “Divieto di Pubblicità”, vietava qualsiasi forma di pubblicità che veniva considerata deontologicamente deprecabile e sanzionabile.

Il divieto è venuto meno nel 1999 quando venne consentito all'avvocato di dare informazioni sulla propria attività professionale, secondo correttezza e verità, nel rispetto della dignità e del decoro della professione e degli obblighi di segretezza e di riservatezza; l'informazione poteva essere data mediante opuscoli, carta da lettera, rubriche professionali e telefoniche, repertori, reti telematiche, anche a diffusione internazionale.

A seguito della modifica del 26 ottobre 2002, l'art. 17 elencava in maniera dettagliata non solo i mezzi di informazione consentiti (carta da lettere, biglietti da visita, targhe, brochures informative inviate anche a mezzo posta a soggetti determinati, annuari professionali, rubriche, riviste giuridiche, repertori e bollettini con informazioni giuridiche, siti web e reti telematiche, purché propri dell’avvocato e previa segnalazione al Consiglio dell’ordine) e quelli vietati (televisione, radio, giornali quotidiani e periodici, annunci pubblicitari in genere; distribuzione di opuscoli a soggetti indeterminati, nelle cassette delle poste o attraverso depositi in luoghi pubblici o distribuzione in locali, o sotto i parabrezza delle auto, o negli ospedali, nelle carceri e simili, cartelloni pubblicitari, telefonate di presentazione e visite a domicilio non richieste e, infine l’utilizzazione di Internet per offerta di servizi e consulenze gratuite, in proprio o su siti di terzi) ma anche i contenuti che l'informazione poteva o meno avere (tra gli altri era vietato indicare i prezzi delle singole prestazioni).

Con il “decreto Bersani” (decreto legge 4 luglio 2006 n. 223, convertito in Legge 4 agosto 2006 n. 248) vennero abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio e, per adeguare il codice deontologico alle disposizioni contenute nella legge n. 248/2006, il Consiglio nazionale forense ha dovuto compiere un ulteriore intervento di modifica.

Nel 2006, quindi, l'art. 17 è stato modificato in aderenza al disposto normativo ed è stato introdotto l'art. 17 bis rubricato “Modalità dell'informazione che non elencava più in maniera tassativa i mezzi di informazione consentiti, ma solo le indicazioni che le informazioni sulla propria attività professionale dovevano contenere (quali ad es. la denominazione dello studio, la sede principale di esercizio e il titolo professionale) o che potevano contenere (quali i titoli accademici, i diplomi di specializzazione conseguiti, le lingue conosciute, il logo dello studio ecc.)

La novità più importante è stata quella di ammettere la pubblicità informativa sulle caratteristiche del servizio offerto e sui costi delle prestazioni, in ossequio a quanto previsto dal decreto Bersani.

Con la c.d. ''Manovra bis'' (Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148), è stato precisato che “la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l'attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, è libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie”.

Si è giunti, infine, alla L. 31 dicembre 2012 n. 247 sulla base della quale è stato modificato il Codice Deontologico con le formulazioni già esposte in premessa. Da notare che la riforma dell’ordinamento professionale forense include le specializzazioni ma esclude i prezzi (compensi) delle prestazioni dal novero delle informazioni che possono essere diffuse, così modificando le disposizioni precedenti (2006 e 2011).

Certamente la ragione della (re)introduzione del divieto di pubblicizzare il prezzo delle prestazioni risponde ad una esigenza comunemente sentita dalla maggioranza dei professionisti che considera riprovevole l'indicazione dei prezzi, specie se tendenti al ribasso.

Ma, volendo dare un'occhiata all'altro lato della medaglia, è anche vero che per concorrere sul mercato è necessario promuoversi; e se per farlo bisogna parlare anche di denaro, allora si dovrà mettere da parte l'etichetta professionale e iniziare a ragionare in termini di mercato perchè, in fondo, è questo che ci impone il contesto storico in cui viviamo.

A tal proposito, merita senz'altro di essere menzionato il parere n. 48 del 2012 con il quale in Consiglio Nazionale Forense ha affermato che l'utilizzo di piattaforme digitali per promuovere i servizi professionali da parte degli avvocati comporta “lo svilimento della prestazione professionale da contratto d’opera intellettuale a questione di puro prezzo”.

Tuttavia, l'Autorità Garante della concorrenza e del mercato, nella sua adunanza del 22 ottobre 2014, ha ritenuto che il citato parere avesse “un oggetto anticoncorrenziale ai sensi dell’articolo 101 del TFUE, mirando esso precipuamente ad inibire l’impiego di un nuovo canale di diffusione delle informazioni relative all’attività professionale, anche stigmatizzando l’offerta di servizi professionali incentrata sulla convenienza economica” ed in seguito a ciò ha ritenuto applicabile al CNF una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad € 912.536,40 (provvedimento n. 25154 del 22 ottobre 2014).

Con sentenza n. 8778/2015, il TAR del Lazio, ha confermato l’orientamento dell’Autorità in merito alla natura restrittiva della posizione assunta dal CNF verso la pubblicità online, in contrasto con i principi comunitari della concorrenza e del libero mercato e, conseguentemente, ha ribadito la correttezza del giudizio dell'Antitrust quanto alla consentita ampiezza d'uso dei siti internet da parte degli avvocati.

E ciò, come ampiamente spiegato, ha condotto il CNF a fare un passo indietro e rivedere la propria posizione “liberalizzando”, per l'appunto, l'uso di internet.

Dott.ssa Biagia Pavone

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