L’avvocato commette diffamazione se denuncia un magistrato di parzialità in modo aspro e rude
Limiti all'espressione difensiva negli scritti difensivi. Quando l'eccesso di critica nei confronti del magistrato porta alla diffamazione. Cassazione Penale Sentenza n. 45249/2021

Il fatto.
L’avvocato Caio era stato condannato in primo e secondo grado per aver reagito al provvedimento di rigetto dell'istanza di ammissione al gratuito patrocinio da lui proposta, indirizzando una missiva-denuncia (con richiesta di attivare l’azione disciplinare) allo stesso giudice, al proprio assistito ed al Presidente del Tribunale definendo "illegali ed oltraggiose le pseudo motivazioni" del provvedimento di rigetto, adducendo che "fondatamente ritenere che il suo illegittimo ed abnorme diniego sia riconducibile ad ostilità politica nei confronti del malcapitato signor ..." e che lo stesso rigetto era prodotto da un "malcelato disprezzo verso un cittadino".
Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi:
1) la mancata prova della ricezione delle raccomandate e quindi del presupposto della molteplice conoscenza della eventuale diffamazione;
2) mancata applicazione della scriminante dell’art. 51 cod. pen. (diritto di critica);
3) mancata applicazione della causa di non punibilità dell’art. 598 cod. pen. (non punibilità delle offese contenute in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie e amministrative).
La Sentenza n. 45249 della Corte di Cassazione Penale depositata in data 25 ottobre 2021 ha il pregio di fare il punto della situazione in materia, ripercorrendo l’applicabilità e lo stato della giurisprudenza sugli istituti chiamati a difesa.
Conoscenza di più persone del contenuto diffamatorio
L’analisi del requisito della conoscenza o conoscibilità da parte di più soggetti del contenuto diffamatorio introduce una particolare fattispecie, quale quella verificatasi nel caso di specie. Afferma la Corte che è opinione dominante in giurisprudenza che, avuto riguardo a talune categorie di destinatari, l'invio di una missiva denigratoria renda di per sé esistente il requisito della comunicazione con più persone. Tale elemento può ritenersi integrato
a) o per la natura dell’atto stesso, propulsivo di un determinato procedimento (giudiziario, amministrativo, disciplinare) che necessariamente dovrà essere esaminato da più persone, oppure
b) per la natura del soggetto che riceve l’atto, il quale soggetto essendo composto da una articolazione di uffici che devono registrare l’atto, comporta l’esame del contenuto da parte di molti (come caso di invio ad ordini professionali, in persona di loro rappresentanti istituzionali, ovvero a dirigenti della pubblica amministrazione, o in genere qualora l’atto di da protocollare e passare all’ufficio destinatario).
Afferma la Corte: “In quest'ottica, può configurare il reato di diffamazione anche la comunicazione con una sola persona, se attuata con modalità tali che detta notizia venga sicuramente a conoscenza di altri”.
Diritto di critica del provvedimento giudiziario
Il ricorrente lamentava la mancata applicazione della scriminante dell’art. 51 cod. pen. riconoscendosi il diritto di critica anche nei confronti dei provvedimenti giudiziari.
Sul punto la Corte evidenzia alcuni postulati che ne definiscono l’applicabilità:
a) il primo è la verità del fatto storico attribuito al diffamato, con citazione di numerosi precedenti di legittimità;
b) “proporzione”, “continenza” e “misura” nella scelta della forma espressiva. Scrive la Corte: “l'esimente del diritto di critica postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione, e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione”. Vedi anche in questa Rivista “Il diritto di critica (anche politica) nella giurisprudenza della Cassazione”. Ciò non significa che sia aprioristicamente vietato l’uso di termini “forti” e talvolta “oggettivamente offensivi” dovendosi verificare l’inquadramento del loro significato alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato. Così, citando giurisprudenza della CEDU, la nostra Corte ricorda che “il "dissenso", infatti, è certamente un valore da garantire come bene primario in ogni moderna società democratica che voglia davvero dirsi tale, ma non può trascendere le idee, esorbitare dalla ricostruzione dei fatti e giungere a fondare manifestazioni espressive che diventino meri argomenti di aggressione personale di chi è portatore di una diversa opinione”, essendosi applicata la scriminante per espressioni come "sprovveduto" ed "incauto" rivolte ad un magistrato.
