Diffamazione a mezzo stampa, diritto di cronaca e verità putativa
Fra diritto di critica e cronaca, quando la verità putativa non è sufficiente ad evitare l’integrazione del reato di diffamazione a mezzo stampa. Cassazione Civile Sentenza n. 27592/2019

Il fatto.
Una associazione che si batte per i diritti umani riportava nel proprio sito internet un articolo ove, utilizzando informazioni provenienti da comunicati della DIA, lasciava intendere che una determinata persona fosse legata, e facente parte, alla malavita organizzata, con allusioni alla formazione, inspiegata altrimenti, della ricchezza personale del soggetto, ed altro ancora.
La Corte d’appello riteneva, tuttavia, che l’articolo fosse espressione del diritto di critica, rispettoso della continenza verbale e, in particolare, che vi fosse in ogni caso la buona fede dell’autore, e quindi, la verità putativa dei fatti narrati, essendo i fatti tratti da fonte autorevole, vale a dire comunicati della DIA.
Il caso giunge alla Corte di Cassazione Civile che decide con Sentenza n. 27592 del 29/10/2019.
Il diritto alla reputazione e diritto di cronaca
La corte chiarisce che sempre deve esservi il giusto contemperamento dei contrapposti interessi delle parti, e ciò si raggiunge avendo riguardo a “ ... l'interesse pubblico alla diffusione della notizia o dell'opinione; la verità putativa dei fatti narrati; la continenza delle espressioni adottate. Rispettate queste tre condizioni, il diritto all'onore sarà sempre recessivo rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero”.
Ciò anticipato, tuttavia, ogni singolo elemento deve essere valutato.
L’esimente della verità “putativa”
Si parla di verità “putativa” qualora il giornalista sia convinto che la notizia diffusa sia concreta, corrispondente a verità.
Il rispetto della verità putativa, afferma la Corte “non può dirsi sussistente sol perché l'autore dello scritto che si assume offensivo abbia riferito una opinione altrui; né il rispetto della continenza verbale può dirsi sussistente sol perché il testo non contenga sconcezze”.
Ne consegue che affinché operi la suddetta scriminante si rende necessaria la presenza di due elementi, uno oggettivo e l'altro soggettivo. E, afferma la Corte, sotto il profilo oggettivo, è necessario che i fatti (poi rivelatisi) falsi fossero non manifestamente implausibili.
Mentre sotto il profilo soggettivo, è necessario che l'autore dello scritto abbia compiuto "ogni sforzo diligente", alla stregua della diligenza esigibile dal giornalista medio, secondo la previsione dell'art. 1176, comma 2, c.c., per accertare la verità di essi.
Continua la S.C. .
“Per stabilire se l'autore abbia diligentemente saggiato l'attendibilità della sua fonte di informazioni occorre avere riguardo a tutte le circostanze del caso, ed in particolare:
(a) la qualità della fonte di informazione del giornalista, giacché il dovere di verifica da parte di quest'ultimo sarà tanto meno accurato, quanto più autorevole sia la fonte dell'informazione;
(b) la diffusività del mezzo col quale viene veicolata l'informazione da parte del giornalista, giacché il suo dovere di controllo dovrà essere tanto più zelante, quanto maggiore sia la potenziale diffusività del mezzo d'informazione che intende adoperare”.
Quanto alla diffusività si afferma che i mzzi di comunicazione a diffusione potenzialmente universale ed incontrollabile, come la televisione e, a maggior ragione, il web, richiedono una diligenza di grado massimo nell'accertamento della verità putativa da parte dell’autore.
Cronaca da fonte giudiziaria
Afferma la S.C. che “il rispetto della verità putativa non può dirsi sussistente sol perché l'autore abbia riferito di fatti appresi da una fonte giudiziaria, poliziesca od amministrativa”.
Quando il giornalista ha in mano un provvedimento di una autorità giudiziaria, una sentenza, dovrà ancora avere delle accortezze e rispettare il principio di non colpevolezza. Così pure per un atto di indagine, per quanto proveniente da una fonte autorevole.
In questi casi la Corte elenca i seguenti oneri dell’autore:
(a) dare conto chiaramente che si tratta di fatti riferiti da terzi, e non di fatti direttamente noti al giornalista;
(b) non tacere altri fatti, di cui egli sia a conoscenza, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato, come ad esempio nel caso l'articolista taccia sul fatto che le indagini di cui si dà conto risalivano a molti anni addietro;
(c) non accompagnare i fatti riferiti con sollecitazioni emotive, sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore false rappresentazioni della realtà.
A conclusione la Corte esprime i seguenti principi di diritto:
"l'esimente della verità putativa dei fatti narrati, idonea ad escludere la responsabilità dell'autore d'uno scritto offensivo dell'altrui reputazione, sussiste solo a condizione che:
a) l'autore abbia compiuto ogni diligente accertamento per verificare la verosimiglianza dei fatti riferiti;
b) l'autore abbia dato conto con chiarezza e trasparenza della fonte da cui ha tratto le sue informazione, e del contesto in cui, in quella fonte, esse erano inserite;
c) l'autore non ha sottaciuto fatti collaterali idonei a privare di senso o modificare il senso dei fatti narrati;
d) l'autore, nel riferire fatti pur veri, non abbia usato toni allusivi, insinuanti, decettivi".
La sentenza in commento si allarga all’esame dell’elemento della continenza verbale, per il quale si rimanda alla lettura della sentenza.
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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione Civile Sez. III, Sentenza n. 27592 dep. 29/10/2019
FATTI DI CAUSA
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