Il diritto di proprietà diverrà un retaggio del passato? Prove di futuro in giro per il mondo
“non avrò nulla e sarò felice”. I piani del Grande Reset per la proprietà privata in relazione ai dettami dell'art. 42 della Costituzione italiana. Breve riflessione

Il termine e concetto di "Grande Reset" è stato sdoganato in Italia pochi giorni fa da Carlo Freccero, ex Direttore di Rai 2, in una seguita trasmissione su un canale Mediaset (Vedi il video QUI). Ne parlano, invece, da oltre un anno, tutta una serie di giornalisti e opinionisti che studiano come funziona questo mondo e che solitamente vengono definiti “complottisti” 1.
Per quei pochi che non avessero ancora sentito parlare di “Great Reset”, si dica che esso nasce dal forum di Davos (il World Economic Forum) come proposta approvata di realizzazione di un piano di modifica della società così come l’abbiamo fino ad oggi conosciuta. Quel mantra che ci siamo sentiti ripetere in questi molti mesi, “Nulla sarà come prima”, è nato in quel contesto. Con una breve ricerca in rete si potranno ottenere informazioni sufficienti.
Il piano è assolutamente rivoluzionario e punta a minare quelle eredità culturali che ci stiamo portando avanti da circa seimila anni a questa parte (non una cosa da poco) ma in particolare cristallizzati negli ultimi due secoli. I temi di questa proposta di rivoluzione sono molteplici ma la questione che interessa questo sito, in particolare, riguarda l’atteggiamento nuovo, e assai diverso dalla tradizione, che il WEF esprime in merito al concetto di proprietà privata.
Per dirla con lo slogan da loro coniato, “non avrò nulla e sarò felice”, promosso da Ida Auken, ex ministro dell’ambiente danese che a più riprese ha illustrato l’agenda del WEF, il prossimo futuro – termine fissato per il 2030 – prevede un canone di vita privata inesistente, privato anche degli spazi e degli oggetti propri privati e personali perché tutto sarà in prestito. Secondo le proiezioni del "Global Future Councils" del WEF, la proprietà privata e la privacy saranno abolite nel prossimo decennio. La posizione del WEF raggiunge e addirittura supera posizioni che consideriamo tipicamente comuniste (ad esempio della Cina o dell’ex URSS) prevedendo un generalizzato esproprio anche dei beni di consumo, i quali non sarebbero più proprietà privata.
Ci dobbiamo abituare all’idea di vedere l’intero globo muoversi all’unisono (una novità dei nostri tempi) di fronte a problematiche comuni. Una prova l’abbiamo avuta con l’emergenza pandemica. Analogamente quell’appendice del piano che viene definito Great Reset e che riguarda la proprietà privata non è rimasta nello slogan della parlamentare danese o nei lavori della conferenza di Davos; abbiamo spunti di diverso tipo per considerarlo un altro fronte di lavoro che sta avanzando a livello globale. Perché dico ciò?
dalla teoria …
La nuova posizione della Santa Sede. Nell'aprile del 2021 Papa Francesco ha promosso a più riprese un concetto che è parso a molti ascoltatori una nota fuori tema: «La proprietà privata non è intoccabile, serve giustizia sociale». Chi voglia verificare personalmente legga QUI e QUI. Nuova teoria ecumenica creata per l’enciclica Fratelli tutti, ove si afferma che «Il diritto di proprietà è un diritto naturale secondario derivato dal diritto che hanno tutti, nato dal destino universale dei beni creati». In un successivo discorso il Santo Padre ha avuto modo di chiarire che in un mondo che appare regolato dalle enormi diseguaglianze economiche, occorre costruire una «nuova giustizia sociale, partendo dal presupposto che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata».
Particolare è stata la scelta di promuovere questi concetti davanti ad un consesso di giudici. Si trattava di un discorso rivolto ai partecipanti ad una videoconferenza internazionale, giudici membri dei comitati per i diritti sociali di Africa e America. Un richiamo rivolto non a dei semplici fedeli della Chiesa Cattolica ma a degli operatori di giustizia è sembrato a molti indicare la volontà di uscire dalla mera speculazione teorica ravvedendosi un cogente invito ad applicare fin da ora, nella concreta quotidianità, questi suggerimenti.
