Anche la procedura fallimentare soggetta alla legge Pinto
La procedura di fallimento non si sottrae ai limiti di durata imposti dalla legge. Non deve durare piu' di 5 anni pena il pagamento dell'equo indennizzo. Cala l'entita' dell'indennizzo. Cassazione sentenza 10233/2015

Le disposizioni sulla massima durata del processo (ex l. 89/2001) vanno applicate anche alla procedura fallimentare. E' quanto è stato confermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 10233 del 19 maggio 2015. Trattavasi di un fallimento che era durato ben 16 anni. Gli interessati avevano depositato ricorso per il riconoscimento dell'equo indennizzo, ottenendolo dalla Corte d'Appello.
Proponevano, tuttavia, ricorso per cassazione lamentando che la Corte d'Appello aveva ritenuto ragionevole una durata della procedura nella misura di 9 anni e di essersi la stessa discostata dal parametro di indennizzo oramai standardizzado che vuole vi sia un riconoscimento di 750,00 euro per i primi tre anni e di euro 1.000,00 per gli anni successivi.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. La Corte ricorda nel proprio provvedimento che aveva già avuto modo di affermare (Cass. n. 8468 del 2012) "che la durata ragionevole delle procedure fallimentari può essere stimata in cinque anni per quelle di media complessità, ed è elevabile fino a sette anni allorquando il procedimento si presenti notevolmente complesso; ipotesi, questa, ravvisabile in presenza di un numero elevato di creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.), della proliferazione di giudizi connessi alla procedura, ma autonomi e quindi a loro volta di durata condizionata dalla complessità del caso, oppure della pluralità delle procedure concorsuali interdipendenti".
Quanto alla quantificazione dell'indennizzo, la Corte di Cassazione ricorda che "se è vero che il giudice nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo ( ... di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi), permane, tuttavia, in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar conto in motivazione (Cass. n. 18617 del 2001; Cass. n. 17922 del 2010)". Provvede, pertanto, a quantificare il danno subito in euro 500,00 per ogni anno di ritardo, vale a dire eccedente i 7 anni.
Di seguito il testo di Corte di Cassazione, Civile sentenza n. 10233 19 maggio 2015:
Svolgimento del processo
Motivi della decisione
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