Appunti sparsi sulla crisi della giustizia (civile)
Grandi dibattiti su nomopoiesi e nomofilachia, common law e civil law. Ma al cittadino interessa qualcosa di tutto ciò? Un richiamo alla semplicità per le sfide del futuro.

Talvolta accadono dei fatti che mettono in crisi l’andazzo quotidiano, lo status quo, e diventano, nella loro stranezza, promotori di nuovi paradigmi, di salti qualitativi inaspettati. Se non altro, costituiscono sprono per vedere le cose da un punto di vista diverso.
Talvolta sono i bambini a lasciarci senza parole con domande di una logica ferrea, senza sfumature, a fronte delle quali l’adulto non può che soccombere.
Anche la giustizia può avere, talvolta, dei richiami puri ed ingenui al senso vero delle cose, e vorrei raccontare, in proposito, il contenuto di una telefonata di qualche tempo fa.
Tel: «Buongiorno avvocato, la chiamo perché ho letto un suo intervento in materia di distanze, che mi pareva molto approfondito, e forse lei è l’unico che possa farmi capire veramente come stanno le cose»
Avv: « Ah si, il tema delle distanze è da sempre molto dibattuto e le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con quella sentenza che lei ha visto ha messo si la parola fine alle oscillazioni della giurisprudenza, ma solamente su di un piccolo particolare della materia. In realtà le questioni aperte sono ancora parecchie. Ma cosa vorrebbe sapere di preciso, se posso?»
Tel: «Ho una questione … una causa aperta con un vicino. Si tratta di una costruzione che è stata eretta da mio padre qualche anno fa e il vicino ne chiede la demolizione. Secondo il mio avvocato è del tutto legittima ed abbiamo anche avuto regolare permesso di costruire ...»
Avv: «Lo sa che la presenza di un permesso a costruire non ha nulla a che vedere con le regole del codice civile e con la legittimità della costruzione sotto un profilo civilistico ...»
Tel: «Si, si, mi è stato detto. E’ scritto anche sugli atti dell’avvocato della controparte. Sa, viviamo la questione con una certa apprensione in casa, non ci piace avere una causa con un vicino e, in fin dei conti, se avesse anche ragione poco ci costerebbe eliminare quella piccola costruzione che viene poco usata quale capanno degli attrezzi. D’altra parte, però, perché rimuoverla se ho diritto a tenerla? Tant’è che ad un certo punto mi sono rivolto, per un parere di supporto, anche ad un altro avvocato il quale si è soffermato su così tanti particolari e mi ha fornito un parere così pieno di se e di ma che ne sono uscito con più confusione di prima. Ma chi è che ha ragione? La legge cosa dice? Lo posso tenere quel manufatto oppure no?»
Avv: «Insomma lei vorrebbe sapere fin da subito come andrà a finire la causa? Avere la sentenza prima del processo. Non le pare un po’ troppo?»
Tel: «Guardi, noi non vogliamo proprio niente, solamente sapere come comportarci. E’ che non riesco a farmi dire da nessuno se abbiamo torto o ragione ...»
Avv: «Ma proprio a questo servono i giudici e ...»
Tel: «Scusi avvocato, ma è mai possibile che devo attendere anni e anni, e sostenere spese incredibili solo per sapere se, secondo la legge, posso tenere una baracca oppure no? Cosa interessa a me del processo, non voglio avere ragione per forza. Vorrei solo una risposta secondo la legge. Ci sarà pure un ufficio, uno sportello che mi dia una risposta ufficiale. Tutti mi parlano di questa Cassazione, ecco, cosa dice lei ... potrei inoltrare lì una domanda?»
Avv: «...». Touchè!
Messo giù il telefono è sorto immediato e spontaneo il pensiero: “Ma questo ha ragione!!”
Demolito con un solo colpo da maestro un maestoso castello, una enorme costruzione, eretta sapientemente con dura fatica dai giuristi di ogni tempo: i giudici (“oscillazioni della giurisprudenza”), la legge (“cosa dice esattamente la legge, possibile che sia sempre interpretabile?”), gli avvocati (“non voglio avere ragione per forza … ”), il processo (“l’arena dove si svolge la battaglia. Ma se non si vuole dare battaglia ma “solo” essere nel giusto?”).
