Allargamento delle norme delle unioni civili alla convivenza more uxorio

In un caso di non punibilità ex 384 c.p., per favoreggiamento del convivente, si inizia ad allargare alla convivenza l’ambito di applicazione delle norme sulle unioni civili. Cassazione penale Sentenza n. 11476/2019

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Allargamento delle norme delle unioni civili alla convivenza more uxorio

E’ interessante il lungo perimetro argomentativo utilizzato da Corte di Cassazione penale, Sez. VI, nella Sentenza n. 11476 depositata in data 14 marzo 2019 per riuscire ad allargare l’ambito di applicazione della normativa riguardante unicamente le Unioni Civili (la cosiddetta legge Cirinnà) al mondo delle convivenze, almeno quelle qualificate (more uxorio).

Ancora una volta la S.C. si riveste del compito nomofilattico per “riequilibrare” il sistema, per renderlo, a suo avviso, più equo; per poterlo fare richiama la normativa e giurisprudenza internazionale (CEDU in particolare).

Il caso da cui parte è piuttosto banale, una convivente di un evaso lo avrebbe aiutato nel sottrarsi alle ricerche delle forze dell’ordine, “ospitandolo all'interno della propria abitazione, e, successivamente, fornendo false informazioni ai carabinieri in ordine alla presenza dello stesso C. all'interno della sua abitazione”.

Fatto grave che porta alla ovvia conseguenza dell’incriminazione per favoreggiamento. Salvo l’eventuale applicazione dei casi di non punibilità previsti dall’art. 348 c.p. che riportiamo qui di seguito:

Art. 384 C.P. - Casi di non punibilità
1. Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371-bis, 371-ter, 372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore.
2. Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione

Che da tempo vi siano vari inviti a regolare le convivenze e già costituiti riconoscimenti dello status del convivente nell’ambito della tutela dello stesso in vari istituti giuridici, è notorio e non è argomento di sorpresa.

La novità del provvedimento, piuttosto, sta nella parte in cui analizza la Legge 20 maggio 2016, n. 76 (Unioni Civili) al fine di trarne argomenti utili alla soluzione del caso. (Vedasi anche "Diritti e doveri nell'Unione Civile (effetti, cognome, regime patrimoniale)")

La Corte ricorda che si intendono per "conviventi", secondo la legge Cirinnà, due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza, non vincolate da rapporti di parentela, affinità, adozione, matrimonio o unione civile. Queste convivenze tuttavia, si distinguono da quelle di mero fatto, in quanto per le prime la formalizzazione della convivenza è data dalla dichiarazione anagrafica D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, ex art. 4 e art. 13, comma 1, lett. b), ai sensi dell’art. 1 comma 37 della L. 76/2016.

Gli ampi interventi normativi, soprattutto nel settore penale, diretti ad equiparare la unione civile al matrimonio e, in particolare, ove si è disposto per legge che per “prossimo congiunto” deve intendersi anche colui che è unito civilmente, non hanno compreso esplicitamente la figura del convivente, seppur more uxorio.

E si legge in sentenza: “E' stato acutamente notato come l'effetto della riforma sul piano delle norme penali sia stato duplice: "da un lato, attrarre le unioni civili nello statuto penale della tradizionale famiglia legittima eterosessuale; dall'altro lato, non intervenire sulle coppie di fatto, rispetto alle quali rimane fermo lo stato della discussione antecedente alla riforma"; prescindendo dai casi nei quali il legislatore vi ha dato espressa rilevanza come, ad esempio, nell'ipotesi del reato di maltrattamenti, sono infatti minime nella Legge Cirinnà le novità che interessano il ramo penalistico dell'ordinamento relativamente alle convivenze di fatto”.

E conclude affermando: “Ciò che tuttavia non pare essere stato compiuto con la L. n. 76 del 2016 è il coordinamento del diritto penale con le convivenze di fatto”.

Come dire, il lavoro del legislatore non è stato completato, non volendo, invece, cogliere l’altra eventuale interpretazione del silenzio del legislatore, vale a dire di avere appositamente tenuta ferma la disciplina per le coppie di conviventi.

Come si diceva, la Suprema Corte utilizza il proprio compito nomofilattico, e lo fa con decisione.

Allora opera nell’ottica di equiparazione delle situazioni. Si legge, ancora che si è “ … segnalata una rilevante frattura tra la regolamentazione delle "unioni civili" rispetto alla disciplina delle "convivenze di fatto", dal momento che la legge distingue, sul piano qualitativo, i due legami, applicando solo alle parti di un'unione civile una serie di disposizioni analoghe a quelle previste nel codice civile per la disciplina del matrimonio”. La tali disposizioni non coprono, invece, le convivenze, neppure quelle qualificate.

Si apra breve parentesi per evidenziare come le stesse convivenze si differenzino in una scala di rilevanza. I rapporti personali, infatti e oramai opportuno si distinguino in questa scala di gradazioni (scala accennata dalla Suprema Corte) in funzione della forza del vincolo normativo che si crea con l'unione personale: dal più regolamentato che è a) quello del matrimonio, passando per lo scalino quasi livellato al primo ma solo un po’ più basso, b) le unioni civili, per poi aversi il mondo delle convivenze declinate con le c) convivenze dichiarate all’anagrafe (come su si ricordava), le d) convivenze more uxorio non dichiarate e, infine, le e) convivenze di fatto.

In proposito la Corte dichiara di condividere “ … l'opinione dottrinaria secondo cui la novità legislativa non può costituire un insormontabile impedimento per estendere a ogni altra forma di convivenza la disciplina che si ricava, in tema di equivalenza della figura del convivente a quella del coniuge, dal complesso quadro storico-evolutivo della materia”. E poi, ancora: “se si cerca una coerenza complessiva del sistema e si respinge l'esclusione dei rapporti fattuali, il binomio famiglia giuridica-famiglia di fatto va ricondotto in via tendenziale ad unità sul piano penalistico, ed è la famiglia di fatto che si deve espandere”.

E conclude:

Ne discende che una interpretazione valoriale, non in contrasto con la Costituzione, consente di ritenere applicabile l'istituto di cui all'art. 384 c.p., comma 1, anche ai rapporti di convivenza "more uxorio", pur dopo la legge c.d. Cirinnà”.

 

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Di seguito il testo di

Corte di Cassazione penale, Sez. VI, Sentenza n. n. 11476 dep. 14/03/2019

 

Svolgimento del processo

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