Le Sezioni Unite su competenza e rito applicabile all'azione di recupero del compenso dell'avvocato

Le Sezioni Unite civili a 360 gradi sulla richiesta giudiziale di pagamento del compenso dell'avvocato. Rito, foro di competenza, fori alternativi, competenza territoriale e foro del consumatore. Cassazione Sentenza n. 4485/2018

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Le Sezioni Unite su competenza e rito applicabile all'azione di recupero del compenso dell'avvocato

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite civili con la estesa Sentenza n. 4485 depositata in data 23 febbraio 2018 ha affrontato la spinosa e controversa, nonché oggetto di orientamenti giurisprudenziali altalenanti, questione della competenza, anche territoriale, nonché del rito applicabile, dell'azione giudiziaria promossa dall'avvocato nei confronti del cliente per ottenere il pagamento dei suoi onorari.

In questa rivista abbiamo più volte affrontato la questione, e per tutti si veda "La complessa materia della competenza territoriale del recupero giudiziale del compenso avvocato ".

Riepilogando brevemente si dica che le problematiche scaturiscono dal coordinamento della procedura speciale prevista da una Legge del 1942 con i riti proponibili secondo il codice di procedura civile, a seguito della introduzione del D. Lgs. 150 del 1/9/2011 di riduzione e semplificazione dei riti di cognizione. Senza contare l'aggiunta della questione del foro competente del consumatore.

Le risposte date dalla giurisprudenza si sono modificate nel corso del tempo e l'attuale sentenza delle Sezioni Unite arriva come faro nel buio per far luce, finalmente, e possibilmente porre la parola fine alla sequela di domande e dubbi che si sono susseguite senza sosta e mai sopite.

La sentenza riepiloga in modo esaustivo le questioni che nel tempo sono state sollevate in merito alla quantità di riti ancora utilizzabili per la proposizione della domanda di condanna al pagamento delle competenze del legale e della relativa competenza territoriale. Il perché di queste domande scaturisce dal difficile coordinamento delle norme e a tal proposito si rimanda, senza creare duplicati, a quanto scritto nell'articolo di cui sopra abbiamo riportato il link e che può considerarsi prodromico alla presente lettura.

Veniamo qui alle risposte.

 

Se la procedura semplificata sia da adottare solo per la "liquidazione" del compenso.

L'utilizzo del termine "liquidazione" all'art. 14 del D.Lgs. 150/2011 aveva lasciato supporre che il rito semplificato fosse da utilizzare solamente nel giudizio ove si discuta della quantificazione della parcella ("quantum") e non anche del diritto al pagamento ("an"). Sicchè la contestazione del cliente genericamente riguardante la sussistenza del rapporto, la sollevazione di eccezione di prescrizione o la dichiarazione del già avvenuto pagamento (o altro del genere) procurava una immediata modifica del fondamento del rito semplificato.

La soluzione offerta dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite va in direzione opposta, e a ciò giunge attraverso una serie di confutazioni, talvolta forzatamente, per le quali si rimanda alla lettura della sentenza. E afferma: "Deve, dunque, affermarsi che la disciplina dell'art. 28 della Legge del 1942 e dell'art. 14 va intesa nel senso che la domanda inerente alla liquidazione cui allude la prima norma e che dice introducibile ai sensi dell'art. 14 non ha un oggetto limitato alla richiesta di liquidazione del dovuto nel presupposto dell'allegazione che la conclusione e lo svolgimento del rapporto siano incontestati e il bisogno di tutela giurisdizionale affermato con essa debba essere solo quello della determinazione del quantum dovuto. Al contrario, detto oggetto si deve identificare nella proposizione di una domanda di pagamento del corrispettivo della prestazione giudiziale senza quella limitazione e dunque anche in presenza di contestazione del rapporto e dell'an debeatur.".

 

Quante e quali le tipologie di introduzione domanda. L'opposizione al decreto ingiuntivo.

