Se si dissimula lo stato di insolvenza non è mero inadempimento

Insolvenza fraudolenta per chi, dissimulando il proprio stato d'insolvenza, ottenga un prestito da un terzo il quale confida nella restituzione in virtù di pregressi regolari pagamenti. Cassazione Penale n. 32055/2017

Se si dissimula lo stato di insolvenza non è mero inadempimento

La condotta di chi, dissimulando il proprio stato d'insolvenza, ottenga un prestito da un terzo il quale confida nella restituzione in virtù di pregressi regolari adempimenti - che non facciano parte di un preordinato piano truffaldino - configura l'ipotesi delittuosa dell'insolvenza fraudolenta. Cass Pen., Sez. I, 21/06/2017, n. 32055.

 

1. Introduzione. L'inadempimento tra rilevanza civilistica e financo penalistica.

In taluni casi un inadempimento civilistico può rilevare penalisticamente, in particolare venendo in rilievo alternativamente i delitti di truffa ex art. 640 cod. pen. e di insolvenza fraudolenta ex art. 641 cod. pen.. Ma, appunto, solo in taluni casi., Invero, se si guarda alla volontà dell'agente non sempre un inadempimento contrattuale costituisce un fatto penalmente rilevante.

Su tale questione interviene la Sezione I della Suprema Corte con la sentenza del 21 giugno 2017 n. 32055, in merito ad un inadempimento contrattuale, statuendo il principio di diritto che avrebbe dovuto applicarsi in sede di rinvio.

 

2. Il principio di diritto.

«Costituisce mero inadempimento di natura civilistica, l'inadempimento che non sia caratterizzato da alcuna volontà frodatoria da parte del debitore nel momento in cui assuma l'obbligazione. Ove, al contrario, sia sussistente una volontà frodatoria, è configurabile alternativamente, o il reato di truffa o quello di insolvenza fraudolenta che si distinguono perchè, nella truffa, la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell'agente. Di conseguenza, la condotta di chi, dissimulando il proprio stato d'insolvenza, ottenga un prestito da un terzo il quale confida nella restituzione in virtù di pregressi regolari adempimenti - che non facciano parte di un preordinato piano truffaldino - configura l'ipotesi delittuosa dell'insolvenza fraudolenta».

 

3. Il fatto.

Fra la persona offesa e l'imputato intercorreva un rapporto sia professionale che amicale di lunga data sulla cui base la persona offesa era solita prestare del denaro all'imputato, il quale era solito restituire le somme ricevute in prestito con lauti interessi.

Dopo un'interruzione dei rapporti, l'imputato aveva nuovamente proposto alla persona offesa un'operazione anloga a quelle concluse in passato, per cui la persona offesa prestava la somma di € 270.000 in quattro assegni da € 50.000, più uno da € 70.000, e l'imputato aveva consegnato in garanzia assegni di pari importo oltre interessi. Se non fosse che l'imputato non provvedeva alla restituzione del capitale ma solo degli interessi.

Tuttavia, l'imputato ai tempi della dazione delle somme era già coinvolto negli affari che lo avrebbero portato all'arresto per reati fiscali e successivamente alle relative condanne.

 

4. Il merito.

Ad avviso di entrambi i giudici di merito, la condotta dell'imputata configurava il reato di truffa, in quanto la prospettazione di una ordinaria operazione improntata sulle precedente andate a buon fine (artifizi e raggiri) ha creato nella nella persona offesa l'affidamento in ordine alla sicura restituzione del capitale (induzione in errore), determinandola quindi al prestito, mentre l'imputato era già al momento della recezione del denaro ben consapevole che mai avrebbe potuto restituire le somme (ingiusto profitto).

Per i giudici di merito, quindi, la piena consapevolezza dell'imputato in ordine all'impossibilità di una futura restituzione del denaro utilizzato per altro fine concretizzava la caratteristica fraudolenza nel carpire la fiducia della persona offesa ed indurla a consegnare le somme, cosa che distingue la fattispecie della truffa da quella dell'insolvenza fraudolenta.

 

5. La quaestio juris: truffa, insolvenza fraudolenta e mero inadempimento civilistico.

La questione sottoposta all'esame degli Ermellini è quella della differenza fra truffa, insolvenza fraudolenta e mero inadempimento civilistico.

La Suprema Corte pone un netto distinguio: si resta nell'ambito civilistico del mero inadempimento tutte le volte in cui a base dell'inadempimento non ci sia alcuna volontà frodatoria da parte del debitore nel momento in cui assuma l'obbligazione, mentre si rientra in ambito penalistico in tutti i casi in cui il debitore assume un'obbligazione con intento fraudolento e quindi con l'intenzione di non adempierla.

L'intento fraudolento tuttavia ricorre tanto nella truffa che nell'insolvenza fraudolente, con la differenza che nella truffa la frode è attuata mediante simulazione di circostanze e di condizioni non vere volte ad indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta la frode è attuata mediante dissimulazione del reale stato di insolvenza dell'agente.

