L'INPS deve risarcire se comunica dati errati

La Corte di Cassazione (sentenza 21454/2013) sulla responsabilità dell'INPS per informazioni contributive errate

- di Avv. Giorgio Pernigotti
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L'INPS deve risarcire se comunica dati errati

L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale deve risarcire il danno sofferto dall’assicurato che, confidando nella correttezza dei dati contenuti in estratti-conto rilasciati dall’Ente, ha rassegnato le dimissioni dal lavoro nel convincimento di avere raggiunto il requisito contributivo per accedere alla pensione di anzianità.

Con sentenza numero 21454 del 2013, la Sezione Lavoro della Suprema Corte, ha accolto, per quanto di ragione, il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze n. 446 del 2008 (cassata con rinvio) da soggetto dipendente assicurato presso l’Istituto, soggetto che ha domandato tutela dell’affidamento riposto nelle informazioni fornite a seguito di domanda e sulla base delle quali ha ritenuto di lasciare il posto di lavoro per raggiunti requisiti di anzianità pensionabile.

La pronuncia, che si colloca nell’alveo tracciato da una giurisprudenza della stessa Corte ormai consolidata – fatta eccezione per un solo precedente richiamato in parte motiva -, merita interesse sul piano giuridico per l’esame di uno dei principi fondamentali nel nostro ordinamento giuridico, principio che trova applicazione non solo tra privati bensì in ambito di rapporti tra privatI e pubblica amministrazione e di diretto fondamento costituzionale: il principio del legittimo affidamento.

Con argomentazione brillante e curata, la Corte osserva come la tutela del legittimo affidamento si estenda a chiunque si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’amministrazione gli abbia dato aspettative, fondate su informazioni e dichiarazioni dalla stessa rilasciate, “posto che la pubblica amministrazione è tenuta a rispettare l’affidamento e l’attendibilità delle sue dichiarazioni, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 cod.civ.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.”.

La buona fede come criterio di condotta, opera, come affermato dalla dottrina più autorevole concorde sul punto, anche nei rapporti tra pubblici poteri e cittadini; “essa infatti esprime un principio costituzionale non scritto ma ricavata dall’art. 3 cpv. Cost. e vincola la pubblica amministrazione a rispettare, così nell’esercizio dei poteri autoritativi come nell’ambito dei rapporti contrattuali, l’affidamento e l’attendibilità delle sue dichiarazioni”.

Principio, sempre secondo la Corte, che assume valenza, nella sua tutela generale, non solo nell’ordinamento costituzionale interno bensì, come affermato da numerose pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, anche nell’ordinamento comunitario.

Nella specie, la tutela di detto principio andrà valutata, rispetto al caso concreto, alla luce delle norme che regolano la responsabilità contrattuale, tra cui spiccano quelle relative alla ripartizione dell’onere probatorio in caso di inadempimento (cfr. art. 1218 cod. civ.) e al dovere del creditore di cooperazione (cfr. art. 1227 cod. civ.)

Su tale profilo trova sostegno il rinvio disposto, dovendo la Corte Territoriale, nella sua diversa composizione, valutare, con accertamento in fatto, se sussista o meno una limitazione di responsabilità dell’Ente per concorso colpevole dell’assicurato che abbia omesso di adottare le cautele più idonee per verificare l’esattezza dei dati ricevuti.

 

 

 

 

 

 

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