… ai fatti.
Alcuni avvenimenti delle cronache internazionali sembrano indicare che effettivamente si assiste già ad una spinta verso la nazionalizzazione di beni privati.
In SUDAFRICA non solo si lavora al disegno di legge sull’esproprio (Expropriation Bill) che dovrà facilitare le procedure di esproprio ed ampliare i beni espropriabili (leggi QUI: “property is not limited to land” thus any property including movable property and immovable property may be expropriated, tradotto in: la proprietà non è limitata al terreno, di modo che potrà essere espropriata la proprietà delle cose mobili così come degli immobili); si lavora anche alla modifica della Costituzione dello Stato (amendment of section 25 of the Constitution) per arrivare ad espropriare senza alcun compenso. Si, questo è quanto si tenta di fare. Ovviamente le ragioni che muovono un tale tentativo sono nobili, come sempre: e consiste nel mettere in piedi una manovra compensativa dell’occupazione europea a suo tempo avvenuta ai danni della popolazione locale (the bill states that "land is the common heritage of all citizens that the state must safeguard for future generations" and that the "state must take reasonable legislative and other measures, within its available resources, to foster conditions which enable state custodianship of certain land in order for citizens to gain access to land on an equitable basis”).
A BERLINO. Un comitato, appoggiato dalla componente di sinistra del parlamento tedesco (“The far-left Left party strongly supports it while the Greens have given mixed signals”), ha promosso un assai strano referendum avente il fine di espropriare migliaia di appartamenti, nella città di Berlino, di proprietà di società immobiliari. Il referendum si è svolto in data 26 settembre 2021 e ha vinto (con il 53% dei voti) il fronte del SI, si all’esproprio. Si tratta di un referendum propositivo e non ha valore vincolante. Tuttavia è interessante l’iniziativa. Il referendum, che mira ad essere trasformato in legge dal parlamento, chiede che vengano requisite in proprietà pubblica circa 240.000 abitazioni della città di Berlino (circa l’11% del totale).
Secondo la proposta di legge referendaria l’indennità di esproprio dovrà essere ben inferiore al valore di mercato (“The campaigners say the companies would be compensated at a rate "well below market value."” si legge QUI). La proposta parte dal fastidio che vi siano società in Berlino che sono proprietarie di centinaia di migliaia di unità abitative. A questa situazione si attribuisce la causa dei notevoli incrementi dei canoni di affitto che si sono verificati negli ultimi anni. Ad esempio si legge che Deutsche Wohnen è proprietaria di circa 113.000 unità abitative nella città.
Anche qui, come nel caso precedente, non vi è chi non sia d’accordo nel colpire tali latifondisti.
In OLANDA si progetta di espropriare una importante fetta delle terre degli agricoltori per un valore che va dai 2 a 3 miliardi di euro. La causa? Troppe mucche, il che significa troppe deiezioni, cioè troppo nitrogeno/ammoniaca. Scrive la Repubblica “il governo olandese ha prima stabilito di diminuire la quantità di proteine nei mangimi per animali (per diminuire, di conseguenza, l’ammoniaca nelle loro urine) e adesso è intenzionato a sfoltirne le popolazioni. Anche costringendo gli allevatori a cedere i propri diritti di emissione nell’ambito del sistema di scambio delle quote di gas serra o a vendere la terra allo Stato”. Se il nostro giornale locale non pone l’accento sull’esproprio, altri giornali (anche QUI) lo fanno e riferiscono di possibili espropri su larga scala che hanno provocato la rabbiosa reazione degli agricoltori. The Guardian ci parla di proteste di gruppi di agricoltori che durano da mesi bloccando le strade con i trattori (“ farming groups have already spent months blocking roads with tractors in protest over other proposals to limit ammonia from animal waste, and many are strongly opposed. “Expropriation is a bad idea,” said Wytse Sonnema, head of public affairs at the Netherlands Agricultural and Horticultural Organization (LTO), which has proposed a plan to fund farming innovation and voluntary farm relocation or closure. ” QUI). Del resto il bestiame non serve più visto che secondo i nuovi dettami tecnologici l’hamburger può essere prodotto in laboratorio, senza scarti (non ci si crede? Vale la pena leggere “La prima mega fabbrica di carne al mondo coltivata in laboratorio a produrre 5,000 hamburger al giorno”).
