La festività dedicata alla donna nel mondo della giustizia: due casi esemplari
Per l’8 marzo un omaggio a due giuriste, donne, che hanno aiutato ed aiutano il mondo a progredire. La prima donna avvocato in Italia (Lidia Poët) e il primo magistrato donna in Iran (Shirin Ebadi).

Nella festività dedicata alla donna, oggi 8 marzo, vogliamo dedicare alcune parole a due esempi (uno storico e uno attuale) di lotta contro la discriminazione in quel settore, il mondo della giustizia, di cui si occupa questo sito.
Due punti di riferimento, uno tutto italiano e uno di respiro internazionale, che per sempre vengono e verranno citate come esempi della lotta contro la discriminazione basata sul sesso; ricordiamo l’art. 3 della nostra Costituzione secondo il quale “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Lidia Poët
La nostra carta costituzionale non era ancora stata scritta quando il primo di questi due esempi, Lidia Poët, iniziò a lottare per ottenere l’iscrizione della prima donna nell’Albo degli Avvocati (lo Statuto Albertino, vigente all’epoca, tuttavia prescriveva all’art. 24 che: “Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle Leggi”).
Nata nel 1855, Lidia Poët si laureò in giurisprudenza nel 1881 con una tesi sulla condizione femminile nella società e sul diritto di voto per le donne.
Seguì il praticantato, svolto con passione e dedizione, presso il dominus avvocato e senatore Cesare Bertea.
Infine superò, con il voto di 45/50, l’esame di abilitazione alla professione forense.
Tuttavia, con la richiesta, prevista per legge, di iscrizione all’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Torino iniziarono i problemi. Il Consiglio dell'Ordine di Torino, nonostante la forte opposizione di alcuni membri, con una decisione che è passata alla storia, accolse la richiesta di iscrizione, dimostrando un’ampia apertura di vedute e pieno rispetto della legalità e dei principi dello Statuto Albertino (si segnalano le immediate successive dimissioni di due avvocati che avevano votato contro la decisione).
La reazione degli oppositori fu enorme, tanto che il caso ebbe eco anche al di fuori dei confini italiani, ed il Procuratore Generale del Re impugnò il decreto d'iscrizione. Dopo un primo provvedimento di revoca dell’iscrizione da parte della Corte d’Appello, si ebbe la conferma della revoca a conclusione del giudizio svoltosi innanzi alla Corte di Cassazione, con sentenza del 18 Aprile 1884.
La sentenza è da ricordare per avere motivato che “nella razza umana, esistono diversità e disuguaglianze naturali … E dunque non si può chiedere al legislatore di rimuovere anche le differenze naturali insite nel genere umano”. Secondo la Corte di Cassazione del 1884 “La donna non può esercitare l’avvocatura”.
In una seduta della Camera dei Deputati del 2 giugno 1884, l’on. Bertani in una interrogazione ebbe a chiedere al Guardiasigilli se la legge “contempli soltanto gli uomini come possibili avvocati, oppure se dato il caso, che non è contro natura, che una donna si presenti, colle debite prove richieste e date, per domandare l'esercizio dell'avvocatura, possa essere dalla legge accolta e protetta, o debba invece essere inesorabilmente respinta. … è grande la differenza fra la pomposa magniloquente esposizione di argomenti che fa il procuratore generale, e la difesa calma, serena, sicura, e l'elevatezza del decoro in una quistione di diritto comune, mantenuto dalla signorina Poet”.
E ancora, affermava nell'intervento: “Riconosciamo, onorevoli signori, che lo spirito liberale, là dove esista nelle nostre leggi, dovendo queste essere applicate da una magistratura non del tutto sbarazzata dalle tradizioni autoritarie di dieciotto secoli, reclama che la legge dica aperto come la intende, giusta le norme del diritto comune moderno, ed a scanso d'interpretazioni curiali, arbitrarie o capricciose. Ricordiamoci, che nella nostra magistratura non vi ha bisogno di moderare lo spirito liberale, quello spirito nella cui virtù l'Italia risorse, vive, e vuole progredire”.
