La Cassazione civile fissa alcune regole sulla valutazione della prova scientifica
Sindrome da alienazione parentale - CTU - Il giudice di merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche deve verificare il fondamento sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 7041 del 20/03/2013 ha affrontato il problema della valutazione della prova scientifica introdotta nel processo civile attraverso la CTU. La problematica in questione, come noto, negli ultimi anni è stata diffusamente analizzata dalla Suprema corte nell'ambito del diritto penale, settore in cui l'apprezzamento della prova scientifica assume un ruolo centrale ai fini dell'accertamento del nesso di causalità. Recentemente, anche in relazione al processo civile, si è palesata la necessità di delimitare i confini entro cui la prova scientifica può essere utilizzata. A tal proposito la Cassazione, con la pronuncia in commento, ha deciso di fissare alcuni principi in materia di introduzione delle conoscenze scientifiche nel giudizio di merito e di controllo del contenuto delle stesse.
La sentenza si innesta su una controversia nata tra i genitori di un minore avente ad oggetto l'affidamento di quest'ultimo. Il Tribunale ordinario, in sede di separazione consensuale, aveva affidato in via esclusiva il minore alla madre la quale, successivamente, per decreto del Tribunale dei Minori venne dichiarata decaduta dalla potestà genitoriale, con contestuale affidamento del figlio ai servizi sociali, pur rimanendo collocato presso la madre. In seguito, il padre presentava ricorso al Tribunale dei Minori per chiedere l'allontanamento del figlio dalla famiglia materna, mentre la madre, costituitasi, chiedeva il rigetto della richieste del ex coniuge e di essere reintegrata nella potestà genitoriale. Il Tribunale dei Minori respingeva entrambe le domande, confermando l'affidamento ai servizi sociali. Da ultimo, proposto reclamo presso la Corte di Appello, veniva disposto l'affidamento del minore al padre con collocamento in struttura protetta. Tale ultima decisione si fondava sulla consulenza tecnica d'ufficio nella quale veniva diagnosticata la "sindrome da alienazione parentale" (c.d. PAS) e nella quale si sosteneva che la permanenza del figlio presso la famiglia materna avrebbe comportato un inasprimento della situazione patologica.
Contro la decisione della Corte di Appello la madre proponeva ricorso in Cassazione deducendo che la Corte territoriale aveva omesso di esaminare le censure proposte in relazione alla validità, sul piano scientifico, di suddetta patologia. La sindrome da alienazione parentale è infatti una controversa dinamica psicologica disfunzionale, descritta per la prima volta dallo psichiatra statunitense Richard Gardner, che può riscontrarsi ne minori coinvolti in separazioni e divorzi conflittuali non adeguatamente gestiti. Come anche sottolineato in sentenza, la stessa esistenza della PAS come patologia è messa in discussione dalla comunità scientifica e, allo stato attuale, non è riconosciuta dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DMS).
I dubbi sulla validità scientifica di detta patologia avrebbero dovuto essere un campanello di allarme per il giudice il quale, invece, ha assunto come elemento decisivo della motivazione proprio la condizione patologica del minore descritta nella CTU. La giurisprudenza di legittimità in più occasioni ha confermato che è ammissibile costruire la motivazione della sentenza per relationem, dovendosi giudicare la sua completezza e logicità sulla basse degli elementi contenuti nell'atto al quale si opera il rinvio e che diviene parte integrante della sentenza. Nel caso di specie, quindi, la bontà della decisione dipenderebbe esclusivamente dalla validità della valutazione clinica “posto che da una diagnosi in tesi errata non può derivare una terapia corretta”.
Da ciò la Suprema corte ha affermato due principi di diritto a cui il giudice deve adeguarsi in sede di valutazione della prova:
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se nel corso del giudizio vengano sollevate critiche alla consulenza tecnica d'ufficio, queste devono essere oggetto di esame da parte del giudice. Il giudice del merito non è tenuto ad esporre in modo puntuale le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, potendo limitarsi ad un mero richiamo di esse, soltanto nel caso in cui non siano mosse alla consulenza precise censure.
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Il giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche, ovvero avvalendosi di idonei esperti, deve verificare sul piano scientifico il fondamento della consulenza che si distacca dalla scienza medica ufficiale. In ambito giudiziario, non sono adottabili soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie ad esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare.
La Cassazione introduce nell'ambito del giudizio civile regole non dissimili da quelle che presiedano la valutazione della prova scientifica nel processo penale. Gli Ermellini lasciano intendere che il giudice può affidarsi alle proprie conoscenza personali entro il limite dei cc.dd. fatti notori. Muovendosi nel campo del sapere scientifico è richiesta una valutazione più stringente, eventualmente coadiuvata da esperti del settore, in particolare quando a fondamento della decisione vengono assunte teorie o leggi scientifiche controverse o fortemente dibattute nella letteratura scientifica dominante.