Il lettore esterno non comprende cosa c’entri il problema ammoniaca con la proprietà delle terre. Tuttavia pare importante anche lì riuscire a requisire più terreno possibile.
E in ITALIA? Il prof Rodotà aveva iniziato a lavorare alacremente per l’ampliamento e la riformulazione giuridica di quelli che ha denominato “beni comuni”. Si legge in Wikipedia che “La Commissione Rodotà fu nominata il 14 giugno 2007 con decreto del Ministro della giustizia e incaricata di redigere uno schema di disegno di legge delega per la riforma delle norme del Codice Civile sui beni pubblici. La Commissione consegnò la sua relazione al Ministro nel febbraio del 2008”. Lo studio e la promozione dei beni comuni ora prosegue con il lavoro del Prof. Ugo Mattei. Il progetto Rodotà non è mai confluito in una legge.
Ora, il tema è sdrucciolevole, e ci si chiederà cosa abbia a che fare la definizione di bene comune con il su riferito fenomeno degli espropri massicci o con il piano di eliminazione della proprietà privata del circolo di Davos. I nostri studiosi e promotori dei beni comuni sono spinti sempre da un ideale idilliaco, bucolico, quasi utopico, ove la gestione comune si potrebbe contrapporre alle difficoltà create dal “leviatano burocratico”. Un insieme di persone, legate da conoscenza, fiducia e comunicazione reciproche, potrebbero prendersi carico senza interferenza di autorità esterne di beni (ad esempio valli di pesca della Laguna di Venezia, come riconosciuto dalla Corte di Cassazione) aventi unico scopo di servire la collettività.
Ora, ad un più attento esame si coglie la similitudine delle argomentazioni che sorreggono gli espropri di cui sopra con i principi che vengono posti alla base della promozione dei beni comuni. Spiega Ugo Mattei che “c'è una visione geopolitica della Chiesa Cattolica che ci sfida a costruire un pensiero globale, forte, spirituale e radicalmente contrapposto all'impero tecnologico e al pensiero neo liberale che abbiamo visto e subìto fin qui”.
Ancora, scrive Mattei in QuestioneGiustizia: “ I beni comuni, pertanto, non sono nemici della proprietà individuale, ma soltanto degli eccessi legati al suo accumulo … È indifferente che il titolo di proprietà sia in ultima analisi pubblico o privato, di un’azienda o di un comune; l’importante è che lo spazio promuova un’attività collettiva generativa e non sia gestito in base a un modello di esclusione, estrattivo, interessato solo ai profitti e alla rendita.”.
Anche in Sudafrica si parla del territorio come “eredità comune di tutti i cittadini”, e di beni da “salvaguardare per le future generazioni”. Anche a Berlino si attiva il referendum propositivo per quell’intollerabile ”eccesso” di proprietà in capo a poche società. Stessi principi nonché stessi termini utilizzati per i beni comuni dai proff. Rodotà e Mattei. Le argomentazioni sono simili. Va aggiunto il Prof. Rodotà amava l’azzardo e invece di accontentarsi del concetto di proprietà pubblica ha voluto crearne un terzo (privato, pubblico e comune) come che il settore pubblico (lo Stato o altro Ente locale) non potesse rappresentare l’interesse di una comunità, estesa o limitata che sia.
