Responsabilità della struttura sanitaria e onere della prova
La Corte di Cassazione (sentenza n. 2185 del 31 gennaio 2014) si esprime in ordine all´onere della prova nella richiesta di risarcimento danni rivolta alla struttura sanitaria.

Con sentenza n. 2185 del 31 gennaio 2014 la Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. III) conferma l'indirizzo della Suprema Corte in ordine all'onere della prova nei giudizi di responsabilità sanitaria.
Nel caso di specie trattavasi di una richiesta di risarcimento danni per una grave patologia, a dire del ricorrente, prima non riconosciuta e poi mal curata.
Il caso finiva avanti alla Corte di Cassazione la quale è stata chiamata ad esprimere un parere sul soggetto onerato a fornire la prova dell'inadempienza della struttura sanitaria e del necessario nesso eziologico fra evento e danno.
La sentenza in commento richiama propri precedenti e afferma: "in tema di responsabilità contrattuale del medico nei confronti del paziente per danni derivanti dall'esercizio di attività di carattere sanitario, il paziente ha il solo onere di dedurre qualificate inadempienze, in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, restando poi a carico del debitore convenuto l'onere di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno"
Di seguito le motivazioni della sentenza n. 2185 del 31 gennaio 2014.
Motivi della decisione
Occorre preliminarmente procedere alla riunione dei ricorsi, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., in quanto proposti contro la medesima sentenza.
1. Con l'unico motivo del ricorso principale si lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione degli artt. 1218, 1228 e 2697 c.c..
Rileva il ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe recepito l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il danneggiato che agisce deducendo l'inesatto adempimento della struttura sanitaria è tenuto a dimostrare l'esistenza del contratto, l'aggravamento della propria situazione e il nesso di causalità tra l'azione o l'omissione della struttura e l'evento dannoso. Nella specie, la Corte d'appello non ha accolto la domanda risarcitoria per l'aggravamento delle condizioni di salute del paziente in quanto esso non sarebbe conseguenza del trattamento sanitario subito.
Secondo la giurisprudenza più recente, invece, devono essere la struttura sanitaria ed il medico curante a dimostrare il corretto adempimento della propria prestazione, sicchè il danneggiato può limitarsi a provare l'esistenza del contratto e l'aggravamento della patologia. Nel caso in esame, la responsabilità di entrambe le strutture sanitarie deriva dal ritardo con il quale è stata diagnosticata la leishmaniosi viscerale, dalla conseguente erronea asportazione della milza e dalle terapie somministrate senza una corretta diagnosi, le quali avrebbero determinato l'insorgenza di malattie insussistenti al momento dell'ingresso in ospedale.
1.1. Il motivo non è fondato.
Pur volendo prescindere dal dato formale per cui la censura - benchè configurata in termini di violazione di legge - lamenta, nella sostanza, un vizio di motivazione, si rileva che la medesima, pur richiamando correttamente la giurisprudenza di questa Corte, non ne trae tuttavia le corrette conseguenze in rapporto al caso concreto.
Ed invero è esatto che questa Corte, sulla scia della note sentenze 30 ottobre 2001, n. 13533, e 11 gennaio 2008, n. 577, delle Sezioni Unite, ha affermato che in tema di responsabilità contrattuale del medico nei confronti del paziente per danni derivanti dall'esercizio di attività di carattere sanitario, il paziente ha il solo onere di dedurre qualificate inadempienze, in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, restando poi a carico del debitore convenuto l'onere di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno (così, più di recente, le sentenze 21 luglio 2011, n. 15993, e 26 febbraio 2013, n. 4792).
Tale orientamento giurisprudenziale - che va in questa sede ribadito - detta una regola in tema di onere della prova che fissa il limite oltre il quale "lo sforzo probatorio dell'attore non può spingersi" (così la sentenza n. 15993 del 2011); ma questa regola non necessita di ricevere applicazione qualora il giudice di merito sia pervenuto ad una ricostruzione del fatto che escluda, in termini di nesso di causalità, ogni collegamento tra il comportamento colposo dei sanitari e l'evento di danno successivamente determinatosi.
Nel caso in esame la Corte d'appello, con motivazione correttamente argomentata e priva di vizi logici, costruita facendo proprie le conclusioni dei consulenti tecnici all'uopo nominati, ha individuato una precisa responsabilità dei sanitari della ASL di Pescara in relazione alla decisione di procedere all'asportazione della milza in assenza di una certezza diagnostica a carico del paziente.
Allo stesso modo, però, ha escluso ogni collegamento causale tra la splenectomia e gli eventi che alla stessa hanno fatto seguito, in quanto "la sintomatologia poliviscerale presentata dal C. non rientra tra le complicanze della leishmaniosi viscerale, ma è costituita da patologie ad eziologia autonoma e comunque completamente indipendente dalla leishmania".
Si tratta, com'è agevole comprendere, di un accertamento di fatto che costituisce compito specifico del giudice di merito e che la Corte territoriale ha compiuto con il supporto dei consulenti tecnici; d'altra parte, anche in considerazione della rarità della malattia che ha colpito l'odierno ricorrente, non è pensabile che il giudice facesse a meno dell'apporto delle specifiche conoscenze che solo gli specialisti medici avrebbero potuto fornire (v., per spunti in argomento, le sentenze 22 febbraio 2006, n. 3881, e n. 4792 del 2013 cit.), sicchè non era necessario, per il giudice di merito, dare ulteriormente conto del perchè le conclusioni dei c.t.u. fossero state recepite.
Non è esatto, come si sostiene nel ricorso, che secondo la Corte d'appello il C. avrebbe dovuto fornire la prova del nesso di causalità tra il trattamento sanitario a lui praticato e l'insorgenza successiva di altre patologie; è vero, invece, come si è visto, che l'esistenza di tale nesso causale è stata positivamente esclusa, sicchè la relativa domanda risarcitoria non avrebbe potuto trovare accoglimento.
2. Con il ricorso incidentale la ASL di Pescara - dopo aver richiamato la particolare rarità della sindrome che ha colpito il ricorrente, per di più manifestatasi in modo tale da rendere impossibile una tempestiva diagnosi - rileva che una corretta diagnosi è stata possibile solo dopo l'asportazione della milza, sicchè nessun addebito potrebbe essere posto a carico dei medici della struttura pescarese. Nel caso specifico, quindi, essi dovrebbero rispondere solo per colpa grave, avendo compiuto tutti gli accertamenti necessari secondo la scienza medica.
2.1. Il motivo, ai limiti dell'inammissibilità, non è fondato.
Premesso che dal tenore complessivo del ricorso non è dato comprendere con esattezza quale sia il tipo di censura rivolta nei confronti della sentenza, sembra comunque potersi dedurre che si tratti di un vizio di motivazione. La parte, peraltro, sollecita questa Corte, in modo evidente, ad un nuovo esame delle prove, come risulta anche dal quesito formulato alla p. 9, dove si fa riferimento, tra l'altro, a valori diagnostici "sostanzialmente nella norma" e ad una "patologia definita rara dalla scienza medica". La risposta positiva al quesito richiederebbe, infatti, una nuova valutazione di merito anche ai fini di stabilire il grado della colpa, il che non è evidentemente consentito in sede di legittimità.
3. Il ricorso principale e quello incidentale, pertanto, sono entrambi respinti.
In considerazione della particolarità della vicenda, tuttavia, la Corte stima equo compensare integralmente le spese del giudizio di cassazione.
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