L'avvocato può esercitare anche senza studio. Niente obbligo di rimozione barriere architettoniche

Lo studio legale non è luogo pubblico o aperto al pubblico e l'avvocato può avere un semplice recapito per esercitare. Nessun obbligo di eliminazione delle barriere architettoniche. Consiglio di Stato Sentenza n. 653/2021

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L'avvocato può esercitare anche senza studio. Niente obbligo di rimozione barriere architettoniche

Il fatto.

Un Comune italiano, inserendo nel proprio regolamento edilizio nuova normativa per l’eliminazione delle barriere architettoniche introduceva il seguente articolo: “Oltre agli edifici pubblici, sono da considerarsi aperti al pubblico… f) studi professionali, quando il professionista sia legato da convenzione pubblica e/o ad una funzione istituzionale in forza della quale riceva un pubblico indistinto (come a titolo esemplificativo notai, commercialisti abilitati a trasmettere denunce dei redditi, centri assistenza fiscale, avvocati iscritti nell’elenco difensori d’ufficio e al gratuito patrocinio, medici e pediatri convenzionati); … ”.

Ne conseguiva una querelle riguardante la necessibilità per l’avvocato iscritto nell’elenco dei difensori d’ufficio di dover modificare il proprio studio con l’eliminazione delle barriere architettoniche.

Svolta una impugnativa al TAR del Regolamento edilizio, il caso viene affrontato dal Consiglio di Stato con Sentenza n. 653 depositata in data 21 gennaio 2021.

 

L’avvocato può esercitare la professione avendo solo un recapito

Il Consiglio di Stato ricorda che “né la legge professionale 31 dicembre 2012 n. 247, in particolare l’art. 7 di essa, relativo al “domicilio”, né il codice deontologico forense obbligano l’avvocato, per esercitare la sua professione, ad avere la disponibilità di un ufficio a ciò dedicato”.

Se vogliamo considerare anche il Decreto del Ministero della Giustizia n. 47 del 2016 1, vale a dire il Regolamento per l'accertamento dell'esercizio della professione forense che stabilisce quali siano gli elementi essenziali per la qualifica di esercente la professione legale, ivi si parla uso di locali e di almeno un'utenza telefonica destinati allo svolgimento dell'attività professionale.

L’avvocato, secondo tale Decreto Ministeriale (non considerato, in verità, dal CdS) deve quindi avere a disposizione l’uso di un locale.

Secondo il Consiglio di Stato, tuttavia, la Legge Professionale Forense “prevede solo che egli abbia un “domicilio”, ovvero in termini semplici un recapito ove essere reperibile e ricevere gli atti, ma non vieta che esso, al limite, coincida con la propria abitazione”.

Difficile conciliare il dettato normativo del D.M. 47/2016 con il punto di vista ora espresso dal Consiglio di Stato, ma proviamoci.

L’art. 2 comma 2 lettera b) del D.M. 47/2016 recita :

La professione forense e' esercitata in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente quando l'avvocato;
...
b) ha l'uso di locali e di almeno un'utenza telefonica destinati allo svolgimento dell'attivita' professionale, anche in associazione professionale, societa' professionale o in associazione di studio con altri colleghi o anche presso altro avvocato ovvero in condivisione con altri avvocati;
...

Il numero di telefono potrà essere quello dell’abitazione (senza contare che l'utenza telefonica destinata allo svolgimento dell'attività professionale potrebbe essere anche un numero mobile) e il locale potrà essere una stanza di casa o un recapito fisico (stanza) della quale, tuttavia, il professionista dovrebbe avere l’uso, anche in condivisione. Quanto “uso” non si dice, lasciando spazio al considerare regolare per l’avvocato l’uso di un recapito anche saltuario.

Almeno questa è la primaria via interpretativa che ci consegna il Consiglio di Stato con questo provvedimento. Tanto che arriva ad affermare: “Pertanto, l’apertura di uno studio come comunemente inteso rientra nella libera scelta del professionista”, e non, quindi, un obbligo di legge.

 

Lo studio legale non è luogo pubblico o aperto al pubblico

Parte ricorrente aveva contestato che lo studio dell’avvocato fosse da considerarsi luogo pubblico o aperto al pubblico.

Il Consiglio di Stato accoglie il rilievo e richiama la “costante giurisprudenza penale, secondo la quale commette il reato di violazione di domicilio previsto dall’art. 614 c.p. chi acceda allo studio di un avvocato, o vi si trattenga, contro la volontà del titolare: per tutte, da ultimo, Cass. pen., sez. V, 18 aprile - 26 luglio 2018 n. 35767”.

 

Ne deriva che la disciplina delle barriere architettoniche non si applica allo studio dell’avvocato tout court, né è possibile una interpretazione estensiva del concetto di luogo aperto al pubblico.

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Di seguito il testo di

Consiglio di Stato Sentenza n. 653 dep. il 21/01/2021

 


FATTO e DIRITTO

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