Tutto ciò per suggerire che continuamente si affaccia al tema “proprietà” lo scontro fra opposte visioni del mondo, visioni che possono anche essere più di due (non è sempre uno contro l’altro, ma qui anche diversificato e con sfumature molteplici). Non sappiamo se questi “indizi” di una nuova ristrutturazione del vivere le “cose” prosegua e di quanto possa avanzare, se sia possibile che entro il 2030 il cittadino viva senza possedere alcunché in proprietà. Visto il prorompere di una tale sfida, tuttavia, vale la pena sondare brevemente come possa adattarsi alla nostra Carta Costituzionale.
L’articolo 42 della Costituzione italiana recita (comma 2) “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.
Tuttavia continua anche (comma 3) affermando che “La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”.
Taluno ha fatto rilevare come la Costituzione non esprima il concetto di proprietà quale diritto, non si parla di diritto di proprietà, quasi ad indicarne una valenza ultra-giuridica. Quanto al rapporto del singolo con tale entità extragiuridica l’art. 42 Cost. pone l’aggettivo “privata” al fianco di ogni richiamo alla proprietà. La norma è frutto evidente di una mediazione fra le due anime (destra e sinistra) dell’Assemblea Costituente. La proprietà è riconosciuta poter essere in capo al “privato” con tutti i limiti legati al concetto di “funzione sociale” della stessa.
Innanzitutto va detto che, nonostante il dubbio su espresso in ordine alla qualifica della proprietà, la Corte Costituzionale ha chiarito che la proprietà privata va inquadrata nel diritto soggettivo, è un diritto soggettivo. Ma ha anche affermato, in un obiter dictum del 71, Sent. n. 22, che il diritto di proprietà non si possa considerare come diritto primario e fondamentale dell’individuo, e vada qualificata invece come mero rapporto economico. L’articolo 832 c.c., precedente alla Costituzione, qualifica e regola la proprietà come diritto, il diritto di proprietà.
Se da un lato possiamo evincere facilmente che la proprietà privata non solo è riconosciuta ma è anche “garantita” dalla nostra Carta Costituzionale, non si può d’altra parte non cogliere i continui riferimenti alla sua funzione sociale e alla possibilità dello Stato di privare della proprietà privata per “motivi di interesse generale”. Si scontra qui l’interesse del singolo rispetto alle esigenze della società. E, per farla breve, per passare oltre, l’art. 42 Cost. riporta intrinsecamente quel dilemma sulla legittimità della possibilità della maggioranza (la società) di schiacciare gli interessi della minoranza o del singolo. E, ancora, per riportare le parole del costituente Taviani nella seduta del 25/9/46 in III Sottocommissione: “ … partito comunista. Questi pensano che fra un secolo possa non esserci più alcuna proprietà privata. Afferma però che a suo parere anche i comunisti devono comprendere la posizione dei democristiani, i quali ritengono che almeno un minimo di proprietà privata ci sarà sempre”. La nostra costituzione è frutto della mediazione fra questi opposti interessi.
Ciò che è più importante, tuttavia, è sottolineare che esiste una enorme discrasia fra il concetto di felicità umana, in relazione alla proprietà, espresso dalla nostra Costituzione rispetto alla visione del WEF, che mira a realizzare quel “non avrò nulla e sarò felice”. Due visioni che paiono essere, e sono, antitetiche 2.
Per aiutarci a comprendere il significato dell’inciso “funzione sociale” ricorriamo ai lavori dell’Assemblea Costituente e lavori della dottrina. In “La funzione sociale della proprietà. Dall’assemblea costituente al modello della costituzione “materiale”” di Alpa, Bessone e Fusaro leggiamo che “Dal punto di vista sistematico, l’operatività della funzione sociale appare circoscritta dalla finalizzazione primaria della proprietà a garantire la libertà e l’affermazione della persona”. Nonostante il pensiero della Corte Costituzionale, che risente della cultura del tempo, la finalizzazione della proprietà secondo le formule e gli intenti della I Sottocommissione, assume una coloritura giusnaturalistica che giustifica la collocazione della proprietà tra i diritti inviolabili della persona (abbiamo parlato di valenza ultra-giuridica).