Fu solo diversi anni dopo che Lidia Poet riusci ad ottenere l’iscrizione all’Albo degli Avvocati; era il 1920, era appena finita la seconda guerra mondiale e fu introdotta nella legislazione del Regno la Legge n. 1179 del 17 luglio 1919 che abolì l'autorizzazione maritale e autorizzò le donne a entrare nei pubblici uffici, tranne che nella magistratura, nella politica e in tutti i ruoli militari.
L’articolo 7 della predetta legge recitava: “Le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni ed a coprire tutti gl’impieghi pubblici, esclusi soltanto, se non vi siano ammesse espressamente dalle leggi, quelli che implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche che attengono alla difesa dello Stato”.
Shirin Ebadi
Carriera di magistrato ancora preclusa alle donne in alcuni paesi del mondo. Qui si vuole rendere omaggio ad un’altra donna che lotta in questa nostra moderna epoca contro la discriminazione basata sul sesso: si tratta della iraniana Shirin Ebadi.
Attualmente residente, in esilio, a Londra, si legge su wikipedia che “è un'avvocatessa e pacifista iraniana premiata il 10 dicembre 2003 con il premio Nobel per la pace per i suoi sforzi significativi e pionieristici per la democrazia e i diritti umani, in particolare i diritti delle donne, dei bambini e dei rifugiati. È prima persona del suo Paese e prima donna musulmana a ottenere tale riconoscimento”.
Ho avuto l’onore di sentirla parlare dal vivo in una sessione di un Congresso Distrettuale del Trentino-Alto Adige.
Dopo avere ottenuto la laurea in giurisprudenza, superati gli esami anche lì previsti, divenne magistrato. Si legge che fu la prima donna iraniana a diventare magistrato. Dal 1975 al 1979 ricoprì la carica di Presidente di sezione nel tribunale di Tehran.
Ma nel 1979 in Iran vi fu la rivoluzione islamica e le donne furono soggette alla legge della Sharia. Anche questa volta, come per la Corte di Cassazione del 1884, l’interpretazione della Legge è purtroppo affidata ad uomini che portano con sé il bagaglio di pregiudizi e schemi mentali (in base al Corano le donne sono uguali agli uomini di fronte ad Allah, come per lo Statuto Albertino tutti i regnicoli erano uguali di fronte alla legge).
Secondo Ebadi Shirin nel suo paese di origine è un detto comune che “una donna vale come l’occhio strabico di un uomo”.
Con la Rivoluzione Islamica in Iran le donne non potevano più ricoprire l’incarico di magistrato e proprio perché ex presidente di sezione le fu riservato un ruolo particolare, di collaboratore del tribunale con il ruolo di “esperta di legge”. Collaborazione che non fu da lei accettata, non volendo accettarne la discriminazione intrinseca, tanto che dopo pochi anni divenne avvocato, con l'apertura del proprio studio legale e dedicandosi alla difesa dei diritti umani.
Ottenne il premio Nobel per la Pace nel 2003 sequestratole dalla polizia di Teheran nel 2009 in una irruzione violenta nella sua abitazione.
Da allora vive all’estero, scrive libri, tiene conferenze in tutto il mondo e si occupa di diritti umani.
Ha scritto l’avv. Ebadi: “ Le donne iraniane avuto il diritto di voto prima delle cittadine svizzere, proclamano i diritti femminili, ma poi si piegano all'obbligo del velo. [...] Più il 60% degli studenti iraniani sono donne e loro sono più istruite rispetto agli uomini e questo rappresenta un problema per loro, tanto che il regime vuole riportarle a 1400 anni fa, ma loro non lo permettono. Le donne iraniane sono molto attive e vanno aiutate. Il nemico più forte è la donna e il regime lo sa”.