Estorsione e conseguenze sul contratto di compravendita avente volontà viziata

Reato di estorsione e validità del contratto conseguente. Nullità, annullabilità. Differenze fra reato contratto e reato di contratto. Cassazione Civile Sentenza n. 17959/2020

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Estorsione e conseguenze sul contratto di compravendita avente volontà viziata

Il fatto.

Tizia, trovandosi in una situazione debitoria per debiti di gioco, decide di chiedere danaro a Caio, il quale presta quanto necessario con interessi usurai. Caio, stante l’inadempienza di Tizia nella restituzione del debito, passa alle minacce fino a convincere Tizia a trasferire a favore della moglie e del figlio di Caio un immobile, infine regolarmente trasferito con atto notarile.

Dalla vicenda scaturisce un procedimento penale che si conclude con sentenza di condanna per Caio per il delitto di estorsione. Nel procedimento penale era emerso che la vendita era avvenuta senza il pagamento di alcun corrispettivo e che vi era il contestuale accordo di retrovendita subordinato alla restituzione delle somme ricevute in prestito agli interessi usurari.

Tizia, a questo punto, chiede al tribunale di dichiarare nullo il contratto di compravendita, poiché in contrasto con norme imperative (perché frutto di estorsione) e per contrasto con il divieto del patto commissorio.

Il tribunale accoglieva in toto le domande. Tuttavia la Corte d’Appello riteneva il negozio semplicemente annullabile e non nullo, non potendosi ritenere sussistente una coartazione assoluta della volontà di Tizia. La nullità non sarebbe potuta derivare neanche dalla illiceità quale conseguenza della sanzione penale conseguente alla condanna di Caio per estorsione derivandone pur sempre l'annullabilità del contratto.

La Corte d’appello non ravvede neppure alcuna violazione al divieto del patto commissorio 1

Sul caso decide la Corte di Cassazione Civile con Sentenza n. 17959 depositata in data 27 agosto 2020.

 

“Reato-contratto” e “reato in contratto”

La Corte d'Appello aveva escluso la sussistenza della nullità del contratto poiché la coartazione della volontà nel caso di specie non era stata tale da determinare una completa assenza di volontà negoziale.

Tale asserzione viene bollata come errata dalla Corte di Cassazione, la quale, tuttavia, da atto dei diversi indirizzi dottrinali sul punto.

Nella ricostruzione della vicenda giuridica la S.C. afferma: “Tradizionalmente quando il negozio si è concluso commettendo un reato, si usa distinguere l'ipotesi dei reati commessi nell'attività di conclusione di un contratto, cioè dei c.d. "reati in contratto", e l'ipotesi dei reati che consistono nel concludere un determinato contratto, in sé vietato, cioè dei c.d. "reati contratto"”.

E specifica: “nel caso in cui la norma incriminatrice penale vieti proprio la stipulazione del contratto, in ragione dell'assetto degli interessi che esso mira a realizzare, si è al cospetto del c.d. "reato-contratto" (es. la vendita di sostanze stupefacenti; ...); allorché, al contrario, la norma penale sanzioni la condotta posta in essere da uno dei contraenti in danno dell'altro nella fase della stipulazione, rileva la categoria concettuale del c.d. "reato in contratto"”.

 

Coartazione della volontà. Al reato in contratto consegue annullamento o nullità del contratto?

Nel caso di specie si trattava evidentemente di azioni tendenti a coartare la volontà al fine di produrre un contratto previsto dalla legge, astrattamente legittimo.

La Corte di Cassazione ricorda che la giurisprudenza di legittimità ha elaborato per questa tipologia di reati due distinti criteri per giudicare dell'invalidità del negozio concluso.

Secondo il primo, di natura sostanziale, si dovrà valutare la natura della norma penale violata, se si tratti di norma imperativa di ordine pubblico o comunque di rilevanza pubblica, perché posta a tutela di un interesse generale. In tale caso il contratto che la viola si ritiene affetto da nullità perché in contrasto col primo comma dell'art. 1418 cod. civ..

Per il secondo criterio, di natura formale, dovrà verificarsi la natura del vizio introdotto nel contratto a seguito della consumazione del reato, e i possibili rimedi di tipo civilistico, secondo la rilevanza che la condotta vietata assume in questo ambito. Se la condotta del contraente – pur costituente reato – comporti soltanto un vizio del consenso della controparte, il contratto si ritiene affetto da annullabilità e non da nullità.

 

La Corte di Cassazione cita precedenti secondo i quali per il reato di truffa si è ritenuto il contratto semplicemente annullabile mentre per la circonvenzione di incapace il contratto scaturito è stato dichiarato nullo.

Ciò in coerenza con il dettato dell’art. 1418 c.c.

 

Nullità del contratto scaturito da estorsione

Ricorda la Corte che “secondo il consolidato indirizzo … nel reato di estorsione l'oggetto della tutela giuridica è costituito dal duplice interesse pubblico della inviolabilità del patrimonio e della libertà personale”.

Il delitto di estorsione, ancora ricorda la S.C., è considerato di estremo allarme sociale per la sua diffusione sul territorio e per la sua nefasta incidenza sul tessuto economico della collettività.

Da ciò ne deriva che la “fattispecie penale del delitto di estorsione è posta indiscutibilmente a tutela di interessi non soltanto di tipo patrimoniale, ma anche di diritti inviolabili della persona, quali appunto la libertà personale, e di interessi generali della collettività”.

Viene conseguentemente in rilievo la portata della norma, da valutarsi di tipo imperativo: “Il contratto concluso per mezzo di una condotta estorsiva, pertanto, è stipulato in violazione di norme imperative e, pur in assenza di una sanzione esplicita, è nullo per lesione dell'interesse generale di ordine pubblico tutelato dalla norma violata”.

 

E quanto al dubbio se tale nullità possa incidere sulle posizioni dei terzi acquirenti (nel caso di specie non era l’estortore ad avere acquisito l’immobile ma il proprio figlio e moglie) i quali potrebbero invocare la propria buona fede nell’acquisto, la Corte afferma: “ a nulla rileva il fatto che il contratto prevedesse come acquirenti fittizi il coniuge e il figlio dell'estortore perché, la nullità del negozio per violazione di una norma imperativa quale quella di cui all'art.629 c.p. ha valenza assoluta … In altri termini, la sanzione (nullità) colpisce l'intero negozio ed opera erga omnes, vale a dire nei confronti di tutti i soggetti del rapporto senza che alcuno di essi, richiamando posizioni personali (di presunta buona fede) o soggettive differenziate (di non partecipazione all'altrui attività delittuosa), possa giovarsi della situazione creatasi in dispregio del precetto legislativo. L'illiceità del contratto esclude che possano venire in rilievo gli aspetti psicologici (motivi) e pertanto rende irrilevanti le singole posizioni soggettive (nello stesso senso vedi Cass. n. 1657 del 1996)”.

 

 

La Corte di Cassazione conclude affermando il seguente principio di diritto:

«Il contratto stipulato per effetto diretto del reato di estorsione è nullo, ai sensi dell'art. 1418 c.c., per contrasto con norma imperativa, dovendosi ravvisare una violazione di disposizioni di ordine pubblico in ragione delle esigenze d'interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sull'annullabilità dei contratti».

 

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1 - Sulla differenza fra patto commissorio, diritto di riscatto nella compravendita e patto marciano vedasi “La Cassazione su Patto Marciano e Patto Commissorio nella compravendita di immobile

 

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Di seguito il testo di

Corte di Cassazione Civile Sez. II, Sentenza n. 17959 dep. 27/08/2020

 

FATTI DI CAUSA

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