La I Sottocommissione aveva, in effetti, elaborato questo testo del primo comma dell’art. 42: «Allo scopo di garantire la libertà e l'affermazione della persona viene riconosciuta e garantita la proprietà privata frutto del lavoro e del risparmio». E si ripete nei lavori della III Sottocommissione che “il diritto di proprietà è garanzia della libertà umana”.
Cosa intendevano i costituenti per libertà umana attraverso la proprietà? Un accenno assai utile lo troviamo nelle parole dell’On. Fanfani che così vengono verbalizzate: “ Ricorda [Assennato] a questo proposito come gli impiegati di Stato, che non avevano altre possibilità di vita, furono costretti a prendere, anche contro voglia, una tessera; ciò fa pensare che probabilmente se avessero avuto un minimo di proprietà personale si sarebbero sentiti incoraggiati a difendere la loro libertà”.
La proprietà privata viene vista, quindi, come ultimo argine contro l’ingerenza altrui, ingerenza anche dello Stato, una sorta di terreno di difesa, come l’ultraterritorialità delle sedi delle Ambasciate all’estero, dove potersi rifugiare non solo materialmente ma anche mentalmente e spiritualmente. La mente umana trova conforto nelle proprie “cose”, nei propri ritmi, nei propri panorami. Perché mai vi è tanta attenzione della giurisprudenza a mantenere la casa familiare in godimento del minore? La ratio sottostante a tale indirizzo, costante e uniforme, può rendere l’idea di parte delle ragioni adottate dei Costituenti per definire la proprietà privata quale garanzia di libertà umana. Sotto un profilo spirituale, inoltre, le energie create ed accumulate, vissute, in una determinata casa o proprietà, dal singolo o da una famiglia, sono una struttura preziosa nella quale coltivare la propria interiorità.
I Costituenti furono fondamentalmente d’accordo su tale concezione della proprietà privata essendo prevalentemente concordi anche nell’indicare nell’eccessivo accumulo il vero pericolo, che le leggi dello Stato avrebbero dovuto scongiurare.
I nostri Padri Costituenti, quindi, considerarono la proprietà privata quale elemento imprescindibile per la realizzazione della felicità umana. In netto contrasto con lo slogan – che tale pare ridursi, non motivato né giustificato da analisi psicologiche e sociologiche – che vorrebbe la felicità essere creata dal mancato possesso di alcunché.
Per concludere, non si può affermare che la visione del WEF e di Papa Francesco siano inesatte in modo assoluto: esse semplicemente non tengono conto dello stato di evoluzione della società umana. Il mondo idilliaco dei “beni comuni” può essere sorretto solamente da una collettività di persone altruiste e sagge. Uno Stato democratico e burocratico, ugualmente, raggiunge il suo vero scopo solamente quando la cittadinanza è soggettivamente evoluta, psicologicamente e filosoficamente. Questo può essere, e sarà, fra qualche migliaio di anni (duemila o forse tremila).
Per il momento, questi enti, potrebbero impiegare il loro tempo per tentare di far evolvere l’umano invece che anticipare anacronisticamente le questioni materiali e di diritto. Evoluzione che certo non è quella indicata dal Great Reset, che prevede a breve un’umanità trans-umana nel senso di tecnologicamente artefatta e modificata.
Si aggiunga, infine, un richiamo all’art. 17 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo secondo il quale: “1. Ogni individuo ha diritto di avere una proprietà personale o in comune con altri. 2. Nessun individuo può essere arbitrariamente privato della sua proprietà”.
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1 - Ilaria Bifarini scriveva molti mesi fa il libro: “Il Grande Reset. Il libro che rivela il piano post pandemico”.
2 - E’ interessante evidenziare come i progetti del World Economic Forum per la massa siano di stampo nettamente comunista riferito all’ideologia dei primi decenni del secolo scorso. E’ curioso che un consesso di soggetti appartenenti all’alta finanza, banchieri, esponenti delle più grosse multinazionali e dell’antica aristocrazia vogliano pensare al bene della massa popolare togliendo ad essa ogni proprietà. Un argomento su cui meditare.