Cannabis light: le motivazioni delle SS.UU. sulla cannabis sativa L.
Le motivazioni delle SS.UU. in merito alla illiceità della commercializzazione della c.d. cannabis lightg. SS.UU. Sentenza 30475/2019

Premessa: Circa il quesito di diritto di diritto posto alle Sezioni Unite, la normativa di riferimento e i contrastanti orientamenti di legittimità si rimanda all'articolo "È reato commercializzare la c.d. cannabis light" pubblicato su questa rivista.
Cannabis light: il principio enunciato dalle Sezioni Unite
«La commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell'ambito di applicabilità della L. n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell'art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati, sicchè la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dalla L. n. 242 del 2016, art. 4, commi 5 e 7, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività».
Cannabis light: problemi (apparenti) di coordinamento tra L. 242/2016 e T.U. stupefacienti
Secondo le Sezioni Unite, la disciplina introdotta dalla L. 242/2016 «pone effettivamente il problema di coordinare le nuove disposizioni con quelle contenute nel Testo Unico in materia di sostanza stupefacenti», in quanto tale disciplina promuove la coltivazione di piante che rientrano, prima facie, tra quelle la cui coltivazione è vietata. Tuttavia, le stesse Sezioni Unite ritengono che si tratta di un nodo interpretativo che può essere risolto con i normali criteri ermeneutici, che non richiede di sollevare alcun incidente di costituzionalità, ferma la possibilità per il Legislatore di intervenire e disciplinare diversamente la commercializzazione dei derivati della "cannabis sativa L.", nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali.
Cannabis sativa L. e T.U. stupefacienti: indiscriminato riferimento alla cannabis
Il Testo Unico stupefacienti è strutturato secondo il sistema tabellare, per cui è vietata la produzione e la circolazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope solo se indicate nelle Tabelle allegate al T.U. stupefacienti1. Vige una nozione legale di stupefacente, quindi è vietata la circolazione solo delle sostanze specificamente indicate negli elenchi predisposti con atti di natura amministrativa in attuazione delle direttive espresse dalla disciplina legale (norma penale in bianco)2.
Il D.L. 36/2014 ha riformato la disciplina a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014.
L'art. 14 T.U. stupefacienti stabilisce che nella tabella II sia indicata «la cannabis e i prodotti da essa ottenuti», senza effettuare alcuna distinzione rispetto alle diverse varietà. Tale tabella include tra le sostanze vietate «Cannabis (foglie e inflorescenze), Cannabis (olio), Cannabis (resina)», e le preparazioni contenenti dette sostanze senza effettuare alcun riferimento alla percentuale di THC. L'art. 26 T.U. stupefacienti, poi, vieta nel territorio dello Stato la coltivazione delle piante comprese nelle tabelle I e II «ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli indicati dall'art. 27, consentiti dalla normativa dell'Unione Europea». Infine, l'art. 73 T.U. stupefacienti incrimina anche la coltivazione di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella II.
Da tali disposizioni si evidenzia la precisa volontà del Legislatore del 2014 di qualificare la cannabis in ogni sua varietà quale sostanza stupefacente, posto che in sede di conversione è venuta meno anche la qualificazione "indica" che accompagnava la cannabis nel decreto legge.
L'art. 14 T.U. stupefacienti richiama anche le sostanze ottenute in via di sintesi, riconducibili per effetto farmaco-tossicologico al tetraidrocannabinolo, e la tabella I comprende, conseguentemente, anche il Delta-8- tetraidrocannabinolo ed il Delta-9- tetraidrocannabinolo. Il Legislatore ha quindi inserito tra le sostanze stupefacenti detti preparati non provenienti dalla produzione di canapa ma contenenti un principio attivo che per struttura ed effetti psicotropi risultano assimilabili al THC.
Pertanto, la coltivazione della cannabis e la commercializzazione dei prodotti da essa ottenuti, in assenza di alcun valore soglia preventivamente individuato dal Legislatore rispetto alla percentuale di THC, rientrano nell'ambito dell'art. 73, commi 1 e 4, T.U. stupefacienti. Il legislatore del 2014 ha espressamente previsto una sola eccezione all'art. 26 T.U. stupefacienti, relativa alla «canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all'art. 27, consentiti dalla normativa dell'Unione Europea», entro cui si inscrive la disciplina del 2016 che promuove la coltivazione della filiera agroindustriale della canapa.
Cannabis sativa L.: tassatività degli usi indicati dalla L. 242/2016
La L. 242/2016 recante "Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa" reca, appunto, norme per il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera della canapa (cannabis sativa L.), quale coltura in grado di contribuire alla riduzione dell'impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita di biodiversità, nonchè come coltura da impiegare quale possibile sostituto di colture eccedentarie e come coltura da rotazione.
La L. 242/2016 si colloca, per finalità e ratio (per cui si rimanda al già citato "È reato commercializzare la c.d. cannabis light" pubblicato su questa rivista, nell'alveo del settore merceologico, per cui la coltivazione industriale di cannabis sativa L. rientra tra le coltivazioni di canapa per la produzione di fibre o di altri usi industriali, diversi da quelli farmaceutici, per le quali non opera il divieto di coltivazione di cui al T.U. stupefacienti. Così, in forza dell'art. 1 secondo cui «non rientrano nell'ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza».