Accusa al magistrato di parzialità per motivi politici o ideologici
Secondo la sentenza in commento, tuttavia, il diritto di critica subisce un freno laddove “la critica coinvolga i prerequisiti della funzione giurisdizionale, costituiti dai caratteri di indipendenza ed autonomia, percepiti come imprescindibili attribuzioni dell'essere appartenenti all'ordine giudiziario, e coinvolga un giudizio di valore e di stima sulla persona del magistrato, piuttosto che sulle sue capacità professionali”.
Tradotto: il magistrato può essere criticato nella sua capacità professionale ma attenzione ad imputargli carenza di indipendenza ed autonomia derivanti da adesioni a filoni di pensiero, in particolare se politici. A meno che l’accusa di imparzialità non trovi fondamento su circostanze concrete e dimostrate. E, in proposito, è stato affermato (Cass. n. 8036/1998) che il limite della verità deve essere restrittivamente inteso, dovendosi verificare la rigorosa corrispondenza tra quanto narrato e quanto realmente accaduto, perché il sacrificio della presunzione di innocenza non può esorbitare da ciò che sia necessario ai fini informativi.
Scrive la Corte: va biasimata l’ “attribuzione di mala fede a chi conduce indagini giudiziarie, presentando come risultato di complotti o di strategie politiche l'opera del pubblico ministero, perché in tal caso non si esprime un dissenso, più o meno fondato e motivato, sulle scelte investigative, ma si afferma un fatto che deve essere rigorosamente provato e si finisce per realizzare un attacco alla "stima" di cui gode il magistrato”.
E conclude con una affermazione che sa da principio di diritto:
“qualora vengano in gioco accuse di negligenza e incapacità del magistrato, la critica giudiziaria può assumere una connotazione anche molto "pesante", aspra e sferzante; laddove, invece, detta critica si incentri su accuse di partigianeria politica e, quindi, attribuisca al magistrato un deficit di imparzialità ed indipendenza ... l'unica possibilità di ritenere la condotta diffamatoria scriminata deve essere indicata nella precisa verità storica del fatto, non potendo il giudizio di valore, di cui pure in astratto può nutrirsi la critica, avere ingresso in tal caso”.
Non punibilità delle offese ed espressioni diffamatorie contenute in scritti difensivi
Secondo l’art. 598 cod. pen. (Offese in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie o amministrative) non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all'Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi a un'Autorità amministrativa, quando le offese concernono l'oggetto della causa o del ricorso amministrativo.
La Corte fa presente che l’articolo su menzionato è attualmente oggetto di una questione interpretativa, che vede divisi coloro i quali ritengono che tale fattispecie configuri una causa di non punibilità, non idonea ad escludere l'illiceità del fatto, e quanti, invece, sostengono si tratti di una vera e propria causa di giustificazione o esimente, che esclude l'illiceità del fatto, ricollegabile al principio costituzionale del diritto di difesa.
Secondo la Corte “qualsiasi sia l'interpretazione della natura della disposizione in esame, le offese non punibili ai sensi dell'art. 598 cod. pen. sono solo quelle che si riferiscono all'oggetto della causa, in modo diretto ed immediato, ed hanno una qualche finalità difensiva”.
Inoltre facendo la norma riferimento agli "atti difensivi inviati alle parti processuali attuali del giudizio ordinario o amministrativo al quale siano riferite", se ne ricava, afferma ancora la Corte, che non sia applicabile l’esimente qualora le espressioni offensive siano contenute in una memoria difensiva inviata a persona diversa dal contraddittore del procedimento, in quanto l'operatività dell'esimente, funzionale al libero esercizio del diritto di difesa, deve restare circoscritta all'ambito del giudizio ordinario od amministrativo nel corso del quale le offese siano proferite. Nel caso di specie erano contenuto in una lettera diretta al Presidente del Tribunale.
---------------------------------------
Di seguito il testo di
Corte di Cassazione Penale Sez. V, Sentenza n. 45249 dep. 25/10/2021
RITENUTO IN FATTO
Se sei registrato esegui la procedura di Login, altrimenti procedi subito alla Registrazione. Non costa nulla!