Il nuovo Ministro della Giustizia Marta Cartabia. Cosa possiamo aspettarci?

La nomina del nuovo Ministro della Giustizia nella persona della Pres. Marta Cartabia è un cambio di passo rispetto al passato. Cosa possiamo aspettarci?

Il nuovo Ministro della Giustizia Marta Cartabia. Cosa possiamo aspettarci?

Il curriculum del nuovo Ministro della Giustizia è simile (mutatis mutandis) a quello del nuovo Presidente del Consiglio: ampio, strutturato, di carattere internazionale, da far impallidire rispetto a quello della media dei predecessori.

Un’idea la si può avere leggendo la pagina dedicata di Wikipedia. Citiamo solo che è stata la prima donna a ricoprire la carica di Presidente della Corte Costituzionale, tra i fondatori e co-direttrice dell’ Italian Journal of Public Law, la prima rivista giuridica italiana interamente in lingua inglese, e che da questo gennaio è co-direttrice della rivista de il Mulino, Quaderni costituzionali.

Ma la cosa che più balza all’occhio è la discontinuità con il predecessore non solo per il curriculum, non solo per i tanto vituperati, nei social, inciampi di stile e preparazione di quest’ultimo (“Se non si dimostra il dolo, il reato è colposo”, “gli innocenti non finiscono in carcere”, senza contare quel brutto affare del rilascio dei detenuti ex 41 bis , l’affare Di Matteo, ecc.) quanto sulla filosofia di fondo, sul pensiero che concretizza il concetto di giustizia (e, si pensa, di riflesso, di gestione della giustizia).

Il ministro e avvocato Bonafede è stato espressione della filosofia grillina della giustizia; filosofia improntata al giustizialismo, dove la difesa cede il passo al Pubblico Ministero, dove il sistema accusatorio si inchina all’inquisitorio. Massima espressione pubblica di tale visione è stata incardinata dal dott. Davigo.

La Pres. Cartabia pare essere di un altro mondo, non opposto, semplicemente diverso.

E’ tuttavia una continuità rispetto alla visione degli ultimi due Presidenti della Repubblica se è vero che vanta un solido rapporto con Sergio Mattarella e che l’entourage formativo rientra nelle amicizie del Pres. Napolitano.

Certo voglio far notare una cosa non da poco. Fra tutti i ministri neo-nominati non si può non notare come alla giustizia sia stato dato un rilievo inusuale, attraverso la nomina di un nuovo ministro di alto spessore formativo e culturale. Se cerco di far mente locale sul passato, è sicuro che il ministro Orlando ha cercato di lavorare con serietà e metodo (di ciò va dato merito oltre che per l’avvio del PCT) e il ministro Severino ha dato una scossa attraverso la riforma della geografia giudiziaria; quanto al resto si può dire che i rimanenti ministri della giustizia degli ultimi trentanni hanno gestito l’ordinarietà.

Non sempre, quindi, al settore giustizia viene riservato un occhio di riguardo. Pare che questa sia la volta buona.

Cosa aspettaci?

E’ notorio che l’ambito è quello della visione europeista: tutti i ministri più importanti puntano su quell’orizzonte. Quello della giustizia, si può dire, anche.

E’, altresì, notorio che nell’agenda Next Generation europea (i fondi che arriveranno per la ricostruzione dell’Europa), per l’Italia si prevedono incentivi per la soluzione dell’annoso problema dei tempi della giustizia civile.

Se già nel 2011 lo stesso Mario Draghi, ora Presidente del Consiglio, andava affermando che i ritardi della giustizia civile valgono un punto di PIL all’anno, il c.d. Piano Colao Italia 2020-2022, si esprime con queste parole: “La riforma della giustizia civile, con l’obiettivo di ridurre i tempi e aumentare la certezza della giustizia civile, è imprescindibile per un Paese che intenda attrarre gli investimenti esteri e aumentare quelli domestici. La durata media dei procedimenti è riconosciuta unanimemente, in Italia e all’estero, come uno dei maggiori punti di debolezza strutturale del Paese (a partire dalle classifiche della Banca mondiale che ci relegano in posizioni non confacenti a un paese del G7). La riforma della giustizia civile non deve limitarsi alle modifiche tecniche di natura procedurale, ma deve focalizzarsi principalmente su questioni strutturali. Senza ledere il principio sancito dall’art. 24 della Costituzione, che garantisce a tutti l’accesso alla giustizia, occorre (i) rafforzare ulteriormente gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, rendendoli effettivamente preferibili all’azione giudiziaria, (ii) creare adeguati meccanismi che disincentivino la promozione di cause di modesto valore e/o pretestuose, (iii) cercare di risolvere sul piano legislativo le cause seriali che rallentano i tribunali, (iv) digitalizzare i procedimenti, (v) rendere maggiormente efficaci i filtri per l’accesso al giudizio di Cassazione (vi) riorganizzare la macchina giudiziaria e amministrativa, e (vii) avviare le opportune verifiche sulle disfunzioni territoriali rispetto alla media nazionale di numero e durata dei procedimenti, ferme restando le competenze di CSM e Ministero della Giustizia”.

Tale “vision” economicista della giustizia e abbracciata da anni dagli uffici di Via Arenula, va detto, ha fatto solo danni (anche se va spezzata una lancia a favore dell’affermazione “la riforma della giustizia civile non deve limitarsi alle modifiche tecniche di natura procedurale”).

Faccio notare che non si cita la vexata quaestio della composizione della figura del Giudice Onorario.

La speranza che fornisce la Pres. Cartabia in qualità di neo Ministro della Giustizia è che tali spinte “ragionieristiche”, che arrivano da più fronti, siano correttamente filtrate e interpretate alla luce dell’umanità e profondità di pensiero che possiamo adesso aspettarci.

Da altro lato, tuttavia, il ministro della giustizia è un magistrato (più precisamente un accademico cooptato nella Corte Costituzionale) e corre il rischio di avere una visione parziale del “mondo giustizia” nel suo insieme. Possiamo affermare che tutte le ultime riforme della giustizia civile sono state frutto della logica del magistrato e possiamo immaginare che buona parte della stessa visione della giustizia del Piano Colao sia stata suggerita da magistrati in forza presso il ministero.

Tutte riforme rivelatisi inutili per gli scopri prefissati e che hanno, inoltre, aumentato il senso di ingiustizia nel Paese.

Allora, forse, andrebbe umilmente dato qualche suggerimento al nuovo Ministro della Giustizia: che cerchi di ampliare la rosa degli interlocutori, che consideri le istanze provenienti anche dal paese reale, oltre che le direttive che arrivano dall’Europa e, importante, che la riforma della giustizia parte anche dalla riforma della magistratura, alla luce delle vicende che si tende a dimenticare, insegnateci dall’affare Palamara.

 

 

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