Il legislatore del 2016 ha disciplinato lo specifico settore dell'attività della coltivazione industriale di canapa, funzionale esclusivamente alla produzione di fibre o altri usi consentiti dalla normativa dell'Unione Europea, attività che non è attinta dal generale divieto di coltivazione di cui al T.U. stupefacienti. Da cui la natura tassativa delle sette categorie di prodotti elencate dall'art. 2 L. 242/2016 che possono essere ottenuti dalla coltivazione agroindustriale di cannabis sativa L. (si rimanda al già citato "È reato commercializzare la c.d. cannabis light" pubblicato su questa rivista.
Da ciò la condivisione da parte delle Sezioni Unite dell'orientamento nomofilattico che sostiene la liceità della sola coltivazione della cannabis sativa L. per le finalità espresse e tassativamente indicate dalla L. 242/2016, quindi l'illiceità della commercializzazione dei derivati della predetta coltivazione in quanto rilevante secondo il T.U. stupefacienti3.
Cannabis sativa L.: il riferimento della L. 242/2016 agli "alimenti"
Le Sezioni Unite si soffermano sul riferimento agli "alimenti" contenuto nella L. 242/2016. La legge non consente la produzione di foglie o inflorescenze, quindi risulta escluso che il Legislatore, richiamando la produzione di alimenti, abbia fatto riferimento alla assunzione umana di tali derivati.
La L. 242/2016 stabilisce che, con successivo decreto del Ministro della salute, siano definiti i livelli massimi dei meri "residui" di THC ammessi negli alimenti ottenuti dalla canapa (art. 5, L. n. 242, cit.) e il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali promuove il riconoscimento di un sistema di qualità alimentare per i prodotti derivati dalla canapa ai sensi dell'art. 16 Regolamento U.E. 1305/2013 (art. 9 L. 242/2016).
Tutto ciò vale a corroborare la tesi della tassatività del catalogo dei prodotti che è possibile ottenere dalla coltivazione della cannabis sativa L.
Cannabis: la offensività in concreto
Ogni condotta di cessione o di commercializzazione di categorie di prodotti ricavati dalla coltivazione agroindustriale della cannabis sativa L. diversi da quelli tassativamente indicati dalla L. 242/2016 integra una attività illecita rilevante agli effetti del T.U. stupefacienti, con riferimento all'art. 73, commi 1 e 4.
Non assume alcuna rilevanza il mancato superamento delle percentuali di THC di cui alla L. 242/2016, atteso che tali valori riguardano esclusivamente il contenuto consentito di THC presente nella coltivazione nell'ambito della specifica attività di coltivazione agroindustriale della canapa per gli usi consentiti e non anche nei derivati,. La tabella II richiama testualmente tali derivati della cannabis, senza effettuare alcun riferimento alle concentrazioni di THC presenti nel prodotto. D'altronde, la norma incriminatrice riguarda la commercializzazione dei derivati della coltivazione - foglie, inflorescenze, olio e resina - ove si concentra il tetraidrocannabinolo.
Rispetto al reato di cui all'art. 73 T.U. stupefacienti non rileva il superamento della dose media giornaliera ma la circostanza che la sostanza ceduta abbia effetto drogante per la singola assunzione dello stupefacente4. Con riferimento all'eventuale inoffensività della c.d. coltivazione domestica di cannabis, è indispensabile che il giudice di merito verifichi la concreta offensività della condotta, riferita alla idoneità della sostanza a produrre un effetto drogante5. Anche la Corte Costituzionale ha ribadito la validità del canone ermeneutico fondato sul principio di offensività, operante anche sul piano concreto, nel momento in cui il giudice procede alla verifica della rilevanza penale di una determinata condotta6. Ciò che occorre verificare, dunque, non è la percentuale di principio attivo contenuto nella sostanza ceduta, bensì l'idoneità della medesima sostanza a produrre, in concreto, un effetto drogante7.
Secondo le Sezioni Unite si tratta di «coordinate interpretative di certo rilievo, nella materia in esame, posto che la cessione illecita riguarda inflorescenze e altri derivati ottenuti dalla coltivazione della richiamata varietà di canapa, che si caratterizza per il basso contenuto di THC». Per tal ragione, ferma l'illiceità dell'offerta e della distribuzione e messa in vendita dei derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., si impone l'effettuazione della puntuale verifica della concreta offensività delle singole condotte, rispetto all'attitudine delle sostanze a produrre effetti psicotropi.
Avv. Andrea Diamante
Cultore della materia in diritto processuale penale
presso l’Università degli Studi di Enna “Kore”
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1 cfr. Sez. 4, n. 27771 del 14 aprile 2011, Cardoni, Rv. 25069301.
2 Sez. U, n. 29316 del 26/02/2015, De Costanzo, Rv. 264263.
3 Sez. 6, n. 56737 del 27/11/2018, Ricci.
4 Sez. U, n. 47472 del 29/11/2007, Di Rocco, Rv. 237856.
5 Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239920.
6 Corte Cost., sent n. 109 del 2016.
7 Sez. 4, n. 4324 del 27/10/2015, dep. 2016, Mele, Rv. 265976; si veda anche: Sez. 3, n. 47670 del 09/10/2014, Aiman, Rv. 261160; Sez. 6, n. 8393 del 22/01/2013, Cecconi, Rv. 25485701.
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Di seguito il testo di
Corte di Cassazione, Sezioni Unite penali, Sentenza n. 30475 dep. 10/07/2019
Svolgimento del processo
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