L'avvocato deve sempre comunicare al collega il subentro nell'assistenza

L'avvocato che subentra ad un collega nell'assistenza anche stragiudiziale ha l'obbligo di rendere nota con sollecitudine la propria nomina al collega sostituito. Consiglio Nazionale Forense sentenza 23/12/2017 n. 232

L'avvocato deve sempre comunicare al collega il subentro nell'assistenza

1. La massima e la norma

«L'avvocato che subentra ad un collega nell'assistenza, anche stragiudiziale, della parte, ha l'obbligo (derivante dai doveri di correttezza e lealtà) di rendere nota, con sollecitudine, anche per le vie brevi, la propria nomina al collega sostituito».

Principio ricavato dal combinato disposto di cui agli artt. 6, 22 e 23 del previgente Codice Deontologico e ricondotto all'art. 45 del Nuovo Codice Deontologico secondo cui «Nel caso di sostituzione di un collega per revoca dell’incarico o rinuncia, il nuovo difensore deve rendere nota la propria nomina al collega sostituito, adoperandosi, senza pregiudizio per l’attività difensiva, perché siano soddisfatte le legittime richieste per le prestazioni svolte».

 

2. Il fatto e la quaestio iuris

Il Consiglio dell'Ordine1 infliggeva ad un suo iscritto la sanzione disciplinare della censura per violazione dell'art. 33 del Codice Deontologico Forense vigente ratione temporis per mancata comunicazione ai precedenti difensori dell'incarico ricevuto dai loro assistite.

Il procedimento trova causa nell'esposto di tre colleghi che riferivano di aver assistito nel giudizio civile le controparti dell'assistito dell'avvocato censurato, il quale riceveva incarico professionale dalle controparti del giudizio pocanzi indicato per l'assistenza nella stipula di un atto di transazione con cui veniva definita la causa. L'avvocato censurato non dava ai colleghi esponenti alcuna preventiva comunicazione del ricevimento dell'incarico e non subordinava l'assunzione del mandato al pagamento del compenso dei precedenti difensori.

Si accertava che le revoche dei mandati ai difensori esponenti avvenivano solo con riferimento a due dei colleghe esponenti con l'invio di raccomandate inoltrate successivamente alla stipula dell'accordo transattivo.

Allorché l'avvocato ricorreva al Consiglio Nazionale Forense deducendo

- l'inapplicabilità dell'art. 33 Codice Deontologico in quanto la disposizione fa riferimento alla sostituzione di un collega integrata da una nuova nomina sopraggiunta nel corso del giudizio, mentre nel caso di specie non ricorreva alcuna nuova nomina nel giudizio poi transatto;

- l'inesistenza di una consapevole volontà di violare una norma deontologica;

- l'eccessiva gravosità della sanzione irrogata.

 

3. Il decisum

Il CNF ha rilevato che la lettera dell'art. 33 del Codice Deontologico vigente ratione temporis si riferisse esclusivamente alla “sostituzione di un collega nel corso del giudizio per revoca dell'incarico", mentre nel caso di specie è provato che il ricorrente non subentrò ai tre colleghi esponenti nel giudizio pendente, bensì li sostituì nella stipula della transazione con cui si definiva la controversia.

Secondo il Consiglio, tuttavia, ciò non aveva eliso la rilevanza della condotta tenuta dal ricorrente, costituente certamente un illecito deontologico con riferimento ad altri articoli del Codice Deontologico all'epoca vigente, vale a dire gli artt. 6, 22 e 23 recanti rispettivamente il principio di lealtà e correttezza nell'espletamento dell'attività professionale («l'avvocato deve svolgere la propria attività professionale con lealtà e correttezza»), il principio di correttezza e lealtà nei confronti dei colleghi («l'avvocato deve mantenere sempre nei confronti dei colleghi un comportamento ispirato a correttezza e lealtà») e il dovere di comunicare tempestivamente l'incarico di fiducia ricevuto dall'imputato al collega già nominato d'ufficio («il difensore che riceva l'incarico di fiducia dall'imputato é tenuto a comunicare tempestivamente con mezzi idonei al collega, già nominato d'ufficio, il mandato ricevuto»).

Un complesso di norme da cui si astrarrebbe la regola per cui «l'avvocato che subentra ad un collega nell'assistenza, anche stragiudiziale, della parte, ha l'obbligo (derivante dai doveri di correttezza e lealtà ) di rendere nota, con sollecitudine, anche per le vie brevi, la propria nomina al collega sostituito» e da cui discenderebbe la responsabilità disciplinare del ricorrente2.

A nulla vale l'asserita mancanza di consapevolezza, posto che «per l'imputabilità dell'infrazione disciplinare non è necessaria la consapevolezza dell'illegittimità dell'azione, dolo generico e specifico, ma è sufficiente la volontarietà con la quale è stato compiuto l'atto deontologicamente scorretto, a nulla rilevando la ritenuta sussistenza da parte del professionista di una causa di giustificazione o non punibilità»3.

Il Consiglio ha ritenuto di poter sussumere la condotta del ricorrente avvocato, «quantomeno in via analogica», nella previsione di cui all'art. 45 del nuovo Codice Deontologico il quale dispone che «nel caso di sostituzione di un collega per revoca dell'incarico... il nuovo difensore deve rendere nota la propria nomina al collega sostituito... ». Norma che peraltro sanziona l'illecito con il meno gravoso avvertimento, sanzione peraltro ritenuta congrua tenuto conto che non vi fu sostituzione nel giudizio bensì subentro ai colleghi nell'attività stragiudiziale.

Da ciò l'accoglimento della doglianza relativa all'eccessiva gravosità della sanzione, sulla scorta dell'arresto con cui le Sezioni Unite4 confermavano l'applicabilità del nuovo Codice Deontologico Forense ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore se recante norme più favorevoli per l'incolpato, in forza dell'art. 65, co. 5, L. 247/2012 che ha recepito il principio del favor rei in luogo del principio tempus regit actum.

 

Dott. Andrea Diamante
Cultore della materia in diritto processuale penale
presso l’Università degli Studi di Enna “Kore”

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1 Decisione del 3/10/13

2 A tal proposito, non rileva l'errato riferimento normativo effettuato dal Consiglio dell'Ordine, in quanto «la omessa o errata indicazione della norma specifica violata non è rilevante ai fini della validità dell'incolpazione e, quindi, del procedimento, qualora la contestazione disciplinare contenga una adeguata indicazione della condotta oggetto di addebito, tale da consentire il pieno esercizio del diritto di difesa da parte dell'incolpato». Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 58 del 14/3/2015.

3 Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 224 del 30/12/2013.

4 Sezioni unite, n. 11025 del 2014.

 

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Di seguito il testo di
Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 17 marzo 2016 – 23 dicembre 2017, n. 232

 

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

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