Così argomenta la Suprema Corte nel solco della sentenza n. 16723/2015 e, soprattutto, della insuperata motivazione offerta dalle Ss.Un. con la sentenza n. 7738/1997, puntualmente richiamata, secondo cui «oggetto della tutela penale (sia nel caso della truffa che nel caso di insolvenza fraudolenta, n.d.r.) è l'interesse pubblico all'inviolabilità del patrimonio che lo Stato protegge a favore delle persone fisiche o giuridiche che compiano un atto dispositivo a causa di una frode contrattuale. L'insolvenza fraudolenta si distingue dalla truffa perchè la frode non viene attuata mediante i mezzi insidiosi dello artificio o del raggiro ma con un inganno rappresentato dello stato di insolvenza del debitore e della dissimulazione della sua esistenza finalizzato all'inadempimento dell'obbligazione (...) al momento della stipulazione, come giudizio di verosimiglianza, il creditore confida nella solvibilità del debitore (...). L'essenza della frode, nella previsione dell'art. 641 c.p., postula che il creditore confidi concretamente nell'adempimento da parte del debitore, ritenendo, per la natura dell'affare, per la condizione soggettiva della controparte o per la modesta entità economica del negozio o per la simultanea concorrenza di tali elementi, che questa sia solvibile. (...) Anche il silenzio, invero, consistente nel tenere il creditore all'oscuro dello stato di insolvenza può assumere rilievo a tal fine, quando tale condizione non sia manifesta all'altra parte contraente ed il silenzio su di essa sia legato al preordinato proposito di non adempiere alle obbligazioni assunte. (...) Va in proposito precisato che è proprio il comportamento silente dell'agente quello tipicamente idoneo a mantenere il soggetto passivo in errore poichè questo non è indotto dal primo ma è preesistente alla di lui condotta dissimulatoria in quanto provocato da circostanze obiettive atte a far sorgere un affidamento sulla solvibilità del debitore (....)».

 

6. Il decisum.

La Suprema Corte ritiene accertato in punto di fatto che l'imputato, nel momento in cui assunse l'obbligazione di restituzione della somma che la persona offesa gli aveva mutuato, non aveva intenzione di adempiere, circostanza che esclude la sola mera rilevanza civilistica dell'inadempimento.

Indi, applicando i principi individuati sul discrimen tra truffa e insolvenza fraudolenta, rileva che l'imputato non pose in essere alcun artifizio o raggiro per convincerla nel chiedere dei prestiti alla persona offesa, secondo la quale invece si trattava di uno dei soliti prestiti che l'imputato si era impegnato a restituire secondo le usuali modalità delle volte precedenti.

Pur riconoscendo che la prassi giudiziaria conosce una truffa ben consolidata che viene attuata attraverso una complessa attività ingannatoria che inizia con il creare un'apparenza di solidità finanziaria1, nel caso di specie la Suprema Corte ha ravvisato nella condotta dell'imputato solo l'intento frodatorio di non adempiere, in quanto l'inganno era consistito solo nella dissimulazione dello stato di insolvenza in cui versava, in violazione di norme comportamentali, e per effetto del quale, la persona offesa, confidando sugli adempimenti delle obbligazioni sorte precedentemente (motivo per cui i pregressi rapporti non possono rilevare quale pregresso piano truffaldino), acconsentì all'ulteriore operazione di finaziamento2.

Per tali ordini di ragioni la I Sezione ha riqualificato il fatto nel delitto di cui all'art. 641 cod. pen. statuendo il seguente principio: «Costituisce mero inadempimento di natura civilistica, l'inadempimento che non sia caratterizzato da alcuna volontà frodatoria da parte del debitore nel momento in cui assuma l'obbligazione. Ove, al contrario, sia sussistente una volontà frodatoria, è configurabile alternativamente, o il reato di truffa o quello di insolvenza fraudolenta che si distinguono perchè, nella truffa, la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell'agente. Di conseguenza, la condotta di chi, dissimulando il proprio stato d'insolvenza, ottenga un prestito da un terzo il quale confida nella restituzione in virtù di pregressi regolari adempimenti - che non facciano parte di un preordinato piano truffaldino configura l'ipotesi delittuosa dell'insolvenza fraudolenta».

 

Dott. Andrea Diamante

 

1A tal proposito, la Corte cita anche Cass. 24499/2015 secondo cui "il raggiro può essere integrato da una serie preordinata di acquisti successivi, dapprima per modesti importi regolarmente onorati, in modo da ingenerare nel venditore l'erroneo convincimento di trovarsi di fronte a un contraente solvibile e degno di credito, e poi per importi maggiori che non vengono invece pagati, purchè l'inadempimento degli obblighi contrattuali sia l'effetto di un precostituito proposito fraudolento - desumibile in base alle caratteristiche del fatto - come ad esempio la notevole differenza di importo tra i crediti onorati e quelli insoluti; nè l'eventuale mancanza di diligenza o di prudenza da parte della persona offesa è atta ad escludere la idoneità del mezzo, in quanto determinata dalla fiducia che l'agente ha saputo conquistarsi presso la controparte contrattuale". Ma non è questo che è avvenuto nel caso di specie, non essendo ipotizzabile (peraltro perchè neppure i giudici di merito hanno prospettato una tale soluzione) che l'imputato avesse programmato di truffare nel 2009/2010 la persona offesa, attuando, fin dal 2004, il piano truffaldino (conquistare la fiducia della persona offesa dimostrandosi adempiente, per poi, chiedere un prestito di elevato importo e non pagarlo).

2Si noti inoltre che, nonostante la considerevole somma di Euro 270.000,00 fosse stata corrisposta in cinque tranches nel corso di quasi un anno, la stessa persona offesa non ha mai riferito di artifizi e raggiri posti in essere durante questo lungo periodo di tempo, nè gli stessi giudici di merito nulla hanno motivato sul punto: il che significa che i prestiti venivano erogati dalla persona offesa senza una particolare condotta decettiva da parte dell'imputato.

 

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Di seguito il testo di
Corte Cassazione Sentenza n. 32055 del 21/06/2017:

 

RITENUTO IN FATTO

 

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