Rimangono due modalità di richiesta giudiziale del pagamento del compenso dell'avvocato: a) il ricorso per decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 633 e ss. del codice di procedura civile; b) il ricorso ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c. inquadrato nel giudizio di cui all'art. 14 del D.Lgd 150/2011, e quindi con le particolarità del caso. Non sono ammesse, invece, modalità usuali di proposizione della domanda di cognizione quali l'atto di citazione o il ricorso ex art. 702-bis c.p.c.

Per proporre opposizione al decreto ingiuntivo la forma della domanda sarà quella del ricorso ex art. 702-bis ma sempre nell'ambito delle peculiarità del giudizio ex art. 14 D.Lgs. 150/11. Afferma la Corte: "Ne discende che l'atto introduttivo del giudizio di opposizione si deve intendere regolato dall'art. 702-bis c.p.c. e così pure l'attività di costituzione dell'opposto. Peraltro, nel caso di introduzione dell'opposizione con la citazione, la congiunta applicazione del comma 1 del comma 4 del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, renderà l'errore privo di conseguenze".

Si pone anche il diverso caso della domanda riconvenzionale proposta dal resistente che ponga problemi di competenza. Oppure se la domanda del resistente debba essere verificata a cognizione piena e non sommaria, necessitandosi in tal modo di un cambio di rito rispetto al 702-bis c.p.c.. Secondo le SS.UU. "... il giudice del procedimento deve vagliare se la domanda del convenuto possa essere trattata con il rito sommario, cioè non richieda un'attività istruttoria non sommaria. In questo caso procederà alla trattazione congiunta con il rito sommario. In caso contrario, la disciplina del detto quarto comma impedisce di prospettare l'applicazione di quella dell'art. 40 c.p.c., commi 3 e 4 (che sopra si è ipotizzata nel vecchio regime) e la strada è obbligata. La trattazione della domanda introdotta dal cliente dovrà avvenire, previa separazione, con il rito ordinario a cognizione piena (ed eventualmente con un rito speciale a cognizione piena: si pensi alla deduzione del cliente dello svolgimento delle prestazioni nell'ambito di un rapporto di coordinazione continuativa e continuata o di lavoro, ammesso che ne sia possibile la configurazione in relazione al regime della professione). E, qualora la decisione sulla domanda separata sia pregiudiziale rispetto a quella della domanda di pagamento degli onorari, verrà in considerazione - ancorchè i processi restino davanti allo stesso giudice - l'art. 295 c.p.c.". Ugualmente si procederà alla sospensione del giudizio in caso di riconvenzionale proposta alla Corte d'Appello stante che tale domanda dovrà avere un percorso ordinario dotato dei diversi gradi del giudizio.

E ancora: "Ove la domanda introdotta dal cliente convenuto non appartenga alla competenza del giudice adito ai sensi dell'art. 14 c.p.c., verranno invece in rilievo - in aggiunta al problema del rito - le norme sulle modificazioni della competenza per ragioni di connessione, che eventualmente potranno comportare lo spostamento della competenza sulla domanda ai sensi dell'art. 14 (salvo il caso che il giudizio sia partito con il procedimento monitorio, in cui, secondo l'interpretazione ancora consolidata non è possibile lo spostamento della competenza sul giudizio di opposizione e occorrerà separare le cause)".

 

La competenza territoriale. Il foro del consumatore.

La possibilità di adire secondo le forme del procedimento per decreto ingiuntivo ai sensi degli artt. 633 c.p.c. e segg. lascia la particolare competenza dell'art. 637 ultimo comma. Scrivono le SS.UU.: "Ne deriva che l'operatività della competenza ai sensi dell'art. 637 c.p.c. (secondo tutte le ipotesi colà previste)".

