Il TFR in sede di divorzio può essere chiesto solamente prima della maturazione del diritto
Quali sono i principi che sovrintendono alla liquidazione della quota del 40 per cento del Trattamento di Fine Rapporto in sede di divorzio a favore del coniuge debole? Cassazione civile Ordinanza n° 7239/2018

La Corte di Cassazione civile con Ordinanza n° 7239 del 22 Marzo 2018 conferma il proprio orientamento giurisprudenziale secondo il quale in sede di divorzio può essere validamente chiesta una quota del Trattamento di Fine Rapporto ai sensi dell'art. 12 bis Legge Divorzio (L. 898/1970) solamente se la domanda viene proposta prima della maturazione del diritto al TFR.
Quando sussiste il diritto al TFR?
Secondo l'art. 12 bis:
1. Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'articolo 5, ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza.
2. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.
I criteri sostanziali, pertanto, per ottenere una quota di T.F.R. sono quelli ivi indicati, vale a dire:
1) avere ottenuto, in qualità di coniuge debole, un assegno di mantenimento in sede di divorzio (ex art. 5). Questo punto porta ad un corollario che fa scattare il seguente requisito:
1.1.) non deve essere stato chiuso il divorzio con un assegno divorzile una tantum;
2) il percipiente l'assegno non essere passato a nuove nozze (la qual cosa fa anche cessare l'assegno di cui al punto precedente secondo il comma 10 dell'art. 5);
Esiste, tuttavia, il criterio processuale sul quale si è soffermata l'ordinanza della Corte di Cassazione:
3) la domanda di partecipare alla quota del T.F.R. deve essere già stata formulata al momento in cui cessa il rapporto di lavoro e quindi il diritto alla corresponsione del Trattamento di Fine Rapporto. La Corte di Cassazione afferma: "l'espressione, contenuta nell' art. 12 bis della L. 1° dicembre 1970, n. 898 secondo cui il coniuge ha diritto alla quota del trattamento di fine rapporto anche se questo "viene a maturare dopo la sentenza" implichi che tale diritto deve ritenersi attribuibile anche ove il trattamento di fine rapporto sia maturato ... dopo la proposizione della relativa domanda". Il che significa che se il TFR è già stato percepito o il diritto ad acquisirlo è già stato maturato prima della proposizione della domanda di divorzio, la domanda di partecipazione alla quota del TFR deve essere respinta.
Quale quota di TFR può essere chiesta e ottenuta?
Il secondo comma dell'art. 12 bis della Legge 898/1970 esplicita che il diritto è della quota del 40%, ma non dell'intero ammontare del T.F.R. maturato, ma solamente di quella parte che fa riferimento al rapporto di lavoro durante l'esistenza del matrimonio, vale a dire che al coniuge divorziato spetta la quota corrispondente al 40% del TFR riferibile agli anni di matrimonio che hanno coinciso con il rapporto di lavoro.
Nonostante il dettato della norma lasci chiaramente intendere che il calcolo dovrà essere fatto in percentuale del 40% del TFR maturato proprio in quegli esatti stessi anni di corrispondenza fra lavoro e matrimonio, la Corte di Cassazione nelle proprie pronunce (Cass. 1348/2012) ha generalizzato il concetto proponendo che " ... in base al coordinamento tra il primo ed il secondo comma dell'articolo citato, che l'indennità dovuta deve computarsi calcolando il 40 per cento (percentuale prevista dal comma 2), dell'indennità totale percepita alla fine del rapporto di lavoro, con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro coincise con il rapporto matrimoniale; risultato che si ottiene dividendo l'indennità percepita per il numero degli anni di durata del rapporto di lavoro, moltiplicando il risultato per il numero degli anni in cui il rapporto di lavoro sia coinciso con il rapporto matrimoniale e calcolando il 40 per cento su tale importo".
Ciò non porta allo stesso risultato se si tenga conto che potrebbero esservi stati degli incrementi o decrementi retributivi che hanno fatto maturare il TFR in misura diversa per ogni anno di lavoro.
Naturalmente, ancora, il calcolo va effetuato sulle somme al netto di imposte.
Per quanto riguarda, infine, gli eventuali acconti di TFR già percepiti, la Corte di Cassazione (Cass. 24421/2013) ha specificato che "ai fini che qui rilevano, delle anticipazioni del TFR percepite dal coniuge durante la convivenza matrimoniale o la separazione personale, per essere quelle anticipazioni entrate nell'esclusiva disponibilità dell'avente diritto".
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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione civile Ordinanza n° 7239 del 22/03/2018
Rilevato che:
G.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Lecce n. 142 del 2016, depositata il 16 febbraio 2016, con la quale è stata accolta la domanda, avanzata dal controricorrente, allora appellante signor D. di Q., di rigetto della domanda di pagamento della quota di TFR dalla odierna ricorrente proposta ex art. 12 bis L. 898/1970; il signor D. di Q. ha replicato con controricorso;
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