Diritto di Abitazione del coniuge superstite separato
Corte di Cassazione 13407/14 sul destino del Diritto di Abitazione nel caso di decesso del coniuge separato

La Corte di Cassazione (sentenza del 12 giugno 2014, n. 13407) affronta un caso relativo alla richiesta di riconoscimento del "diritto di abitazione sulla casa familiare", ex art. 540 cod. civ., richiesta promossa da un coniuge legalmente separato dal de cuius.
Come è noto, ai sensi dell'art. 540 c.c., al coniuge è riservata, a titolo di legittima, oltre che una quota del patrimonio dell'altro, anche il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.
La Corte precisa che tale diritto ha ad oggetto la casa coniugale, ossia l'immobile che in concreto era adibito a residenza familiare. Oltre che essere di proprietà, quindi, l'immobile deve essere quello in cui i coniugi vivevano insieme stabilmente (Cass. 14-3-2012 n. 4088).
Nel caso di specie, a seguito di separazione, il coniuge richedente aveva smesso di abitare nella casa familiare per andare ad abitare altrove. Ciò aveva spezzato quell'unione con l'immobile che è requisito indispensabile di applicabilità dell'art, 504 c.c. secondo comma.
Afferma la Suprema Corte: "è evidente che l'applicabilità della norma in esame è condizionata all'effettiva esistenza, al momento dell'apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare; evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi. Nella ipotesi considerata, pertanto, essendo venuto meno il collegamento con l'originaria destinazione della casa di abitazione a “residenza familiare”, non può che ritenersi che il coniuge superstite perda i diritti in questione".
Il testo della Sentenza del 12 giugno 2014, n. 13407:
"SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 28-7-1993 R. M.
L., quale erede con beneficio di inventario del marito C.
A., da cui si era separata consensualmente nel 1988, conveniva dinanzi al Tribunale di Marsala LP. G., C. A., P. G. e P. R., gli ultimi due quali eredi di C. M., esponendo che con due atti pubblici del 4-2-1991 il de cuius, per vanificare i diritti successori della moglie, aveva apparentemente trasferito a LP. G. e C. A., a titolo oneroso, ma in realtà gratuitamente, un fabbricato in nuda proprietà ed alcuni appezzamenti di terreno, e con atto in data 2-8- l99l aveva venduto simulatamene alla nipote C. M. un ulteriore immobile. L`attrice chiedeva, conseguentemente, previo sequestro dei beni in questione, la dichiarazione di nullità ed inefficacia dei predetti rogiti, e Faffermazione del suo diritto alla porzione di sua pertinenza.
LP. G. e C. A. si costituivano contestando la fondatezza della domanda e chiedendo la condanna della R. al risarcimento dei danni, ai sensi dell'art. 96 c.p.c. e dell"art. 1226 c.c.
Nel corso del giudizio l'attrice dichiarava di rinunciare alla domanda nei confronti degli eredi di C. M., essendo intercorsa tra le parti una transazione.
Con sentenza in data 6-2-2004 il Tribunale rigettava la domanda proposta dall'attrice, condannando quest'ultima al risarcimento dei danni subiti dai convenuti in conseguenza dell'esecuzione del sequestro dei beni autorizzato in corsi di causa.
A seguito di gravame proposto dalla R., con sentenza in data 19-2-2008 la Corte di Appello di Palermo riformava parzialmente la decisione di primo grado, escludendo la condanna dell'attrice al risarcimento dei danni, ma confermando il rigetto delle sue domande.
La R. proponeva ricorso per cassazione avverso la predetta pronuncia, sulla base di quattro motivi.
Con sentenza in data 7-9-2009 la Corte di Cassazione accoglieva il primo motivo, con il quale l'attrice aveva lamentato che erroneamente la Corte di Appello aveva ritenuto che non fosse stata esercitata, già in primo grado, l'azione di reintegrazione nella legittima, con conseguente impossibilità di dimostrare mediante prove testimoniali e presuntive la simulazione degli atti di disposizione compiuti dal de cuius. Il giudice di legittimità osservava che la Corte territoriale non aveva tenuto conto delle conclusioni formulate nell'atto introduttivo del giudizio, con le quali l'attrice, facendo valere il proprio diritto alla quota di metà del patrimonio ereditario spettantele come legittimaria, aveva espressamente chiesto, previo accertamento del carattere gratuito delle alienazioni del 4-2-1991, la loro “riduzione fino alla quota stessa”; istanza poi ribadita nelle conclusioni finali e nell'atto di appello. La Corte di Cassazione dichiarava assorbiti gli altri motivi di ricorso, con i quali, in particolare, per quanto qui ancora rileva, la R. aveva lamentato il mancato riconoscimento del diritto di abitazione della casa coniugale, spettante alla vedova del defunto come legittimaria.
Con atto di citazione ex art. 392 c.p.c. la R. provvedeva alla riassunzione del giudizio.
Con sentenza in data 21-8-2002 la Corte di Appello di Palermo, pronunciando in sede di rinvio, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava che l'atto pubblico di vendita per notaio Marino del 4-2-1991 rep. 87180 dissimulava una donazione disposta da C. Andrea in favore di C. A. e LP. G., nullo per difetto di forma, per violazione dell'art. 48 della legge n.
89l9l3; dichiarava che l'atto pubblico di cessione onerosa per notaio Marino del 4-2-1991 rep. 87179 dissimulava un contratto di donazione disposta da C. Andrea in favore di C. A. e LP. G.; disponeva reintegrarsi la quota di legittima spettante all'attrice sull'eredità relitta di C. Andrea, deceduto il 3-4-1993, mediante l'attribuzione in favore della stessa dei beni elencati nel dispositivo e con condanna dei convenuti, in solido, al pagamento in favore della R. della somma di euro 12.968,04. La Corte territoriale, al contrario, disattendeva le censure mosse dall'appellante avverso il capo della sentenza di primo grado che aveva negato alla R. il diritto di abitazione ex art. 540 c.c. sulla casa già adibita ad abitazione coniugale e il diritto d'uso sui relativi mobili.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso R.
M. L., sulla base di tre motivi.
LP. G. e C. A. hanno resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.
La ricorrente principale ha resistito al ricorso incidentale con controricorso e successivamente ha depositato una memoria difensiva ex art. 378 c.p.c.
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