Ricordiamo che secondo l'art. 637:

Per l'ingiunzione e' competente il giudice di pace o, in composizione monocratica, il tribunale che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria.
Per i crediti previsti nel n. 2 dell'articolo 633 e' competente anche l'ufficio giudiziario che ha deciso la causa alla quale il credito si riferisce.
Gli avvocati o i notai possono altresì proporre domanda d'ingiunzione contro i propri clienti al giudice competente per valore del luogo ove ha sede il consiglio dell'ordine al cui albo sono iscritti o il consiglio notarile dal quale dipendono.

La procedura prevista dall'art. 14 D.Lgs. 150/11 prevede, invece, che la competenza territoriale spetti all'ufficio giudiziario davanti al quale l'avvocato ha prestato la propria opera nel maturare le competenze il cui pagamento è ora richiesto.

Abbiamo, quindi, già due fori possibili, in funzione del rito utilizzato.

E se l'avvocato ha maturato le proprie competenze avanti a distinti fori e corti? E proprio il caso affrontato dalla Corte di Cassazione mostrava l'esempio di un avvocato che aveva prestato la propria opera avanti un Giudice di Pace, ad un Tribunale e Corte d'Appello.

Secondo le Sezioni Unite: "A norma del combinato disposto dell'art. 28 della legge del 1942 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, il ricorrente avrebbe potuto proporre tre distinte domande davanti a detti uffici ...".

Tuttavia è possibile il cumulo.

Secondo la Corte il combinato disposto dell'art. 28 della legge del 1942 e dell'art. 14, del D.Lgs. n. 150 del 2011, in uno all'art. 637 c.p.c. il ricorrente avrebbe potuto " a) proporre le domande in cumulo con il rito monitorio ai sensi dell'art. 637 c.c., comma 1 e, dunque, davanti al tribunale competente secondo le regole della cognizione ordinaria; b) proporle separatamente davanti all'ufficio di espletamento delle prestazioni ai sensi del secondo comma della stessa norma [art. 14]; c) proporle cumulativamente davanti al tribunale del luogo indicato dell'art. 637 c.p.c., comma 3".

Tutto ciò, tuttavia, si scontra con il foro speciale del consumatore. Qualora il cliente dell'avvocato sia qualificabile come consumatore, alla stregua della nozione indicata dal D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 3, comma 1, lett. a), si dovrà avere riguardo al foro previsto dall'art. 33, comma 2, lett. u) della stessa norma che le stesse Sezioni Unite considerano "prevalente": " ... conseguente operatività in via prevalente del foro di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, comma 2, lett. u)".

 

Le questioni rimesse alle SS.UU. e i principi di diritto affermati.

Le Sezioni Unite sono state chiamate ad esaminare le seguenti questioni:

a) accertare se, per effetto dell'entrata in vigore della normativa di cui al D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 14 e del trasferimento in essa del procedimento già disciplinato della L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 28-30, che poteva, in ipotesi, giustificarne la trattazione con quel procedimento la situazione quo ante riguardo ai procedimenti utilizzabili dall'avvocato per la tutela del credito le prestazioni indicate nella normativa del 1942, quale si presentava anteriormente, sia rimasta oppure no incisa e, in caso positivo, in che modo;

b) accertare se quel trasferimento sia stato realizzato dal legislatore lasciando inalterato la situazione giuridica che poteva essere azionata con il procedimento di cui alla legge del 1942, oppure, per il modo in cui si è realizzato, ne abbia comportato eventualmente un ampliamento ed eventualmente l'assunzione di forma di tutela esclusiva.