Mi ero trovato di fronte al punto di vista del cittadino, di colui a favore del quale tutto quel castello era stato costruito.
Se sapesse il cittadino le aspre critiche dei giuristi alle modalità costruttive della norma e all’impreparazione del legislatore; sapesse il cittadino quanti tomi scritti sulla funzione nomofilattica o nomopoietica della corte di legittimità; sapesse, e concludiamo solo per non dilungarci e non per mancanza di argomenti, le origini del principio di autonomia del magistrato che porta a sentenze opposte in primo e secondo grado (salvo poi ostacolare con filtri e cavilli la possibilità di un riesame della vicenda).
E la domanda sorge spontanea: ma tutto ciò è ancora attuale? Non sente forse il peso degli anni?
Se il cittadino non è più il villano ignorante che si rivolge al signorotto del castello o al cancelliere della funzione giurisprudenziale possiamo pensare che cominci a farsi delle domande e a non accettare che la “giustizia” sia un atto di imperio calato dall’alto.
Il cittadino moderno esige un provvedimento con una motivazione così soddisfacente e completa, senza eccezioni o variabili, che lo facciano sentire all’interno di un sistema condiviso. Una giustizia, un provvedimento di un tribunale, che il cittadino stesso possa condividere, e accettare anche se gli da torto, perché conforme a dei principi condivisi e facilmente spiegabili, magari mediante un breve studio su internet (o, utopia, spiegato direttamente dal giudice con parole semplici e amorevoli).
Può essere il diritto frutto di una battaglia (nomopoiesi)? Il diritto (civil law) deve venire prima del processo e non come una cosa tutta da scoprire in un secondo momento e, fra l’altro, un diritto non valido per tutti a seconda dell’esito del processo.
Ma proviamo anche ad immaginare che il diritto possa essere creato mediante una battaglia, che sia questo lo schema corretto (common law). In questo caso al cittadino coraggioso, che affronta le asperità di un lunghissimo processo per vedere creare il diritto, dovrebbero essere rivolti tutti gli onori del caso.
Al cittadino che ha dovuto fare tre gradi di giudizio per sentire affermare un nuovo principio di diritto gli vogliamo pagare le spese legali? In fin dei conti ha svolto il lavoro del legislatore, un lavoro utilissimo a tutti coloro che seguiranno temporalmente le sue vicende e che non dovranno (forse) più salire tutti i gradini del processo civile, facendo risparmiare tempo e danaro ad altri con-cittadini e allo Stato.
E, da altro canto, se qualcuno ha solo provato a far cambiare giurisprudenza, con molti validi motivi ma non ancora accolti lungo i tre gradi del giudizio, potrà essere ancora visto come un orrido intasatore delle aule di giustizia, da ostacolare con ogni genere di trucchetto (filtro) formale perché causa dei mali (ritardi) della giustizia? Non è quello, invece, l’eroe che permette la creazione di nuova giurisprudenza? Solo a titolo di esempio, quanti appelli e ricorsi in Corte di Cassazione e finanche in Corte Costituzionale sono stati respinti prima della liberatoria creazione dell’istituto del Danno Biologico, con sentenza n° 184 del 1986 della Corte Costituzionale? Deve pagare il singolo cittadino (o il suo avvocato) la funzione nomopoietica?
L’approccio statale al processo civile non solo è contraddittorio, preso fra opposte esigenze di giustizia, ordine pubblico e costi erariali, ma è anche, probabilmente, attempato.
In sostanza, in attesa che presso la Corte di Cassazione si apra lo sportello al cittadino (l’URP) ci si dovrà chiedere quale sia il senso profondo dell’aula di giustizia (civile, perché il settore penale va esaminato con un’ottica completamente diversa). Affidare tutto alla mediazione (alla quale pure vanno dati i meriti della modernità) non risolve completamente il quesito poiché in una qualche misura costituisce una dichiarazione di sconfitta da parte dello Stato, qualcosa che potrebbe risuonare come: “non so dirti caro cittadino se hai torto o ragione ma mettiti direttamente d’accordo con la tua controparte e vedrai che tutto andrà benissimo”.
Andiamo, infine, verso il superamento del concetto di diritto? Se così fosse, certo dobbiamo cominciare a pensare a che cosa venga dopo.
Avv. Luca Marco Rasia