A soluzione della prima questione rimessa le SS.UU. affermano il seguente principio di diritto:

"A seguito dell'introduzione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, la controversia di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 28, come sostituito dal citato D.Lgs., può essere introdotta: a) o con un ricorso ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c., che dà luogo ad un procedimento sommario "speciale", disciplinato dal combinato disposto dell'art. 14 e degli artt. 3 e 4 del citato D.Lgs. e dunque dalle norme degli artt. 702-bis c.p.c. e segg., salve le deroghe previste dalle dette disposizioni del D.Lgs.; b) o con il procedimento per decreto ingiuntivo ai sensi degli artt. 633 c.p.c. e segg., l'opposizione avverso il quale si propone con ricorso ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c. e segg., ed è disciplinata come sub a), ferma restando l'applicazione delle norme speciali che dopo l'opposizione esprimono la permanenza della tutela privilegiata del creditore e segnatamente degli artt. 648, 649 e 653 c.p.c. (quest'ultimo da applicarsi in combinato disposto con dell'art. 14, u.c. e con il penultimo comma dell'art. 702-ter c.p.c.). Resta, invece, esclusa la possibilità di introdurre l'azione sia con il rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico, di cui agli artt. 702-bis c.p.c. e segg.".

 

A soluzione della seconda questione rimessa le SS.UU. affermano il seguente principio di diritto:

"La controversia di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 28, tanto se introdotta con ricorso ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c., quanto se introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo, ha ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell'avvocato tanto se prima della lite vi sia una contestazione sull'an debeatur quanto se non vi sia e, una volta introdotta, resta soggetta (nel secondo caso a seguito dell'opposizione) al rito indicato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, anche quando il cliente dell'avvocato non si limiti a sollevare contestazioni sulla quantificazione del credito alla stregua della tariffa, ma sollevi contestazioni in ordine all'esistenza del rapporto, alle prestazioni eseguite ed in genere riguardo all'an. Soltanto qualora il convenuto svolga una difesa che si articoli con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione, di accertamento con efficacia di giudicato di un rapporto pregiudicante), l'introduzione di una domanda ulteriore rispetto a quella originaria e la sua esorbitanza dal rito di cui all'art. 14 comporta - sempre che non si ponga anche un problema di spostamento della competenza per ragioni di connessione (da risolversi ai sensi delle disposizioni degli artt. 34, 35 e 36 c.p.c.) e, se è stata adita la corte di appello, il problema della soggezione della domanda del cliente alla competenza di un giudice di primo grado, che ne impone la rimessione ad esso - che, ai sensi dell'art. 702-ter c.p.c., comma 4, si debba dar corso alla trattazione di detta domanda con il rito sommario congiuntamente a quella ex art. 14, qualora anche la domanda introdotta dal cliente si presti ad un'istruzione sommaria, mentre, in caso contrario, si impone di separarne la trattazione e di procedervi con il rito per essa di regola previsto (non potendo trovare applicazione, per l'esistenza della norma speciale, la possibilità di unitaria trattazione con il rito ordinario sull'intero cumulo di cause ai sensi dell'art. 40 c.p.c., comma 3)".

 

 

[[ aggiornamento del 13/01/2020. Vedasi per il giudice di pace anche

"Recupero compenso avvocato avanti al Giudice di Pace e procedimento sommario" ]]

 

 

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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione a Sezioni Unite civili Sentenza n. 4485 del 23/02/2018


FATTI DI CAUSA

1. Nel dicembre del 2014 l'Avvocato P.D. adiva il Tribunale di Civitavecchia con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. e assumeva di avere svolto attività professionale giudiziale su incarico e per conto di A.L.: a) sia nel primo che nel secondo grado del giudizio di separazione personale fra la stessa ed il coniuge F.A., rispettivamente davanti al Tribunale di Roma ed alla Corte d'Appello di Roma; b) sia richiedendo ed ottenendo vari decreti ingiuntivi dal Giudice di Pace di Roma per somme dovute dal coniuge a titolo di assegno mensile di mantenimento per i figli ed a titolo di contribuzione in spese straordinarie. Adducendo di avere inutilmente chiesto alla L. di provvedere al saldo delle relative competenze professionali, ne chiedeva la condanna a corrispondergli la somma di Euro 23.095,55 oltre accessori, nonchè quella di Euro 1.832,92 a titolo di rimborso spese.

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